Castelli del MoliseCastelli longobardi e normanni nel Molise

Il Castello di Cerro a Volturno

By 21 Ottobre 2015 Luglio 17th, 2019 No Comments

Franco Valente (con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo)
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Il Chronicon Vulturnense documenta am­piamente la progressiva organizzazione coloniale e le notizie certe delle colonizzazioni dei secoli IX e X non sono che la conferma di una volontà pianificatrice già impiantata pri­ma delle invasioni saracene.

In questo quadro si pone la richiesta dell’abate di S. Vincenzo della autorizzazione alla creazione delle difese ed il conseguente decreto favorevole dei principi longobardi di Capua e Benevento, Pandolfo I e Landolfo III, che il 27 luglio 967 concedono a Paolo III la facoltà di costruire torri e castelli dovunque questi ritenesse opportuno, ma comunque nell’ambito del territorio di pertinenza del Mona­stero.

Con questo privilegio si assicurava pure la protezione da eventuali molestie di privati o di principi. Secondo Del Treppo questo atto non rappresentava l’avvio dell’incastellamento dei nuclei monastici di S. Vincenzo, ma soltanto il riconoscimento di uno stato di fatto determi­natosi in consegunza di particolari esigenze del territorio tra le quali assumono certamente importanza le invasioni saracene da una parte e gli interessi politico-militari di potenti famiglie in ascesa dall’altra.
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2) Guglielmelli 1715 Cerro
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Il territorio di Cerro al Volturno fu ripopolato nel 989 dall’aba­te Roffredo e nel 1043 dall’abate Ilario.

Non è facile ricostruire sulla base delle scar­ne notizie pervenuteci quale fosse la forma e la organizzazione delle torri e dei castelli cui so­vente si fa cenno nelle concessioni.

Doc. 167. 2 marzo 989. Chronicon Vulturnense (ed.Federici)
Pietro, preposto del monastero di S. Vincenzo al Volturno, presente il giudice Friderisi, a nome dell’ abate Roffredo, dà a livello per ventinove anni, da rinnovarsi per i successivi ventinove, a Giovanni ed Audoaldo del fu Veneri e ad altri le terre limitrofe al monastero, località Cerro, per il censo annuale, da corrispondersi dal quarto anno, di un moggio di grano, due di orzo ed uno di vino, oltre un porco su undici grossi.

Certamente i longobardi, e perciò gli abati di S. Vincenzo, inizialmente non dettero parti­colare impulso ad un originale sistema archi­tettonico nella organizzazione delle difese, preferendo piuttosto utilizzare preesistenze di­fensive anche di origine romana o bizantina.
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7) cerro rilievi
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Il rilievo grafico di Onorato Masia, ha permesso di evidenziare la cronologia delle mu­rature confermando le ipotesi già concreta­mente affacciate da Del Treppo sui castelli volturnesi.

Quest’ultimo individua nel «castello» il luo­go ove si viene a concentrare sia l’attività poli­tica che quella istituzionale dei Monaci e che solo apparentemente continua ad essere gesti­ta nel monastero: «Sulla terra volturnese, nella regione molisana ed in quella abruzzese, coin­cidenti con le signorie monastiche di S. Vin­cenzo, Montecassino, Casauria, il fenomeno si presenta così perentorio e la sua diffusione è tale che il popolarsi di castelli cambia anche la geografia dei luoghi

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3) Guglielmelli 1715 Frazioni Cerro
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I castelli del X secolo dunque assolvono solo parzialmente quelle necessità di difesa che si erano evidenziate al momento delle varie in­vasioni e si pongono piuttosto come momento conclusivo di uno sfruttamento intensivo e ca­pillare delle terre del monastero.

Situato su una posizione dominante, a circa 500 metri sul livello del mare, il castello di Cerro al Volturno con la sua possente mole controlla tutta la valle nel punto in cui essa presenta la massima strozzatura. Questa posizione strategica sarà determinante per alcune iniziative che, come vedremo più avanti, furono prese da Federico II nell’ambito della sua riorganizzazione delle difese.

E’ posto alla sommità di una conformazione rocciosa di non particolare compattezza attor­no alla quale si sviluppano due borghi che co­stituiscono il nucleo centrale dell’abitato: il primo, contiguo al castello, detto di S. Maria Assunta; il secondo, ai limiti del Rio, detto di S. Pietro.

9) CERRO copia          10) CERRO
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L’im­pianto originario è costituito da un recinto quadrangolare, atto ad ospitare prodotti rac­colti dal territorio quale magazzino fortificato.

All’interno di esso, o per meglio dire attestati sugli spigoli diametralmente opposti, possono individuarsi due torri quadrate, una più picco­la sul lato meno accessibile, ad est, con funzio­ni preminentemente di osservazione e l’altra, sull’angolo occidentale, molto possente adatta alla difesa e quindi in funzione di mastio.

Le attuali condizioni generali non permet­tono una chiara ricostruzione degli edifici presumibilmente posti all’interno di esso e capaci di ospitare quelle attività essenziali sia per l’orga­nizzazione della eventuale difesa che per il controllo del raccolto o anche per l’attività re­ligiosa.

Il terremoto del 1349, che secondo la crona­ca riportata dal Ciarlanti nelle sue Memorie Istoriche del Sannio diruit et subvertit Ec­clesiam Iserniensem … destruxit Ecclesiam Sancti Vincentii de Volturno, Monasterium, et omnia castra Ecclesjae supradictae, in quibus mortui fuerunt venerabiles Monachi frates carnales Abbatis Monasteri praelibati, sicu­ramente distrusse o perlomeno danneggiò il «castrum» di Cerro.

Possiamo ritenere che non tutto sia andato distrutto e che la facciata interna della chiesa si sia preservata al sisma per essere poi inglo­bata nella costruzione o nel rifacimento quattrocentesco.

In questo caso ci troveremmo di fronte ad un «castrum» con una «ecclesia» al suo interno facendo ipotizzare una successiva espansione fuori dal castello del nucleo abitato dai servi e dai coloni. Di questa chiesa situata nel castro possiamo riconoscere due monofore circolari, non più utilizzate, ma ancora esistenti nel pro­spetto interno al cortile dell’ala residenziale.

Caratteristiche analoghe di castelli impostati su un mastio quadrangolare dal quale poi si sviluppa una cinta muraria possiamo ritro­varli nel nucleo originario del Castello di Venafro le cui origini possono ugualmente essere ricondotte al X secolo.

Una sostanziale modifica nella gestione del Castello di ebbe nel XII secolo con le usurpa­zioni dei Borrello che si impossessarono di quei territori monastici che poi Ruggero affidò a Berardo conte di Albe. Definitivamente quindi il castello di Cerro, pur conservando il suo impianto longobardo fu attribuito a Berardo che lo tenne «de domi­no rege».
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11) CERRO
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Con le costituzioni di Melfi Federico II poneva sotto controllo dei suoi funzionari tutto il Regno mentre i rapporti con la Chiesa si deterioravano a tal punto che papa Gregorio IX nel 1240, alleatosi con Venezia, riuscì ad ottenere, tra l’altro, la distruzione di Termoli e Campomarino ad opera della sua flotta. In quell’anno riapparve sullo scenario militare Tommaso di Celano che da Gregorio IX era stato posto a capo di 200 cavalieri per una inutile difesa di Spoleto che l’anno seguente fu ripresa dalle forze imperiali.

Le imprese militari non arrestarono le prassi amministrative. Quando i castelli situati in punti strategici non appartenevano al demanio, Federico cercò di acquistarli. E’ il caso dell’acquisizione del castello di Cerro a Volturno le cui vicende sono riportate in una lettera di Federico del 6 febbraio 1240 a conclusione di una serie di trattative non andate a buon fine.

L’imperatore aveva ordinato al giustiziario di Terra di Lavoro di prendere con le armi, senza perdere tempo, la fortificazione che era tenuta da un certo Deoteguarde che la teneva difesa da una guarnigione campana. Il giustiziario aveva fatto sapere a all’imperatore che la cosa non era così semplice sia per la particolare complessità di un eventuale assedio, ma soprattutto perché un tal tipo di intervento avrebbe costituito uno scandaloso precedente. Federico insistette per ottenere l’acquisizione di quel castello consigliando al giustiziario di ottenere l’obiettivo con l’inganno facendo uscire Deoteguarde dal castello con una scusa qualsiasi e poi imprigionarlo e tenerlo arrestato finché non avesse fatto consegnare il castello dai suoi uomini.

Se poi Deoteguarde non fosse caduto nella trappola, avrebbe potuto corrompere qualche cittadino per farlo catturare.
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6) Abbazia Gattola
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Le cose andarono per le lunghe e non si sa se le cautele indicate da Federico siano state messe in atto. Sembra però che il castello sia rimasto nel possesso di Deoteguardi anche per l’intervento di papa Alessandro IV (1254-1261) se è vera la notizia che viene riportata dal Ciarlanti secondo cui il castello nel 1271 ancora apparteneva a lui: Diotiguardi d’Alatro nipote di Gottifredo Cardinal d’Alatro nel 1271 possedeva Cerro, Acquaviva, Montalto, & Opina, che molti anni innanzi gli erano state concedute da Papa Alesandro IV e da Federico II alle quali succedè Francesca sua figliuola moglie di Nicolò della Marra terzo signore di Serino.

Non sappiamo però a quale titolo il Castello di Cerro poteva essere tenuto da Deoteguardi se alla sua manutenzione e riparazione dovevano contribuire tutte le comunità dell’alta valle del Volturno, come risulta dalle disposizioni confermate da Carlo d’Angiò nel 1270: Item castrum Cerri reparari potest per homines baronie Cerri, Spine et baronie domini Ro­geri de Calvello, que sibi sunt vicine.

8) ASSONOMETRIA2

Atre notizie riguardanti il feudo di Cerro ol­tre quelle citate dal Chronicon ci sono perve­nute dal Ciarlanti e sono relative al 1457, anno di morte del duca Francesco Pandone. Egli cosi recita: Alla morte del duca France­sco Pandone il povero feudo di Cerro fu eredi­tato dal figlio spurio Palamede, avuto da ma­dre di cui ci è ignoto il nome, probabilmente dopo la morte della moglie legittima, una no­bildonna imprecisata di casa Carafa.

13) CERROa

Secondo il Ciarlanti il feudo ereditato da Pa­lamede, che fu conte dal 1457, consisteva nel solo Castello poiché nel 1449 non risulta di­stribuito a Cerro il mezzo tomolo di sale a fa­miglia, il che fa presumere che era terra disabitata.

I circa 400 anni di vuoto storico interposti tra le notizie del Masciotta e quelle del Ciar­lanti, ci possono far pensare che dopo la spo­liazione del 1073, riferita dal Masciotta, il casale non si sia più ripreso, o abbia avuto una ripresa lenta ed incostante, tale da passare inosservata, fino al 1490, anno in cui, secondo il Ciarlanti lo si trova tassato di 95 fuochi, pari a circa 450 abitanti.

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14) StemmaPANDONE
Lo stemma dei Pandone sullo spigolo del bastione settentrionale.
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Prima del 1490, precisamente nel 1465, il feudo di Cerro apparteneva al conte di Venafro che era a quel tempo Scipione Pandone; infatti l’ado relativa alla terra di Cerro, grava­va su Scipione.

Successivamente passò a Federico Pandone.
Appena erede del padre, ai primi del Cinquecento, Federico ebbe fama nel regno soprattutto per la sua vita dispendiosa. Lo conobbe Ferdinando il Cattolico che pubblicamente si meravigliò non poco per il fasto del suo abbigliamento.
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15) Pandone
Lo stemma dei Pandone
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Un cronista del suo secolo, qualche decennio più tardi, annotava che era suo desiderio crearsi una corona di castelli a chiusura del territorio che aveva in potere: “Diede principio ad un castello in una terra sua chiamata Cerro, che era a capo della Baronìa, e con la dolcezza dello edificare e con la borrea di havere una fortezza di opra inespugnabile, cominciò ad impegnare et vendere castella e per finirsi di rovinarsi, pigliò impresa di edificare monasteri et altre fabriche, così con queste spese crebbero i debiti tanto che bastarono a spogliarlo di tutti i dodici castella“.
Era ancora ricco e potente quando si innamorò della bellissima Ippolita d’Afflitto e la loro unione in matrimonio fu occasione mondana per richiamare nella Valle del Volturno personaggi di rango delle rispettive famiglie.

Vincenzo Ciarlanti (Memorie historiche del Sannio), riprendendo dal Mazzella racconta altri particolari della sua vita dispendiosa:
“... imperoché essendo egli Signore di dodeci castella, volle vivere tanto alla grande, e con tanta pompa, che passava il segno di molti ricchi Signori titolati, in nutrire cavalli, e can, nella quantità della famiglia, e qualità della tavola. Entrò poi in errore maggiore, perché nella venuta del Re Cattolico comparve tanto splendidamente, che cominciò a dare principio alla sua rovina. E datosi poi ad edificare un Castello nella sua Terra di Cerro, ch’era capo della Baronia, con la dolcezza dell’edificare, e con l’alterigia di haver una fortezza d’opera, e di natura inespugnabile, cominciò prima a pigliar denari ad usura, e poi ad impegnare,  & a vendere Castella. Né finito in tutto l’edificio della fortezza, per finire di rovinarsi pigliò impresa di fabricare un Convento per li Frati dell’Osservanza; e con queste spese sì grandi crebbero tanto i debiti, che bastarono a spogliarlo di tutte le Castella, che possedeva, le quali ad una ad una furono trasferite sotto l’altrui dominio”.

Il convento di S. Maria di Loreto fu fatto edificare da Federico nel 1510 in prossimità della frazione di Foresta. Non sappiamo le motivazioni che abbiano convinto Federico Pandone ad avere un particolare riguardo per i Francescani Minori Riformati a cui fu affidato, soprattutto conoscendo il suo tenore di vita.

Di questo convento, soppresso e demanializzato nel 1809, ormai rimangono pochi ruderi in un ambiente pesantemente degradato. Dai disegni ottocenteschi sembra che agli inizi di quel secolo il complesso ancora si conservasse in buone condizioni. Negli anni Settanta del secolo scorso ancora si conservava buona parte della struttura interna e sopravviveva anche il soppalco dell’organo con il parapetto in legno dipinto a tempera.
Fortunatamente, prima che l’edificio crollasse definitivamente, una parte dei quadri fu trasferita nella chiesa urbana di S. Maria Assunta dove sono tuttora conservati.
Il quadro principale contiene l’immagine della Madonna che tiene il Cristo bambino benedicente in piedi sulla Casa di Loreto. Due angeli reggono un telo verde alle spalle e altri tre angeli mantengono in volo la casa di Maria che viene rappresentata in una forma che potrebbe essere quella della chiesa del Convento prima delle trasformazioni riconducibili al XVII-XVIII secolo.
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18) S.Maria assunta
La Madonna di Loreto e i donatori Federico Pandone e Ippolita d’Afflitto
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A sinistra, in piedi, vi è la figura di S. Francesco con le stimmate e di S. Giovanni Battista che, avvolto in un mantello rosso, regge il cartiglio con la scritta ECCE AGNUS DEI.
A destra due monaci, uno dei quali è S. Antonio di Padova ritratto con il giglio in mano.
In basso vi sono le rappresentazioni di due personaggi, un uomo ed una donna, che pregano in ginocchio tenendo tra le mani un rosario.
Si tratta sicuramente dei due donatori del quadro.
Poiché i caratteri generali del quadro, pur non essendo di particolare pregio artistico, fanno ricondurre la sua esecuzione ai primi del secolo XVI, come d’altra parte le grottesche nelle lesene delle cornici laterali, dovrebbero individuarsi nei due personaggi proprio Federico Pandone e la sua prima moglie Ippolita d’Afflitto.
19) Particolare Pandone
Federico Pandone e Ippolita d’Afflitto donano il convento di S.Maria di Loreto
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In basso vi è una fascia lignea con i dodici apostoli in cui S. Paolo sostituisce Giuda e con l’immagine di Cristo che è ritratto con una tunica bianca, il mantello rosso ed il vessillo crociato della Resurrezione.
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16) Anonimo XVIII Monastero di Cerro
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Il cod. Cassinese 697 ci offre alcune notizie su Cerro al principio del XVIII sec.:“Parte del territorio di Cerro è situato dentro una valle e questa parte si chiama Civita e parte è edificata sopra un gran sasso e questa si chiama il Castello. Di più tiene 15 casali, ol­tre altri diruti. Delli suddetti casali uno et il più numeroso si chiama il Cupone e gli altri hanno il nome di S. Giovanni, le Fuci, S. Vitto­rio, Cerreta, Piano d’Ischia, le Casi, Valluni etc. Tali casali hanno mantenuto a tutt’oggi gli stessi nomi. Nella parte della suddetta terra chiamata Civita vi è la chiesa madrice sotto il titolo di Santi Apostoli Pietro e Paolo … Nell’altra par­te della terra nominata il Castello vi è la chiesa madrice sotto il titolo di S. Maria Assunta

Questa terra e li suoi casali sta numerata di 233 fuochi. Il territorio di questa terra e casali viene bagnato dal fiume Volturno, ed anco da un fiumicello detto Rio quale produce trote, granci ed altri pesci … Vi sono alcune famiglie civi­li che vivono con il loro. Vi è un dottore in leg­ge e due in medicina. Vi sono molti notari e vi è anche una speziaria.

Attualmente il castello è raccordato ai due borghi da ciò che rimane di una unica cinta fortificata, presumibilmente non anteriore al XIV secolo, di cui rimangono evidenti gli impianti nelle torri circolari. Le attuali torri bastionate che in numero di tre caratterizzano gli spigoli settentrionale, occidentale, meridio­nale, altro non sono che torri circolari di sicu­ra origine quattrocentesca, rinforzate nel XVII secolo da murature a forma di bastione. ma comunque sovrapposte ad un impianto qua­drangolare molto più antico.
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22) Stemma pandone
Lo stemma dei Pandone nel Castello di Venafro
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Quando le terre del Volturno passarono ai conti Pandone nel XV secolo la situazione della penisola italiana si stava profondamente trasformando. La rielaborazione strutturale del Castello di Cerro mediante l’aggiunta delle torri circolari in maniera da renderlo fortezza inespugnabile forse altro non é che l’espressione formale di un sogno di potenza che non si avverò mai.

L’intuizione della famiglia Pandone di poter controllare parte della Penisola italiana attra­verso il dominio diretto dei territori delle pia­nure di Boiano e Venafro e l’organizzazione sistematica degli avvistamenti e delle difese dei passi di S. Francesco e del Macerone che mettevano in comunicazione il Meridione d’Italia con il Nord-Europa, fallì miseramente per il riaprirsi delle strade costiere che divenu­te sicure dopo l’allontanamento definitivo de­i turchi, permettevano collegamenti più rapi­di e comodi.
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13) CERRO portale castello
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Altre trasformazioni del castello sono docu­mentate dalle evidenti sovrapposizioni delle murature alle torri circolari presumibilmente operate da Lucrezia Tumacella Colonna nel 1623. A tale anno si riferisce pure la lapide situata sul portale del castello:

LVCRETIA TVMACELLA DE COLON­NA BARONESSA DI CERRO ET PLAISA­NO DVCHESSA DI PALIANO TAGLIA­COZZO ET MARSI PRENCIPESSA DI PA­LIANO ET SONNINO MARCHESE DELL’ATESSA ET DI CAVE CONTESSA D’ALBI MANVPPELLI ET CICCANO – A.D. MDCXXIII.

24) cerro          23) CERRO

 

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