Il Molise

Sesto Campano

By 14 Settembre 2007 Dicembre 22nd, 2007 No Comments

da Franco Valente, Luoghi antichi della provincia di Isernia, Bari 2003

(Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio. Questo articolo è protetto da diritti Creative Commons)

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Il viaggiatore che viene dalla Campania entrando nel Molise incontra per primo il paese di Sesto che, pur essendo molisano, si definisce campano. L’aggettivo fu aggiunto dal Consiglio Comunale quando, poco dopo l’unità di Italia, il comune fu staccato dalla Campania ed aggregato al Molise. Gli amministratori non digerirono la cosa e per protesta, essendo obbligati a distinguerlo dagli altri paesi che nella Penisola avevano lo stesso nome, lo chiamarono Campano. Il suo nome autentico gli deriva dalla circostanze che l’antica taverna, forse esistente già in epoca imperiale, si trovava al miglio centesimo sesto da Roma.

Sesto ha una antica tradizione storica che alcuni vogliono collegata alla presenza di un conte longobardo di cui non si ha traccia nei documenti. Una fortificazione longobarda però doveva esistere e traccia di un castello dovrebbe ritrovarsi nel poderoso mastio quadrato, violentato dalle moderne manie di trasformazione, che rimane nella parte sud-occidentale della cinta medioevale del paese vecchio. Se però sulla cortina esterna nulla rimane di esteticamente pregevole dell’antico castello, il cui volume è però perfettamente riconoscibile nonostante gli scempi degli uomini, all’interno sopravvive un complicato portale del XVII secolo che un certo Nicola Brescia da Serino fece fare quando Errico Albano da Procida era capitano del popolo di Sesto. Di questi due personaggi oggi non si saprebbe nulla se essi non avessero deciso di far scolpire il loro nome sotto la più strana composizione regionale di insegne militari associate a simboli di arti e commercio.

Una serie di compassi, squadre, bilance, stadere, attrezzi per stendere le pelli, some per il trasporto, insieme a gambali, scudi militari, elmi, spade e lance, formano la decorazione a rilievo di questo originale portale che introduce ad una corte interna dove una porta immette nella grande stanza-cisterna. A lato, nei tempi moderni, sul muro esterno è stata collocata l’antica tavola con i pedaggi che si dovevano pagare per il passo alla Taverna del Duca. Un duca democratico che aveva stabilito che per qualsivoglia meretrice non si esigga cosa alcuna a differenza del principe di Monteroduni che una decina di miglia più avanti, sulla Lorda, pretendeva da ebrei e meretrici il pagamento rispettivamente di cinque grana e dieci grana anche se non portavano nulla appresso.

Per determinare la cronologia delle murature poche e di nessuna utilità sono le notizie sui signori che l’hanno posseduto; tuttavia è possibile ritenere, sulla base dell’analisi tipologica delle torri circolari della cinta urbana, che una trasformazione sostanziale, o perlomeno un adattamento dovette essere operato intorno ai secoli XIII e XIV.

Rimangono evidenti di queste torri soltanto tre sul lato meridionale e almeno quattro su quello nord-orientale, ma una più attenta analisi del tessuto urbano potrebbe rivelarne altre inglobate nelle case che si sono malamente integrate nella originaria cinta muraria. Della prima, a pochissima distanza dal Castello, si riconosce solo l’impianto semicircolare in una casa che le si è sovrapposta.

Da questo punto si sviluppa la linea muraria meridionale, sulla quale si apriva, come si apre tutt’ora, una porta esterna minore cui si perviene da valle attraverso un ripido sentiero extramurale che ancora porta un nome, via Borgoforte, che con molta evidenza deriva dalla funzione difensiva del sistema .

Le altre torri, ugualmente molto rovinate sebbene integre nelle parti basamentali, sono inglobate nelle case che si attestano sull’antica cinta muraria fino alla sesta da cui ha inizio un lungo tratto pressoché rettilineo (stravolto da una serie di superfetazioni esteticamente riprovevoli) su cui resistono gli impianti della settima e dell’ottava.

Da questo punto la linea originaria si perde e l’individuazione del sistema si fa difficile. La circostanza che lo slargo nei pressi della chiesa di S. Eustachio ancora si chiami “sopra le porte” lascia intendere che vi dovevano essere in quell’area almeno due porte di cui non rimane alcuna traccia. Sicuramente qui si concentrarono gli sforzi maggiori per chiudere artificialmente il giro delle mura che, per motivi orografici, in quel punto presentava la maggiore pericolosità. Ma proprio la facilità di accesso ha costituito il motivo per la maggiore quantità di trasformazioni edilizie nei tempi più recenti. Sesto Campano, la cui chiesa, dunque, è dedicata a S. Eustachio protettore del paese, deve molto all’opera dei benedettini di Montecassino che nel suo territorio amministrarono vari monasteri come quello di S. Pietro di Sesto, giù nella valle, i cui resti sono stati inesorabilmente travolti dalle ruspe quando, dopo il terremoto del 1984 fu realizzato un campo per i containers. O quello di S. Nazzario e Celso che dette il nome al monte, nei pressi della rocca di Roccapipirozzi, dove ancora rimane, in un affascinante paesaggio rupestre, l’impianto di una torre campanaria e il perimetro ridotto a pietraia dell’antico limite monastico.

Le porte di bronzo di Montecassino, attestando che S. Nazzario era un possedimento dell’abate Desiderio, ci garantisce che Roccapipirozzi, una delle più originali fortificazioni della Valle del Volturno, ha origini sicuramente anteriori all’anno mille. Oggi, mentre gli storici impazziscono nel tentare di capire se le sue torri sono normanne o angioine, la rocca va alla malora. Fra qualche anno anche il suo poderoso maschio circolare diventerà cumulo di rovine se qualche amministratore illuminato non tenterà di conservare la sua storica funzione di punto di riferimento del territorio.

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Del resto non ci vuole molto a vedere sparire un intero paese nel giro di qualche secolo, come è accaduto per l’altro nucleo urbano di Pentime che si trovava in quella parte del territorio di Sesto Campano che è al limite verso la Campania. Oggi di quell’antico paese rimangono solo i segni di una cinta muraria con qualche avanzo di torre e la base del castello. Eppure Pentime era una delle comunità che contribuiva in maniera sostanziosa alle reparationes del castello federiciano del vicino castello di Presenzano perché potesse controllare e difendere l’imbocco delle valli verso Venafro e verso Cassino.

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