S. Maria di Canneto “iuxta Trinum” in agro di Roccavivara
Lì, dove il Trigno comincia ad allargarsi e rallentare il suo corso vorticoso, brandelli di pavimenti a mosaico, lapidi commemorative, blocchi di pietra circolari, grandi orci di terracotta e avanzi di murature attestano in maniera inequivocabile che i Romani, conquistato il Sannio, avevano bonificato anche i luoghi meno ospitali del territorio.
In questo luogo oggi gli archeologi lentamente portano alla luce gli avanzi di un complesso di edifici che facevano parte di una grande fattoria fornita di attrezzature per la trasformazione e la conservazione dei prodotti che ricavava dalla coltivazione dei terreni circostanti.
Come spesso accade nell’Alto Medioevo, la presenza di materiale lapideo e la possibilità di utilizzare muri antichi come fondazioni per nuove costruzioni, fu l’occasione, per i monaci benedettini di impiantarvi una propria comunità che nel tempo si ingrandì fino a fare di Canneto uno dei punti più importanti della sua organizzazione territoriale.
Siamo ai primissimi anni dell’VIII secolo, al tempo del completamento dell’espansione longobarda nell’Italia meridionale e questo cenobio, come altri, era sotto il controllo politico dei duchi di Benevento.
Il “Chronicon Vulturnense” ci aiuta a capire una parte della storia di questi luoghi perché i monaci di S. Vincenzo al Volturno registrarono la donazione del duca Gisulfo che da Benevento concedeva ad essi quello che rimaneva del monastero che era stato in gran parte distrutto da un violento incendio.
Il monastero nel tempo fu ricostruito più volte e quello che si vede oggi corrisponde, in linea di massima, all’edificio rimaneggiato per l’ultima volta prima di un lungo abbandono dall’abate Nicola nel 1329 che conservò l’impianto architettonico dei primi tempi.
Proprio osservando i blocchi curvilinei delle absidi, provenienti da un sepolcro romano, pietre erratiche con misteriosi segni che alludono ad interpretazioni apocalittiche disseminate sulla facciata insieme alla lunetta con l’agnello crucifero ed il leone, capitelli romani alternati ad altri medioevali, si ha l’idea che S. Maria iuxta Trinum, come è definita nei codici antichi, abbia sempre resistito alla inesorabilità del tempo e, spesso, all’incuria degli uomini.
Ne è testimonianza incontrovertibile il suo straordinario e misterioso pulpito asimmetrico, che però è perfettamente regolare nella parte superiore che sintetizza simmetricamente la cultura benedettina dell’”ora et labora” con la rappresentazione dei monaci e dell’abate intenti da una parte ai lavori dei campi, dall’altra alle attività liturgiche della preghiera.
La data 1223 impressa nell’archivolto attesta che in epoca federiciana i rapporti tra i benedettini e l’impero erano tornati normali e che il monastero in quel tempo godeva di una rinnovata autonomia.
Per lunghi secoli abbandonato, il monastero di S. Maria sul Trigno è tornato a rivivere grazie all’iniziativa coraggiosa di don Duilio Lemme che nel 1931, tra luci ed ombre per i criteri seguiti nel restauro, ha avuto il merito di restituire alla storia uno dei luoghi più importanti del territorio molisano
Ricostruzione storica attenta e puntuale.
Utile per farla conoscere, per un approfondimento (da parte di chi già conosce) dal punto di vista storico, archeologico e culturale.
Grazie, Mario!