Antichità romane

Gli scacchi di Venafro, storie ordinarie di ordinarie bugie archeologiche

By 15 Agosto 2009 2 Comments

Gli scacchi di Venafro, storie ordinarie di ordinarie bugie archeologiche

Franco Valente

Scacchi_di_Venafro

Le bugie dei boiardi sugli scacchi di Venafro

Da qualche mese è ritornato di attualità il problema del trasferimento a Venafro dei famosi pezzi degli scacchi di Venafro che furono ritrovati nel 1932 durante uno scavo in località S. Aniello di Venafro, nei pressi del Teatro romano.

Poiché la questione sta assumendo l’aspetto grottesco di una trattativa simile a quelle che si fanno per lo scambio di ostaggi, mi permetto di inserirmi per evitare che i ritardi e le omissioni dei boiardi dello Stato (ovvero i Direttori archeologici e i Soprintendenti del Ministero per i Beni Culturali che vivono nel Molise a spese dei contribuenti) vengano assunti nell’immaginario collettivo come problematiche insuperabili.

I boiardi della Stato, sempre pronti ad assumersi meriti che non hanno, da circa 40 anni a tutto pensano fuorché agli interessi di Venafro che con il proprio patrimonio archeologico permette a un buon numero di persone di ricevere menisilmente uno stipendio sicuramente meritato, ma di poco vantaggio per la città.

Devo ringraziare il buon don Giulio Testa se è rimasta traccia negli annali di Venafro (“Venafro nella storia“, 1986) del fatto che il Museo Archeologico è stato istituito nell’edificio comunale di S. Chiara in conseguenza di una mia iniziativa quando nel 1970, giovane consigliere comunale, proposi di donare allo Stato il convento con l’obiettivo specifico di creare le condizioni per far ritornare da Chieti la celebre Venere trovata nel 1958 e da Napoli gli scacchi scoperti nel 1932.

Per coloro che hanno la memoria corta così riferisce don Giulio Testa: “Al termine di una lunga relazione per la salvaguardia del Centro Storico e dei Monumenti il consigliere Franco Valente propone di offrire al Ministero della Pubblica Istruzione … perché in esso sorga la nuova sede ed ivi si realizzi l’aspettativa di tutti i Venafrani di vedere riaperto e valorizzato il Museo Civico, ricco di preziose opere…..
La proposta veniva definitivamente approvata all’unanimità con delibera di consiglio del 12 dicembre 1970.

Dunque è bene che si sappia che la restituzione degli scacchi è un’operazione dovuta per legge perché la legge italiana obbliga il mantenimento dei reperti nei luoghi in cui sono stati trovati. Peraltro non si tratta di trasferimento di un bene da un Ministero ad un’altra istituzione, ma semplicemente lo spostamento da un Museo di Stato ad un altro Museo di Stato di una cassetta il cui peso non supera il chilogrammo.

Se c’è ritardo nella riconsegna ciò è dovuto solo alla impreparazione della Soprintenza ai Monumenti che non ancora provvede alla predisposizione delle custodie necessarie per la conservazione degli scacchi che, essendo di osso, hanno bisogno di particolari accortezze.

Perciò le responsabili delle lungaggini per il trasferimento degli scacchi sono da attribuire solo ed esclusivante ai boiardi della Soprintendenza che frequentemente si grattano la pancia durante le faticose giornate dedicate a burocratizzare anche la pressione sullo sciacquone.

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Le verità degli studiosi sugli scacchi di Venafro

Nel 1988, nel preparare l’Almanacco del Molise insieme ad Enzo Nocera, decidemmo di inserire anche un piccolo studio sugli antichi scacchi di Venafro affidando il lavoro ad una giovane archeologa Fabrizia D’Urbano. Con lei mi recai a Napoli al Museo archeologico per poterli osservare dal vero e, non essendo possibile fotografarli, ne feci un rapido rilievo grafico che fu messo a corredo dell’articolo che D’Urbano pubblicò poi sull’Almanacco del Molise 1989 sotto il titolo: Gli scacchi di Venafro.

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Fanti e cavalli

A quel tempo (1988) gli studi sugli scacchi di Venafro erano ancora fermi all’epoca del ritrovamento in località S. Aniello, nei pressi del Teatro Romano (1932) e non si era in grado di attribuire una datazione certa e l’area di provenienza, per cui sostanzialmente poco si poteva aggiungere alle considerazioni già fatte se non per la parte descrittiva.

Così Fabrizia D’Urbano:
Il ritrovamento ha interessato moltissimo gli studiosi di storia degli scacchi, ma non altrettanto interesse forse tra archeologi e storici dell’arte, se ancora oggi l’unico studio fatto rimane quello di Olga Elia nel Bollettino Storico dell’Impero Romano nel 1940.

I pezzi, conservati nei depositi del Museo Nazionale di Napoli e non esposti al pubblico, sono stati datati al III sec. d.C., anticipando dunque di ben 7 – 8 secoli la teoria sulla loro introduzione in Occidente.

Sono 19 pezzi integri, più alcuni frammentari. Si differenziano per forma e dimensioni, mentre una caratteristica comune é la lavorazione esterna che consiste in scanalature oblique non perfettamente parallele tra di loro n‚ poste alla stessa distanza l’una dall’altra la cui semplicità é spia di una lavorazione rustica, non raffinata.

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Il re e la regina

Due pezzi tra tutti si distinguono per le maggiori dimensioni, con un rapporto tra diametro e altezza di 1:1 circa; a 3/4 dell’altezza totale un particolare distingue i due: si tratta di un semicerchio e di un trapezio al di sopra dei quali é una fascia non lavorata. Il riferimento ad alcune miniature medioevali consente di riconoscere in uno il Re, e nell’altro la Regina. Altri due pezzi frammentari consentono di ricollegarli a questi, poiché presentano le medesime caratteristiche.

Immediatamente dopo, per dimensioni, si collocano tre pezzi che suggeriscono chiaramente l’idea di una torre, con una spaccatura centrale che verso l’alto forma una sorta di coda di rondine. Nell’interno le fasce sono lisce.

Sostanzialmente simili si presentano tutti gli altri pezzi, tra cui distinguiamo tre diverse dimensioni e la presenza di beccucci, piccole protuberanze in quelli di misura maggiore che sono per alcuni di essi in numero di due, per altri uno solo; tre presentano un solo beccuccio e quattro invece (uno dei quali spezzato) ne presentano due, e questo particolare sebbene minimo distingue gli uni dagli altri.

Infine abbiamo cinque pezzi più piccoli, che probabilmente avevano la funzione degli attuali Fanti. Sono realizzati con osso e lo stato di conservazione é complessivamente buono.

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Torri

Queste considerazioni derivavano anche dagli studi di  O. Elia e H. Fuhrmann che, sulla base di osservazioni fatte direttamente sugli scacchi di Venafro, avevano ipotizzato che essi appartenessero ad un periodo intorno al II-IV secolo d.C., anche sulla scorta di generiche fonti letterarie che riferivano di un gioco dei soldati  (latrunculorum lusus) consueto per i legionari romani e che era una sorta di gioco degli scacchi accompagnato dall’uso dei dati.

La datazione degli scacchi di Venafro, però, fu definitivamente chiarita nel 1994 quando furono prelevati 2 grammi della sostanza ossea di cui erano fatti e analizzati con il metodo al radio-carbonio mediante spettrometria di massa.

Si arrivò alla conclusione che i pezzi di Venafro sono databili intorno al 900 d. C., con possibilità di errore in più o in meno di circa 100 anni.

Perciò la loro epoca può oscillare tra l’VIII ed il X secolo d.C..

Per onestà intellettuale bisogna dire che già nel 1975 Pavle Bidev, filosofo della macedonia e uno dei massimi esperti di storia degli scacchi, aveva messo in dubbio la datazione affermata dagli altri studiosi.

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Torri

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