da Franco Valente, Luoghi antichi della provincia di Isernia, Bari 2003
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Per antica tradizione non solo i Rocchettani, ma anche quelli che vivono nei paesi vicini, vengono alla Madonna delle Grotte a chiedere il desiderato soccorso nelle malattie, o nella carestia.
Sulle origini di questo splendido gioiello dell’architettura rupestre benedettina non si ha alcuna notizia precisa, anche se appare evidente che la sua edificazione sia da collegare alla organizzazione delle terre di San Vincenzo dopo la venuta di Paldo, Tato e Taso nell’VIII secolo. Il documento più antico che attesti la sua esistenza è una campana del 1331, custodita nel campanile della basilica di San Vincenzo, che reca l’epigrafe: FRATER FRANGISCUS DE VULDE REGIA, PRIOR SCE M. DE GRIPTIS, cioè Francesco di Valle Regia, priore di Santa Maria delle Grotte. Nel 1697 Innico Caracciolo, da Montecassino viene a visitarla e per primo ne fa una descrizione ponendola inter saxa et vepres. Sullo straordinario portale trecentesco un’epigrafe posticcia ricorda grossolanamente che nel XVII secolo furono danneggiati e distrutti gli affreschi interni: M.C.D.A. – AD XXIII D.F. 1619 FV RIVOTATA ET BIANCHITA. Nel portale le sottili colonne poligonali, dove compare l’alabastro del Volturno, sembrano tendere, fino ad inarcarla, la cornice superiore, formata da un listello a foglie di acanto, mentre le basi assolvono quasi la funzione di fermaglio. Con grande fatica nella pittura della lunetta si riconosce la figura centrale della Madonna con bambino ed ai lati due angeli ceroferari.
Non appena superato il prezioso portale non si può non rimanere suggestionati dalla particolare articolazione spaziale dell’interno che appare come una vera e propria iconostasi. Grandiosa, secondo la tradizione, la rappresentazione di San Cristoforo. Grandiosa perché Cristoforo, che possedeva una corporatura gigantesca, aveva deciso di mettere la sua forza al servizio del signore più potente della terra, per cui dopo aver servito un re ed un imperatore si donò al demonio, dal quale scoprì che ancora più forte di lui era il Cristo. Per questo si diede alla carità ritirandosi da eremita presso un fiume dove si caricava dei viandanti che dovevano guadare, trasportandoli sull’altra riva. Una notte un bambino gli chiese di portarlo sulla sponda opposta ed egli subito iniziò il trasporto; però, man mano che si inoltrava nel fiume, il fanciullo diventava più pesante, rendendo quasi impossibile il cammino. Tuttavia Cristoforo, che si aiutava con un lungo bastone, riuscì a compiere l’impresa ed allora il bambino gli si rivelò per il Cristo e gli predisse il futuro martirio. Per tutto il XIII e il XIV secolo immagini che lo presentavano sempre in proporzioni gigantesche, con un lungo bastone e con il bambino su una spalla, furono realizzate dovunque e non solo all’interno, ma anche sulle facciate delle chiese o sulle porte delle città. Cosi è pure nella grotta di Santa Maria. I capelli lunghi, ordinatamente raccolti e legati alle spalle, il collo accentuatamente tronco-conico, una sottile e perfetta definizione verticale del naso, nonché il taglio a mandorla degli occhi sono evidenti ripetizioni di moduli orientali, lo fanno sembrare un Cristo Pantocrator. Ricche le decorazioni dell’abito, la cui regolarità geometrica, a cornici quadrate bianche che raccolgono motivi floreali in forma di croci gigliate, non si interrompe neppure dove si accenna alla piegatura della lunga tunica rossa con gocce e rondelle che alludono a pietre preziose e ricami in oro. Un ampio mantello poggia sulle spalle, tenuto da un gancio con borchia circolare di grosse dimensioni. La mano destra del Santo è sollevata ed il palmo aperto è rivolto verso chi guarda; la sinistra invece regge un sottilissimo bastone che, innestandosi sulla diagonale che congiunge gli spigoli del riquadro, contrasta con la solenne verticalità della figura.
A lato è Santa Margherita di Antiochia, molto nota e venerata nella zona come protettrice delle partorienti. E poi ancora San Mauro che salva Placido, San Nicola vescovo di Mira, con l’aureola modulo base della costruzione geometrica, che tira per i capelli un fanciullo con una coppa, Sant’Onofrio coperto solo dai peli della barba, San Francesco con le stimmate, San Leonardo con i ceppi dei carcerati, San Giovanni con la pelle di cammello, San Benedetto con
Ma una visita speciale merita l’antico borgo di Rocchetta Vecchia, posta su uno sperone di roccia che inesorabilmente e progressivamente crolla verso valle. Il paese è completamente abbandonato e, girando per i suoi pochi vicoli , si ha l’impressine di tuffarsi nel passato. L’antica chiesa di S. Maria Assunta fatta con gli avanzi di architetture più antiche, forse provenienti dal vicino monastero di S. Vincenzo, si affaccia sulla piccola piazza che è anticipata dalla porta ancora intatta della cinta urbana. In alto il castello longobardo domina tutto il nucleo edificato ormai distrutto anche se resta vivo il ricordo di un sarto che alla fine dell’ottocento volle darsi un blasone facendosi fare lo stemma sul portale di casa con una bella macchina da cucire.
Giù a valle si vede la grande polla delle sorgenti del Volturno, il fiume più importante dell’Italia meridionale, che proprio da Rocchetta comincia il suo tortuoso viaggio verso il Tirreno. Qui, una volta, alla sua scaturigine, era sistemata la statua del dio Olotrone che poi divenne Voloturnus. La bellezza del luogo ne aveva determinato anche la sacralità. A qualche chilometro è Castelnuovo che si chiamava così nel 1383. E’ chiaro che prima esisteva un altro nucleo più antico, che presumo distrutto dal terribile terremoto del 1349. Da Castelnuovo, posta su macigni orrorosi comunemente colà chiamati marri (come sottolinea Masciotta), si parte per straordinarie escursioni sui monti delle Mainarde, penetrando nel Parco Nazionale d’Abruzzo che comprende anche questa parte del territorio molisano.
Sono circa quattro anni che ho scelto come meta delle mie vacanze in montagna Rocchetta al volturno e ci sono stato due volte la prima volta da solo e la seconda volta con un amico ho alloggiato alla residenza valle fiorita tutte due le volte. Sono un fotografo freelance appassionato naturalista e paesaggista e sono stato affascinato dalla semplice e disarmante bellezza di questi luoghi, Percorrendo a piedi e per i sentieri scendendo alla sorgente e risalendo verso il lago avrei voluto ritornare alla residenza percorrendo tutto il perimetro ma il sentiero che scendeva da rocchetta vecchia verso il lago era impraticabile dalle spine e arbusti che la ricoprivano,sarebbe stata una bella e completa avventura e invece deluso ho dovuto ripercorrere la strada a ritroso fino a S. Vincenzo e ridiscendere dal sentiero della sorgente. Sono stato al sito archeologico della cittadella monastica e all’abbazia di S.Vincenzo. Amo Rocchetta ma lo dico con delusione è tenuta in maniera disonorevole, avendo poca cura.
Carissimo Gennaro,
se leggi quello che ho scritto sulle condizioni del sito di S. Vincenzo puoi capire la mia rabbia.
Il sito di S. Vincenzo è un porco appeso per una banda di falsi archeologi protetti dai boiardi dello stato.
Una gallina dalle uova d’oro….
In ultimo questo: http://www.francovalente.it/2013/11/16/i-giovani-molisani-devono-sapere-che-per-la-cultura-ufficiale-essi-sono-solo-carne-da-macello/
Caro Franco Valente Anche quest’anno negli ultimi giorni di luglio sono stato cinque Giorni in vacanza a Rocchetta alta alloggiando alla residenza Vallefiorita con due amici gli volevo fare da cicerone per far conoscere loro il paesino ma le erbacce altissime ci hanno impedito il cammino e non solo alcune case già in condizionipietose sono franate ostruendo il sentiero che mi permetteva di arrivare fino alle ultime case di Rocchetta da dove si riesce a scorgere il lago San Vincenzo sia io che i miei amici siamo rimasti malissimo quasi scoppiavamo in lacrime non è giusto che un pezzo di storia della nostra bella Italia debba cadere così miseramente e non è solo Rocchetta basta pensare ai vari centri storici medievali dell’alto Casertano, e di tutti gli altri luoghi abbandonati.