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L’altare di S. Amico a S. Pietro Avellana

By 28 Ottobre 2010 Gennaio 1st, 2014 One Comment

L’altare di S. Amico a S. Pietro Avellana

Franco Valente

S.Amico

Tra gli altari secenteschi più interessanti della regione vi è quello di S. Amico a S. Pietro Avellana. Per una serie di concomitanze.

La più importante è legata al fatto che vi si conservi il corpo di S. Amico, vissuto nel monastero benedettino di S. Pietro Avellana, la cui vita si arricchì nel tempo di episodi anche leggendari.

S.PietrValente

La seconda è la sua particolare forma architettonica.

La terza è la data di esecuzione che, come attesta la lapide laterale fatta mettere dall’abate committente, è del 1623.

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Non tutti sanno che S. Amico, santo confessore e taumaturgo, è considerato il protettore dalle ernie. Un patronato che gli fu attribuito sulla scorta dei miracoli che sono sintetizzati in una serie di quadri collocati nella chiesa che gli è dedicata.

Uno dei miracoli è quello del lupo costretto a portare un carico di legna dopo aver sbranato il mulo che era addetto a quel trasporto.

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MiracS.Amico2

Ma non è dei miracoli che vogliamo parlare, quanto piuttosto della serie dei cinque quadri sistemati sulle pareti della chiesa e in particolare di due di essi che recano la ricostruzione scenica di due eventi straordinari avvenuti davanti alla tomba di S. Amico.

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In uno si tratta della guarigione di un ferito che viene portato davanti all’altare di S. Amico dai suoi familiari.

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Nell’altro, come spiega l’epigrafe sottostante, si racconta l’episodio della guarigione del parroco assistito da tre monaci benedettini e da un prete secolare.

Delle rappresentazioni a noi interessano due particolari: la rappresentazione dell’altare e la data dell’epigrafe.

Ambedue fanno sorgere alcune perplessità sulla datazione dell’altare oggi presente nella chiesa.

S.Amico2

Ma andiamo per ordine, cominciando dalla descrizione della tomba di S. Amico come appare oggi, tenendo conto che la chiesa è sicuramente molto più antica di essa. Del carattere della chiesa, riconducibile al XIV secolo, avremo modo di parlare in altra occasione. Certamente, comunque, la parte fondale era caratterizzata da una terminazione absidale successivamente murata. Non sappiamo se in conseguenza del terremoto del 1456, cui si attribuisce per tradizione popolare la causa dei dissesti che ancora appaiono nell’evidente fuori-piombo del lato sinistro, oppure per le variazioni liturgiche determinate nel XVI secolo in applicazione delle nuove norme conciliari post-tridentine.

L’altare è coperto da un ricco ciborio quadrato appoggiato su due lesene a lato della nicchia del santo e due pilastri sul prospetto (dove reggono un articolato frontone) tutti riccamente decorati a stucco con forti reminiscenze cinquecentesche, come il listello inserito nello specchio, le teste alate di puttino, i rilievi fitomorfici, i cartigli piuttosto rigidi  e le cornici degli archi.

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Reminiscenze che, però, non devono trarre in inganno perché un tal tipo di ornamentazione si estende a buona parte del secolo XVII, come si riscontra in quasi tutti gli altari lignei secenteschi e come probabilmente è accaduto anche a S. Pietro Avellana. Sulla scorta di tali considerazioni si potrebbe ritenere che il ciborio sia di data immediatamente successiva alla realizzazione della mensa dell’altare la cui datazione sarebbe inoppugnabile se è credibile, come è credibile, la lapide che ne ricorda la realizzazione.

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Infatti, sul lato sinistro dell’altare vi è una vistosa iscrizione che senza alcun dubbio rinvia all’anno 1623 la sua edificazione nella forma in cui si vede:
R.P.D. BERNARDINVS DE SAAVEDRA
ABBAS CASSIN.
ALTARE HOC LAPIDE VARIATO ANTE
ARCAM LAPIDEAM IN QVA
CORPVS S. AMICI ASSERVATVR
FACIENDVM CVRAVIT
ANN. DNI MDCXXIII DIE XXII SEPT.
(Il reverendo padre don Bernardino de Saavedra
ebbe cura di far realizzare questo altare di pietra multicolore,
davanti alla tomba lapidea nella quale è conservato il corpo di S. Amico nel giorno 22 settembre dell’anno del Signore 1623
).

L’abate de Saavedra è ricordato nella cronotassi degli abati di Montecassino come Bernardino Saivedra da Trani, da cui proveniva. Tenne la guida del monastero come abate commendatario per tre anni, dal 1621 al 1624.

Di lui si ricorda un suo viaggio a Milano in pellegrinaggio per impetrare la protezione di S. Carlo, ottenendo dal cardinale Federico Borromeo una reliquia del santo consistente in un frammento di spugna imbevuto del suo sangue, come racconta l’archivista di Montecassino P. Tommaso Leccisotti  (Reliquie di S. Carlo a Montecassino, in “Aevum”, XIII, 187-192).

Il G. B. Masciotta (Il Molise dalle origini ai nostri giorni, Il circondario di Isernia, p.475) riferisce, senza citare la fonte, che il 22 settembre 1623 l’abate sia intervenuto personalmente, con grande concorso di popolo, alla consacrazione dell’altare e al riconoscimento della tomba originaria del santo la cui autenticità era attestata dall’antica epigrafe “Hic jacet divus Amicus”.

Ma perché i due quadri dei miracoli di S. Amico davanti alla sua tomba creano perplessità?

Il secondo dei due reca in basso a destra una rovinata epigrafe che riconduce la committenza al parroco Giovanni Salvatori.

EpigrSalvatori

Della scritta, ormai quasi illeggibile, si possono con certezza individuare alcune parole che per noi sono sufficienti per capire il suo senso e quanto basta della data: …. Lxma …. Aelemosina ……. Rev…… D. Johanni D… Salvatore merito Archipresbyteri ….. …. Anno Domini 1769.

Sappiamo che Giovanni Salvatori fu arciprete di S. Pietro Avellana dal 1760 al 1812 e, conseguentemente, è attendibile la data che sembra potersi leggere sul quadro.

La questione complessa riguarda la rappresentazione dell’ambiente.

Nella figurazione non solo appare un altare privo dei modiglioni con volute che reggono la mensa,  ma, soprattutto, non vi è traccia del ciborio.

Altare2

Ben riconoscibile è, invece, l’oculus che permette di vedere la tomba lapidea del santo e la pietra variegata del paliotto e la scritta lievemente modificata in SANCTVS AMICVS CASINI MONACVS, in luogo di quella che vi si legge oggi: CORPVS S. AMICI CONFESSORIS ET MONACHI CASSINENSIS

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Se la rappresentazione fosse veritiera dovremmo concludere che nel 1769, o comunque all’epoca dell’arciprete Giovanni Salvatori, sia i modiglioni, sia il ciborio, ancora non erano stati realizzati.

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Stessa questione nel quadro con il ferito portato davanti all’altare di S. Amico dove la scena è ambientata in una chiesa che non ha alcun elemento architettonico riferibile a quella attuale, salvo l’oculus e la mensa dell’altare.

Gli elementi che costituiscono l’involucro della tomba di S. Amico fanno ritenere che colui che dipinse le storie ed i miracoli di S. Amico abbia sintetizzato in maniera estrema l’ambientazione degli avvenimenti e che, dunque, all’epoca dell’arciprete Salvatori l’altare ed il ciborio già avessero la forma che oggi appare.

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Diretta conferma sono i modiglioni e le parti laterali dell’altare perché sono fatti con gli stessi materiali usati nella parte centrale della mensa e non si vedono segni di discontinuità nella esecuzione delle cornici.

Ci aiuta a definire come esatta la datazione del 1623 riportata nella lapide dell’abate de Saavedra anche il carattere stilistico della decorazione delle mensole dove le scanalature della parte sottostante le volute sono rastremate verso il basso secondo una moda romana che appartiene al rinascimento tardo cinquecentesco.

ModiglioneS.Amico

Ma vi è un particolare che elimina ogni dubbio e conferma in pieno la datazione dell’intero apparato architettonico dell’altare.

Nascosto nella ricca decorazione della volta del ciborio, all’interno di un minuscolo cartiglio, l’occhio attento scopre che vi è  segnato l’anno in cui l’opera fu portata a compimento.

1599

La data del 1599 che vi si legge attesta in maniera inequivocabile che anche a S. Pietro Avellana, alla fine del secolo e in sintonia con le opere cinquecentesche che si andavano completando a Montecassino nella cui giurisdizione diocesana si trovava la parrocchia di S. Pietro, era arrivata la cultura rinascimentale di Roma.

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