Archeologia e trippa per gatti

S. Maria delle Monache ad Isernia: Quando il ciuccio non vuole bere….

By 4 Gennaio 2009 3 Comments

“Quanne i ciuccie ne vo’ veve, nen ce serve a cefelia’ “

(Quando il ciuccio non vuole bere, non serve insistere.)

Franco Valente

Credo che prima o poi questo proverbio molisano dovrà essere utilizzato come testata del Ministero per i Beni Culturali del Molise.

Quando pubblicai nel 1982 il mio volume su Isernia (Isernia, origine e crescita di una città), a proposito di S. Maria delle Monache, una delle testimonianze più importanti della Longombardia minore, scrissi testualmente:
Il restauro è cosa dei nostri giorni (1982) ed è di una tale gravità per cui vale la pena narrare i danni maggiori.
La discutibile litania di interventi iniziò dieci anni fa, nel 1972, quando la provvisoria copertura del colonnato salvatosi dalla guerra assunse l’aspetto di soluzione definitiva confermando il metodo tutto italiano secondo cui le cose provvisorie sono le più durature.
Una copertura che ha talmente modificato il senso spaziale della basilica a tre navate da farla ora apparire quale peristilio interno di una domus romana.


L’ira funesta si trasferì, non appena arrivarono altri fondi da spendere in qualche modo, sul campanile e ci volle tanta buona volontà per cancellare ogni traccia dell’originario impianto del X secolo, di cui si conservavano murate tutte le monofore ora fagocitate definitivamente dal cemento che in eterno le ha tolte dalla vista di chiunque.
Fu miseramente distrutta la bella scala di legno che articolandosi nel cavo della torre campanaria da sola testimoniava tutte le trasformazioni subite dalla chiesa nel tempo e soprattutto rappresentava una eccezionale documentazione dell’attività artigianale di Isernia antica.
Fu sostituita da ignobili solai in tavelloni e putrelle in ferro che non solo non sono serviti a consolidare la struttura ma che hanno pure stravolto l’architettura interna della torre campanaria, privata di quella sua spazialità interna che era la necessaria cassa armonica per la diffusione del suono delle campane. Del resto pare che quando si restaura l’ultima cosa a cui si pensi e quella di capire a che cosa serva il monumento oggetto delle attenzioni. Per questo un campanile diviene semplicemente un mucchio di pietre più alto degli altri.

Una volta cancellato l’interno si pensò bene di salvare qualche brandello di epidermide integrando il vecchio intonaco, che ormai aveva acquisito la patina della storia, con “cemento critico”. Il risultato finale lo si ammira da qualche anno.

I restauri successivi dal campanile scesero sempre più in basso (… e non solo nel senso altimetrico).

Fu la volta del sottotetto, altrimenti detto pomposamente “Salone Superiore”, in evidente antitesi con il bel “Sa1one Inferiore”, originariamente refettorio delle monache.
La storia di questo salone “Superiore” è desolante. Era nato come timida sopraelevazione ottocentesca per la necessità di ricavare una capiente camerata per i militari della caserma Griffini che vi si erano allocati dopo che il complesso era state acquisito al Demanio dello Stato.
Per un michelangioloide senso dell’arte del “levare” si ritenne opportuno smantellare le originarie capriate ottocentesche, senza rendersi conto che poi bisognava ricoprire di nuovo.
Una volta scoperchiata la camerata bene si pensò di approfittare del fatto che l’unico Ente che può elusivamente aumentare le cubature nel centro storico è la Sopraintendenza, e si guadagnarono diverse centinaia di metri cubi inventando un cordolo di cemento che mai era esistito.
Intanto delle originarie capriate si era persa ogni traccia ed ovviamente si dovettero sostituire con altre costruite ex-novo “in stile”.

Un nuovo ripensamento costrinse poi a nasconderle alla vista e fu realizzata una costosissima controsoffittatura a travi reticolari con la giustificazione fantasiosa che gli eventuali pannelli espositivi poggiati sul pavimento avrebbero potuto creare problemi statici alle solidissime volte che da circa un secolo avevano retto senza problemi i tramezzi in muratura ora eliminati.
Tutti gli intonaci del monastero furono scorticati e le porte originarie sostituite da altre, anch’esse in falso-antico.
L’ultimo (solo in ordine di tempo) sconcertante intervento riguarda la parete liberty nord-orientale che pareva essersi salvata dagli assalti Ministeriali e che invece ha dovuto subire l’identica triste sorte delle altre murature.

Il magnifico intonaco alla “romana”, che nessuno sa più fare, è stato sostituito con gelidi intonaci “sabbia e cemento” con quell’anonima tinta finale che ormai in gergo viene chiamata “grigio-sopraintendenza”.
Il rabbercio affrettato si è concluso con un pasticcio di bifore e portali liberty, lapidi longobarde, pietre incorniciate, ma di nessun valore, archi veri falsamente evidenziati, anonimi tagli di intonaco che non dicono più niente, mentre l’unico a resistere è il cavo elettrico dell’Enel, che neanche il Ministero è riuscito a smuovere.

Vale la pena intanto di richiamare quanto Gaetano Miarelli scrisse nel 1979 in “Monumenti nel tempo” a proposito del restauro di S. Maria delle Monache: “Un episodio doloroso ed emblematico, come purtroppo molti altri, che chiama alla mente il monito di Ruskin: Sorvegliate un edificio antico con cura assidua; proteggetelo meglio che potete, ed ad ogni costo, da ogni pericolo di sfacelo. E’ il nostro primo dovere verso ciò che non ci appartiene completamente”.

Tutte parole al vento.

Credo che le immagini non abbiano bisogno di commento.

Mentre la Soprintendenza non è in grado di spendere un centinaio di euri per eliminare la vegetazione che si sta mangiando le bifore del campanile di S. Maria delle Monache, spende miliardi di lire per mettere questo coso metallico sull’abside della basilica longobarda.

Ma dico io: Ma perché queste cose metalliche l’architetto del Ministero non le mette nel giardino di casa sua?

Con tutto il rispetto per il post-modern e per i grandi architetti che si ispirano a questo straordinario stile architettonico, ma vi sembra questo il luogo per mettere questi oggetti inutili dal punto di vista pratico, disastrosi da quello economico e blasfemi da quello teologico?

Ma a chi dico queste cose?

Intanto, zitto zitto, dal muro longobardo su via Orientale di Isernia, a filo con le mura ellenistiche, è comparso un tubo di acciaio ministeriale!

Pensate quanti danni farebbero all’agricoltura se qualcuno li mandasse a zappare!

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  • franco valente ha detto:

    Ho ricevuto questa mail:

    Caro GLORIOSO amico,
    tutti fanno orecchie da mercante
    ecco cosa mi ha risposto tempo
    fa un tal O. R. di Italia Nostra

    “E’ inaccettabile.
    Da demolire, anzi da rimuovere poichè” il nostro” allievo di Scarpa e di Zevi, si premura di fare opere sempre reversibili.
    Ora però non posso intervenire subito, e non intervengo neppure sulle puttanate fatte a danno della mia Saepinum,poichè devo prima schierare la Soprintendenza contro il massacro eolico.
    Teniamoci incontatto.
    Lasciami anche il tuo telefono e dimmi se conosci l’ing Bucci della Soprint di Isernia.
    O. R.”

    Che cavolo c’entrano i pali eolici con Santa Maria delle Monache ?????

    Buon anno nuovo
    Ti abbraccio
    Antonio

  • Serena ha detto:

    incredibile ciò che sono riusciti ad inventarsi per S.Maria delle Monache,dopo 20 anni di incertezze per scegliere quale fosse la copertura migliore…e intanto l’abside altomedievale continuava a marcire… .Per qualcuno dei nostri concittadini quelle sono solo 4 pietre. basti pensare che hanno permesso una cosa simile, un deja-vu del sito archeologico abbandonato e coperto alla stessa maniera di Via Sant Ippolito, proprio dinanzi al nostro ospedale. Cari saluti a lei architetto e a tutti i visitatori. Serena

  • Tommaso E. ha detto:

    Non ci posso credere, e questo orrore da dove è uscito? Sembra una scultura di Mirò uscita male (ma molto male); mai comunque come l’ala di cemento armato a vista del castello del mio paese, Carpinone. E’ incredibile con quanta ignoranza e quanto poco rispetto gli amministratori agiscono in un settore così delicato; la perdita della bellezza rispecchia pianamente la perdita di valori che stiamo subendo.

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