Centri fortificati nel Molise

BUSSO

By 17 Settembre 2007 Luglio 12th, 2008 No Comments

da Franco Valente, Castelli, rocche e cinte fortificate del Molise. (Volume in preparazione)

 

 

(Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio. Questo articolo è protetto da diritti Creative Commons)
Che Busso avesse un castello si può desumere solo dalla circostanza che il nucleo urbano sicuramente esisteva in epoca normanna, anche se nel Catalogo dei Baroni del XII secolo il suo feudo non viene riportato. Cercheremo di spiegare il mistero più avanti, dopo aver documentato gli elementi che ci inducono ad affermare la sua esistenza almeno intorno alla metà di quel secolo.
Sappiamo che il Catalogo dei Baroni è il registro fatto redigere dal re normanno tra il 1150 ed il 1168 per una grande leva generale necessaria per formare una grande armata reale sostenuta da tutti gli uomini liberi prescindendo dal loro stato sociale e dal loro rapporto feudale.
Dal catalogo normanno ricaviamo che Robertus de Ripa tenet medium Quadranum a domino Riccardo de Busso quod est medium pheudum.
Inoltre che Dominus Tielesius tenet Goflianum quod est pheudum unius militis et tenet medium Quadranum a Riccardo de Busso quod est medium pheudum.
E infine che Rogerius de Pede de Monte tenet Gambatissam inhabitatam a Riccardo de Busso quod est pheudum unius militis.
Dunque Riccardo di Busso aveva dato in sub-feudo a Roberto di Ripa metà del feudo di Quadrano. L’altra metà, insieme all’intero feudo di Gofliano, era stata concessa ad un certo Tielesio, mentre Gambatesa, che era disabitata, era stata data a Ruggero di Piedimonte.
A questa notizia già nota anche al Masciotta, dobbiamo aggiungere anche un’altra più antica di qualche anno.
Tra i possedimenti di Montecassino elencati nelle porte di bronzo di vi sono anche i pascoli del Matese: pascua de Matese. Di questi pascoli riferisce Pietro Diacono (Registrum Petri Diaconi, f. 71v n° 159 I) quando riporta la notizia che il 31 luglio 1145 il barone Nibelone di Busso (de Buxone) e sua moglie concessero all’abate Rainaldo II il diritto a far pascolare le greggi dell’abbazia sui monti del Matese: ius pascendi armenta ipsius ecclesiae in monte qui dicitur Matese.
In quel periodo Busso, insieme ai feudi vicini di Oratino, Baranello, Vinchiaturo e Sepino che territorialmente facevano parte del Principato di Capua, apparteneva alla contea di Molise.
In epoca angioina troviamo citato un altro Riccardo di Busso, ma dell’esistenza del nucleo urbano nessuna notizia. Infatti, tra i paesi che devono contribuire alla riparazione del Castello federiciano di Lesina vengono richiamate in maniera generica anche le baronie di Riccardo di Busso: Castrum Alesine potest reparari per homines ipsius terre, item per homines Civitatis S. Leucii, baronie S. Helene, Cleuti, Collis Torti, Macle, Ricie, Clusani, Vipere, Celencie, Montis Rotani et baronie domini Riccardi de Busso.
Di Riccardo di Busso sappiamo che già dal 15 aprile 1248 era provisor castrorum Aprucii per conto di Federico II (E. STHAMER, L’amministrazione dei castelli ecc.,op. cit., p. 32, riprendendo da Winkelmann I 709 n. 933. RI n. 3697) ma non possiamo essere ugualmente certi che all’epoca dello statuto angioino sulla gestione dei castelli egli fosse ancora in vita immaginando che con la definizione di baronie domini Riccardi de Busso si potesse intendere semplicemente una definizione territoriale.
Come pure sappiamo che nel mese di luglio del 1221 Roberto, ugualmente di Busso, sia stato incaricato da Federico II di compiere perquisizioni nelle terre di S. Germano sottostanti l’Abbazia di Montecassino, sotto il comando del giustiziario Enrico di Morra, contro bande di falsari, giocatori d’azzardo, tavernieri, omicidi, coloro che conducevano vita lussuosa, portatori di armi vietate e violentatori di donne: Mens julii inquisitiones sunt in Sancto Germano, et per totam terram Sancti Benedicti per Robertum de Busso jussu Magistri Justitiarii de Compagniis, falsariis aleatoribus, tabernariis, homicidis, vitam sumtuosam ducentibus, prohibita arma portantibus, et de violentiis mulierum (RICCARDO DA S. GERMANO, Cronica, an. MCCXXI).
Il 14 dicembre 1231 lo stesso Roberto di Busso era provisor castrorum Aprucii per conto di Federico II (E. WINKELMANN, Acta imperii inedita, 626 n° 804. Innsbruk 1880 (cit. da Sthamer)) ed è primo provisor castrorum di cui si abbia una notizia sicura (E. STHAMER, L’amministrazione dei castelli ecc.,op. cit., p.24).
Lo svevo, infatti, aveva utilizzato come provisores prevalentemente uomini del regno (E. STHAMER, L’amministrazione dei castelli ecc.,op. cit., p.31-32).
Roberto di Busso dovette avere un ruolo importante nella politica inquisitoria di Federico tanto che ne parla anche Riccardo di S. Germano nella sua Cronaca al gennaio del 1232: Venendo in S. Germano il maestro Giustiziere Enrico di Morra, ordinò di farsi note e pubblicarsi le inquisizioni già fatte per comando dell’imperatore da Roberto di Busso barone del Contado di Molise, esibendo a ciascuno degl’infamati il libello della sua infamia nonché i nomi degli infamanti.
Invece abbiamo qualche notizia più certa dell’esistenza del nucleo di Busso quando il feudo fu confiscato a Ruggero da Carlo d’Angiò al momento in cui fu data la notizia che Corradino aveva dato inizio alla sua spedizione contro gli angioini.
Tutti i baroni che non si erano schierati con il d’Angiò furono, ad opera di Pandolfo di Passanella, privati dei loro feudi e tra questi Ruggero feudatario di Busso, Giovanni della Grotta, Riccardo di Rebursa, Primiano di Serracapriola, Ruggero di Andracone, Matteo di Lupara, Aleramo di Guglionesi, Riccardo di Spinete (G. MORRA, Il duecento nel Molise, in “Almanacco del Molise 1979).
Nel tempo il nucleo di Busso nella sostanza è rimasto impiantato sul luogo della sua prima edificazione. Della cinta muraria apparentemente nulla è rimasto e tantomeno si trovano tracce evidenti di un castello, tuttavia una serie di elementi catastali ci possono aiutare a immaginare quale potesse essere il sistema di difesa dell’agglomerato.
Il punto apicale naturale del colle su cui poggia il paese è occupato interamente dalla chiesa parrocchiale di S. Lorenzo. Della sua esistenza non si ha testimonianza nelle Rationes Decimarum Italiae perché all’anno 1309 si fa riferimento in maniera generica ad un clero di Busso in diocesi di Boiano (Clerici Bussi tar. III). Per logica il castello dovrebbe occupare la medesima posizione della chiesa, ma tutta l’area, sebbene sostanzialmente modificata in un epoca imprecisabile, non presenta apparati murari che possano essere ricondotti a strutture castellane. Tuttavia l’impianto quadrangolare del nucleo edilizio che si sviluppa allo stesso livello del piano di S. Lorenzo, dalla parte della facciata laterale occidentale, fa propendere per riconoscere in quel gruppo di case la ripetizione di una struttura quadrangolare che potrebbe corrispondere ad un castello isolato all’interno di una cinta muraria ad andamento vagamente ovale che doveva proteggere l’intera terra abitata.
Una ricostruzione dell’andamento della linea muraria che si può tentare proponendo l’antica esistenza di quattro porte di cui oggi non rimane alcuna traccia.
Una porta, da capo, doveva trovarsi nel punto intermedio compreso tra la chiesa del Carmine e quella di S. Anna, ambedue costruite fuori del perimetro murario in epoche successive al XVI secolo.
Una seconda porta, da basso, doveva trovarsi nel punto diametralmente opposto, nel luogo planimetricamente più basso dell’abitato, in corrispondenza di una via di accesso che seguiva poi l’andamento naturale del terreno per raggiungere una terza porta, forse l’unica carrabile, sul versante occidentale della linea muraria. Di questa porta rimangono solo testimonianze orali relative all’esistenza dell’alloggiamento lapideo di uno dei perni del portone, eliminata in epoca prossima alla nostra per allargare la strada.
Il quarto ed ultimo accesso si trova dalla parte opposta alla terza. Ancora oggi il varco viene popolarmente chiamato con il termine di portella. Percorrendo il limite esterno del nucleo abitato in nessun luogo si trova traccia di torri circolari o di muratura a scarpa, lasciando ipotizzare che in epoca angioina (XIII-XIV sec.) non vi siano stati interventi di adeguamento della struttura ad una difesa attiva. La circostanza porta a ritenere che l’iniziativa punitiva di Carlo d’Angiò nei confronti di Ruggero di Busso e la confisca dei suoi feudi abbia determinato un conseguente abbandono del nucleo o, comunque, un suo impoverimento.
Il Masciotta [1] (G.B. MASCIOTTA, Il Molise ecc., op. cit, vol. II -Il circondario di Campobasso-, pp. 42-43), ricostruendo le vicende feudali, ricava dal Vincenti (P. VINCENTI, Historia della famiglia Cantelmo. Napoli 1604, p.36) che Nicolò d’Alife avrebbe venduto il feudo di Busso a Reistamo Cantelmo, conte di Popoli e Bovino, intorno al 1377.
Lo stesso Vincenti riferisce che un Giovanni Cantelmo, feudatario di Busso, era vivente nel 1459 ed era marito di Giovannella Gaetana, figlia di Onorato duca di Fondi. Ai Cantelmo seguirono i Galeota-Capece (S. AMETRANO, Della famiglia Capece, Napoli 1603, p. 70), come attestato da Scipione Ametrano che riporta il nome di Niccolò signore di Busso all’anno 1488.
I Gaetani tennero Busso fino al 1545 quando passò a Francesco Perez che cinque anni dopo, nel 1550, lo cedette a Giacomo del Tufo. Suo figlio Giovanni Vincenzo morì nel 1584 e i creditori chiesero la vendita del feudo all’asta per recuperare i crediti. Solo dopo 10 anni, nel 1595, Busso fu aggiudicata a Tommaso Marchese che nel 1604 la vendette a Ottavio Cagnetta. Da questi passò nel 1607 a Giovanni Girolamo della Monaca e poi, nel 1612, a Orazio Caracciolo.
Ceduta a nel 1621 a Bartolomeo Malucci, subito dopo, nel 1625, divenne feudo di Francesco Maria Riccardo marchese di Ripalimosani, nel 1630 di Giovannantonio Parisi e nel 1647 della famiglia Canaviglia che nel 1708 cedette il feudo alla famiglia Giordano che lo mantenne fino alla fine del secolo.

 

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