Archeologia e trippa per gatti

S. Vincenzo al Volturno distrutto dai nuovi saraceni. Quelli veri!

By 10 Ottobre 2014 Ottobre 12th, 2014 4 Comments

ERA IL 10 OTTOBRE 881. ARRIVARONO I SARACENI

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POI, DOPO IL 1996, ARRIVARONO I NUOVI SARACENI

 

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Un giorno, quando avrò tempo, scriverò la vera storia del Parco Archeologico di S. Vincenzo al Volturno.

Oggi mi limito a constatare che coloro che ne hanno decretato la morte per una insana mania di protagonismo accoppiato al desiderio di ricchezza vengono accolti come salvatori della patria all’interno del monastero.

Io non ho fretta. La storia si scrive con i documenti. Anche con i documenti che sono in mio possesso.

I grandi esclusi sono

Richard Hodges, lo scopritore e il massimo archeologo di S. Vincenzo al Volturno.

Bernardo D’Onorio
, abate illuminato di Montecassino che consentì la formazione del grande parco archeologico

Gino Di Bartolomeo
che, presidente della Giunta Regionale, per primo credette in maniera concreta a questo grande progetto di lavoro.

Franco Valente, Franco Dituri e Rocco Peluso,
gli originari progettisti e direttori delle prime opere del grande parco archeologico.

TUTTI CACCIATI DA S. VINCENZO AL VOLTURNO da Federico Marazzi (che con abilità machiavellica fece fuori Richard Hodges) e Pietro Vittorelli (ex abate di Montecassino, ex monaco, che fece fuori Bernardo D’Onorio e i suoi architetti Valente, Dituri e Peluso).

Di Pietro Vittorelli , ex abate ed ex monaco, si sono perse le tracce. Federico Marazzi, con il sostegno della Regione Molise, continua a pubblicare gli esiti delle scoperte che dice di aver fatto.

MA IL TEMPO E’ GALANTUOMO!

La Storia di S. Vincenzo è fatta di intrighi misteriosi in cui hanno giocato un ruolo determinante le camarille politiche da una parte e quelle ecclesiastiche dall’altra.

Papa Francesco ha cominciato a metterci mano e tra non molto ne avvertiremo le conseguenze

Chi ama la storia non ha fretta.

 

San Vincenzo al Volturno, occasione persa

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San Vincenzo al Volturno, occasione persa copia 3

 

In questo articolo di oggi 10 ottobre 2014 si fa cenno al museo progettato dal compare di Federico Marazzi. Guardate come è ridotto:

http://www.francovalente.it/2012/01/06/lo-scandalo-del-museo-archeologico-di-castel-s-vincenzo-un-affare-di-miliardi-pubblici-andato-in-fumo/

 

 

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A chi vuole rendersi conto di cosa si stava facendo a S. Vincendo agli inizi degli anni Novanta consiglio di avere pazienza e leggere quello che io ho scritto nel 1996 e che rimane il pilastro teorico di tutto quello che si deve fare a S. Vincenzo al Volturno per una rinascita del luogo.

Il resto è roba da venditori di fumo.

 

 

Il Progetto
Il progetto, redatto dagli architetti Francesco Dituri, Rocco Peluso e Franco Valente, va sotto il titolo di Valorizzazione della Città Monastica di S. Vincenzo al Volturno: Un progetto di lavoro per conservare la sacralità del luogo nella prospettiva del terzo millennio. I lavori di valorizzazione della città monastica di S. Vincenzo al Volturno si stanno eseguendo su iniziativa dell’Abbazia Territoriale di Montecassino, che è l’Ente proprietario degli immobili.

Il finanziamento è stato disposto dalla REGIONE MOLISE  con delibere della Giunta Regionale n.576 del 29.3.1993 e n.5726  del  31.12.93, nell’ambito del PROGRAMMA OPERATIVO PLURIFONDO  (P.O.P.).
Il progetto, i cui lavori si sono iniziati nell’aprile del 1994, prevede il restauro della Basilica di S. Vincenzo, dei Chiostri, del Palazzo Abbaziale, degli edifici annessi, nonché la realizzazione dei servizi ricettivi essenziali e delle attrezzature per l’esposizione dei reperti. Con lo stesso finanziamento si continuano gli scavi dell’area archeologica relativa al primo insediamento monastico (Basilica di S. Vincenzo Maggiore, Cripta di Epifanio, Ponte della Zingara, Nucleo Monastico, ecc.), al restauro dei reperti, alla schedatura analitica, alla pubblicazione della documentazione, al restauro fondiario. La British School di Roma, diretta dal prof. Richard Hodges, è concessionaria dello scavo archeologico.

 

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Il progetto di valorizzazione

Il progetto prevede interventi in un’area di grande interesse storico, artistico ed architettonico, la cui conoscenza si limita alle cose già oggetto di studi o comunque già indagate dal punto di vista archeologico. Della particolare complessità del monumento e della vastità dell’area su cui si sviluppano le varie fasi costruttive si è ovviamente tenuto conto nella elaborazione progettuale con la consapevolezza che sono possibili ripensamenti e variazioni successive in conseguenza di quanto verrà a conoscersi nel corso delle opere.
Per questo motivo il progetto, pur essendo particolareggiato nella definizione degli interventi, è da considerarsi passibile di varianti (sia generali, sia particolari) qualora la sorpresa archeologica, o nuove conoscenze sulle vicende storiche ed architettoniche del monumento, impongano di modificare le tipologie delle opere o le tecniche di restauro.
Di questo sono stati coscienti i progettisti ed a queste circostanze dovranno adeguarsi nel corso della direzione dei lavori, impegnandosi ad un costante collegamento con le direttive della Soprintendenza ai Monumenti per quanto riguarda i problemi legati alla tutela archeologica ed architettonica, tenendo comunque conto delle esigenze della Comunità Monastica Benedettina che è la naturale destinataria dell’intervento, il tutto nel pieno rispetto delle finalità che la Regione Molise si è proposto di raggiungere.
Le imprevedibili scoperte conseguenti alle campagne di scavo avviate nel dopoguerra dal monaco benedettino Angelo Pantoni e proseguite sotto il coordinamento del prof. Richard Hodges in questo ultimo decennio, hanno alimentato l’ipotesi che il grande complesso monastico altomedioevale di S. Vincenzo al Volturno potesse essere classificato come un “giacimento culturale” capace di polarizzare flussi turistici di ogni genere al fine di sollevare anche economicamente un’area particolarmente disagiata dal punto di vista economico, quale è l’Alta Valle del Volturno.
Una opportuna riflessione da parte della comunità benedettina (che fin dall’alto medioevo è la protagonista delle sue alterne vicende storiche) ha portato a sollevare il problema della sopravvivenza dell’intero complesso. Per questo è apparso fondamentale che la memoria storica di S. Vincenzo venisse a costituire  l’elemento centrale di un’attività lavorativa che, utilizzando la pregnante religiosità del luogo, ponesse le basi per la seconda rinascenza del territorio vulturnense, ormai agli albori del Terzo Millennio. E’ accaduto, infatti, che le campagne di scavi condotte sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza ai Monumenti de Molise (alle quali inizialmente si attribuiva solo un valore scientifico) hanno riportato alla luce elementi significativi di una cultura religiosa che ha suscitato un interesse internazionale capace di far convergere in S. Vincenzo iniziative assimilabili alla fase di prima fondazione del complesso monastico. Tra le altre, una comunità di suore benedettine provenienti da vari luoghi della Terra ha impiantato negli edifici storicamente sopravvissuti una serie di attività di lavoro che, conciliandosi armonicamente con i principi della Regola benedettina, ha permesso di avviare un recupero non solo religioso delle aree circostanti il cenobio. In particolar modo il suggerimento e le suggestioni che venivano dai ritrovamenti archeologici degli opifici, dei laboratori, degli oggetti della cultura materiale, nonchè le articolazioni estremamente significative dei luoghi di culto legati ad una visione apocalittica tipica del mondo premillenario, hanno sollecitato la riproposizione di una organizzazione del lavoro e della riflessione individuale che, tenendo conto delle esperienze antiche, si proponesse come elemento di rivitalizzazione anche economica del territorio.
Il progetto, quindi, parte dalla idea semplicissima di definire da una parte un luogo dove l’attività lavorativa si possa conciliare con la esigenza impellente della serenità dello spirito, in quel clima che nella Regola Benedettina viene esplicitato nel sintetico “ora et labora”, e dall’altra un luogo dove la ricerca scientifica e lo scavo possa costituire occasione, sia per gli studiosi, sia per i visitatori occasionali, sia per gli abitanti della zona, momento di crescita culturale ed occasione di miglioramento economico.

 

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I problemi attuali e le possibili soluzioni.
Al visitatore occasionale, a prima vista, l’area immediatamente circostante la basilica appare occupata disarticolatamente da una serie di edifici aventi diverse funzioni ed appartanenti a varie epoche costruttive, dalla grande basilica ricostruita dopo gli eventi bellici, al cinquecentesco palazzo abbadiale, agli antichi molini del canale meridionale, alla casa colonica, ai ruderi della primitiva città monastica di S. Vincenzo. Un più attento esame permette invece di scoprire che esiste (in parte nascosta nella boscaglia, in parte appena fuori del terreno, in gran parte ancora sotto terra) un impianto strutturale estremamente articolato, con la sopravvivenza di tutti gli elementi necessari per definire con assolutà certezza l’intero complesso monastico così come si è evoluto nel tempo. La grande quantità di rocchi di colonne, capitelli, arcate, basi di torri, allineamenti di murature, fossati artificiali, ponti e soprattutto la parte recentemente scavata attorno alla cripta di Epifanio, costituisce uno straordinario, e certamente unico in Europa, mosaico archeologico dove è possibile ricucire i tasselli di una storia plurimillenaria, tutti posizionati in un unico contesto, territorialmente ben delimitato.
Negli ultimi quattro decenni in tutta l’area si è compiuto un grande sforzo nel tentativo di recuperare singoli elementi di questo contesto, a volte con interventi pubblici, a volte con contribuzioni private, spesso con l’intervento diretto della comunità monastica. Purtroppo però, pur se si sono raggiunti risultati apprezzabili per singoli interventi, è mancato un piano generale anche a causa della eccezionale vastità dell’area e del gran numero di edifici che vi insistono. A questo punto sembra prioritario rispetto a qualsiasi altra iniziativa, sia nel campo archeologico, sia in quello turistico e soprattutto in quello più propriamente monastico, ripercorrere in maniera puntuale le tappe della storia del complesso e definire con precisione i singoli ruoli che tutti gli elementi andranno a svolgere nel futuro, al fine di recuperare quell’originario concetto di organicità strutturale e fisica, oltre che spirituale,  che è poi il segreto della continuità storica dell’Abbazia di S. Vincenzo.
Oggi questa organicità al momento dell’elaborazione del progetto appare compromessa per una serie di motivi che sinteticamente possono essere così riassunti:
1) La parte più precisamente monastica, la “clausura”, non è definita architettonicamente.
2) La basilica è slegata dal contesto generale per una serie confusa di strade che ne hanno svilito anche il ruolo di riferimento architettonico.
3) Gli elementi caratterizzanti della vita quotidiana della comunità, come gli antichi molini ad acqua, nel tempo sono stati privatizzati e distratti dal complesso.
4) I chiostri, pur conservando gli impianti strutturali, si caratterizzano come disordinati depositi di colonne e cornici antiche.
5) L’area archeologica recentemente scavata presenta gravi problemi di conservazione per la mancanza di idonee coperture ed una sistematica opera di restauro.
6) Gli scavi non sono idoneamente protetti dall’opera di vandali.
7) Il collegamento dell’area archeologica  con la piana di Rocchetta è garantito solamente dal ponte romano, detto “della zingara”, vistosamente pericolante per il passaggio continuo di mezzi pesanti.
8) Non vi è possibilità di visita per il pubblico senza pericolo di danno per i reperti.
9) Tutto il materiale mobile dello scavo nonchè gli intonaci affrescati sono stati trasferiti in luoghi  distanti dall’area archeologica in quanto manca una struttura museale idonea.
10) Non esiste, neppure a livello didascalico, una documentazione che permetta la comprensione delle vicende storiche del complesso.
11) Non vi è possibilità di parcheggio e di servizi essenziali per la grande quantità di visitatori che frequentano la zona.
12) Esistono elementi architettonici di disturbo.

Il Progetto Generale propone nel suo complesso una soluzione globale ai vari problemi, come più dettagliatamente evidenziato nei grafici allegati e nella relazione tecnica, e che sinteticamente può così riassumersi:
1) Nell’area della clausura restituzione alla luce degli elementi originali dei chiostri, compresa la sistemazione del verde in funzione della conservazione e della esaltazione dei rapporti paesistici con la catena delle Mainarde ed i nuclei antichi di Castel S.Vincenzo e Cerro al Volturno.
2) Creazione di un punto fisso per la vendita o la distribuzione di materiale didattico, nonchè per l’organizzazione di visite guidate agli scavi.
3) Realizzazione di un’area di parcheggio, opportunamente integrata paesisticamente, posizionata ai limiti della zona di rispetto. Realizzazione di servizi essenziali per i visitatori senza attrezzature di svago particolarmente complesse, ritenendo che il ruolo più precipuamente ricettivo possa essere sviluppato nelle immediate vicinanze, nei centri di Castel S.Vincenzo e di Rocchetta.
4) Restauro anche funzionale della grande basilica  che sarà opportunamente attrezzata perchè possa essere utilizzata, oltre che per le rituali funzioni religiose, pure per le grandi occasioni culturali legate alla conoscenza storica del complesso.
5) Ripristino  dell’argine del canale meridionale con l’antico piccolo lago artificiale, serbatoio dei Molini.
6) Recupero restauro dei Molini antichi del canale meridionale, con il laboratorio per il restauro dei reperti provenienti dagli scavi.
7) Ripristino del livello originario del piano tra il palazzo e l’argine del canale. Il vuoto attualmente esistente verrà occupato da una struttura completamente interrata e destinata a laboratori per la lavorazione del vetro,  della ceramica, del restauro del libro antico, della duplicazione della documentazione storica regionale non più esistente in sito.
8) Ricostituzione della funzionalità distributiva all’interno del Palazzo Abbaziale e dei servizi tecnologici fondamentali.
9) Recupero del fabbricato a valle per la realizzazione di servizi ricettivi e sistemazione delle aree adiacenti.
10) Grande Laboratorio-museo sotterraneo del Chonicon Vulurnense e della Civiltà monastica d’Occidente.

 

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L’intervento nell’area archeologica.
Tutta la città monastica sviluppatasi attorno all’antico oratorio di S. Vincenzo rimase completamente sepolta e dimenticata fino al 1832 quando un contadino, casualmente, finì in una buca che si collegava alla cripta dell’Abate Epifanio.
Solo qualche decennio fa, negli anni sessanta, si tentò un primo intervento di restauro, peraltro mal riuscito, per proteggere gli affreschi in essa esistenti, senza che però si avviasse alcuna campagna di scavo nelle aree limitrofe alla cripta.
Per questo motivo rimase convinzione degli storici che la chiesa di Epifanio fosse un edificio completamente esterno al complesso abbaziale di S. Vincenzo, che si riteneva essere posizionato fin dalle origini nel luogo in cui si trova l’attuale basilica. Soltanto dal 1982, con le campagne di scavo della British School, nell’ambito delle iniziative della Soprintendenza ai Monumenti del Molise per la tutela e la valorizzazione del sito, si è potuto definitivamente acclarare che l’antico oratorio di S. Vincenzo e tutto il complesso monastico distrutto poi dai Saraceni nell’881, si trovava ancora interamente sepolto ai piedi della collina che sovrasta la cripta di Epifanio.
Dal 1982 ad oggi le campagne di scavo si sono condotte con esiguità di mezzi economici, sicchè non sempre si sono potute adottare le cautele e le iniziative necessarie per provvedere immediatamente dopo lo scavo alle opere di restauro e di protezione. Perciò, pur se gli interventi sono stati effettuati nel pieno rispetto delle norme ormai codificate della ricerca archeologica, oggi appare indispensabile adottare criteri restaurativi  e sistemi protettivi capaci di risolvere definitivamente il problema della tutela del monumento. Per poter operare correttamente in questa fase progettuale si sono posti immediatamente in evidenza gli obiettivi che si vogliono raggiungere e, conseguentemente, indicate le metodologie operative da seguire .
Partendo dal presupposto che il complesso monumentale fa parte di un patrimonio pubblico che, per la sua peculiarità, deve fornire occasione di miglioramento culturale non solo per gli studiosi e gli specialisti, ma anche per gli studenti e per quella classe di turisti che amano le opere cariche di significati storici ed artistici, si possono individuare preliminarmente i seguenti gruppi di intervento:
1) Lo scavo.
La fase di scavo costituisce a livello didattico una occasione irripetibile per far conoscere le problematiche legate alla incognita della ricerca archeologica. Come ampiamente sperimentato, il poter assistere alla fase di scavo (senza necessariamente entrare nell’area dello scavo, con le opportune precauzioni e con l’ausilio esplicativo dei ricercatori) garantisce una partecipazione anche emotiva da parte del visitatore (in particolare se studente) che si trasforma in “cultura della tutela” del patrimonio.
2) Le coperture.
Tra i problemi principali dello scavo vi è quello legato alle condizioni climatiche. Il fatto che esso venga compiuto a cielo aperto comporta il rischio continuo che una perturbazione atmosferica  imprevedibile possa determinare danni irreparabili ai reperti appena scavati. La mancanza di donee coperture inoltre limita le campagne di scavo al solo periodo estivo.
3) Il pronto intervento.
Appena compiuto lo scavo, se non si provvede immediatamente ad un pronto intervento, quand’anche si sia effettuata una dettagliata documentazione grafica e fotografica, si rischia che le opere possano andare disperse o comunque rovinate irrimediabilmente.
4) Il restauro.
Una volta completate le opere di scavo e sono state assunte tutte le informazioni sui materiali ritrovati, sulle stratigrafie, sulle strutture architettoniche, si procederà al restauro sulla base di progetti che rispondano a precise metodologie rispettose delle motivazioni che hanno determinato l’esistenza del monumento, esteticamente valide, coerenti con le finalità di utilizzazione.
5) Le protezioni.
Durante e dopo il restauro è necessario adottare tutte le cautele necessarie per evitare che le aree interessate  siano facilmente frequentate da visitatori poco rispettosi.
6) La diffusione della conoscenza.
Completata la ricerca, effettuato il restauro ed assicurata la protezione delle opere, appare indispensabile diffondere la conoscenza del Monumento mediante pubblicazioni e video cassette opportunamente elaborate perchè siano adatte ai diversi tipi di destinatari.

Lo scavo archeologico.
Con le varie campagne di scavo e di studio fino ad oggi condotte si è portata a buon punto l’indagine sulla parte occidentale del complesso nell’area collinare detta “Colle della Torre”, costituita dagli edifici individuati con le seguenti denominazioni:
1) La cripta e la chiesa di Epifanio.
2) La chiesa di S. Vincenzo antico (Palazzo degli ospiti).
3) Il cortile degli ospiti.
4) Il refettorio grande.
5) La basilica di S. Vincenzo Maggiore.
6) La cripta della chiesa di S. Vincenzo Maggiore.
7) L’area delle officine.
8) L’area della necropoli sannitica.
Sono stati eseguiti saggi sull’intera area della collina e nelle aree pianeggianti limitrofe al corso del Volturno..

Le campagne di scavo hanno evidenziato che ci si trova in un contesto archeologico caratterizzato da stratificazioni edilizie che, partendo da un primitivo impianto di epoca sannitica e passando per una fase di colonizzazione romana, fanno rivivere i vari  momenti significativi della storia del complesso nell’epoca altomedioevale, fino alle soglie dell’anno Mille.
Più precisamente dall’analisi archeologica si è definitivamente accertato che il sito contiene uno spaccato della storia italica dove è possibile ricostruire nei minimi particolari le alterne vicende della comunità monastica vulturnense per la straordinaria circostanza che il terreno ha tenuto sigillata la situazione del complesso per oltre mille anni. Conseguentemente ci si trova in presenza di un un monumento che ha utilizzato sempre lo stesso impianto, riciclando spesso gli stessi materiali di spoglio. Questo fatto impone che lo scavo futuro debba proseguire con gli stessi criteri analitici già sperimentati e che le conclusioni per la datazione degli avvenimenti costruttivi vengano avanzate con il metodo comparativo delle sezioni scavate. Ricerca ancor più agevolata dai riscontri ormai indispensabili del “Chronicon Vulturnense” che, assunto inizialmente come generico riferimento per le vicende storiche del Monastero, è divenuto, dopo le verifiche della attendibilità delle notizie riportate, riferimento costante per la identificazione certa delle consistenze documentarie ancora sepolte.
Queste situazioni estremamente favorevoli hanno permesso di confermare positivamente le metodologie di indagine ampiamente sperimentate nel mondo archeologico, specialmente quando alla tradizionale empirìa si sono aggiunte le moderne tecnologie che hanno così garantito l’assoluta precisione delle conclusioni in rapporto a tutti gli elementi repertati nell’analisi stratigrafica dell’area monumentale vulturnense.
Confermata dunque la validità del lavoro di analisi fin qui svolto in maniera puntuale (benchè inizialmente con limitatezza di mezzi e pochezza di disponibilità economiche) appare necessario affermare l’esigenza di una continuità metodologica per le ricerche future non solo per mettere a frutto l’enorme bagaglio di conoscenze acquisite sul campo, ma anche per poter utilizzare la documentazione grafica e scritta dei rapporti giornalieri degli scavi eseguiti, ormai irripetibili. In questa fase progettuale, dunque, ci si è limitati soltanto ad affermare o, per meglio dire, a confermare, i principi generali della stratigrafia archeologica che sono ormai raggruppati nelle quattro leggi della continuità originaria, della orizzontalità originaria, della sovrapposizione e della successione stratigrafica. Sono stati ribaditi alcuni principi particolari che sono alla base di una corretta gestione dei momenti operativi dello scavo, a prescindere dalla scelta strategica che sarà effettuata sul campo e che potrà variare in funzione della successione delle scoperte e della loro consistenza. Tale scelta strategica, seguente al rilievo dello stato di fatto, deve corrispondere comunque ad un progetto di massima che preveda una flessibilità tale da permettere di introdurre modifiche a seguito delle acquisizioni operate nel cantiere.
A tal proposito va osservato che nel campo più generale dell’archeologia sono risultate estrememente positive le esperienze archeologiche che hanno portato a superare il problema della dicotomia tra momento conoscitivo e momento di uso del complesso indagato. Infatti mentre in passato si era soliti rendere fruibile al pubblico più vasto un’area archeologica solo a lavoro compiuto, ovvero dopo che era stato definitivamente scoperto, analizzato e restaurato il reperto monumentale, oggi si tende, giustamente, a far conoscere momento per momento le varie fasi dello scavo, nella considerazione che comunque l’azione dell’archeologo comporta operazioni distruttive irreversibili, benchè necessarie . Pertanto i gruppi di lavoro, opportunamente coordinati, dovranno impostare la propria attività in maniera tale che non solo sia garantito il risultato scientifico, ma che venga anche assicurata una indispensabile informazione per quel pubblico che mostra interesse per l’andamento delle ricerche. Di tutto il lavoro sono stati, e saranno, effettuati puntuali rendiconti per la formazione dell’archivio stratigrafico dove verranno annotate le differenti unità in ogni fase e periodo, con la descrizione delle implicazioni funzionali o strutturali. Tale archivio sarà formato da tutta la documentazione che include le piante, le sezioni, le note scritte e le fotografie. Vi verranno pure raccolte le analisi chimiche, mineralogiche, botaniche, zoologiche e statistiche, nonchè quelle antropologiche.
Per quanto riguarda la documentazione dello scavo appare opportuno assumere le indicazioni che rimangono fondamentali nella scienza archeologica .
Quando si inizia il lavoro di scavo si dovrà decidere in primo luogo quale metodo seguire. Nel caso specifico molto probabilmente si dovrà adottare contemporaneamente sia il metodo per strati che quello per livelli arbitrari.
Con il primo gli strati del sito verranno asportati seguendo il loro andamento naturale e le loro dimensioni, nel senso inverso a quello in cui si sono depositati.
Con il secondo lo scavo archeologico verrà effettuato mediante l’asportazione di tagli o livelli prestabiliti di uno spessore predeterminato e potrà essere effettuato su zone in cui non siano visibili le stratificazioni del terreno.
Dopo aver iniziato lo scavo si dovrà porre molta attenzione ai vari tipi di unità stratigrafica che si presenteranno e cioè lo “strato naturale”, lo “strato artificiale”, lo “strato verticale”, la “superficie in sé orizzontale” e la “superficie in sé verticale” . Iniziando dalle unità più tarde e procedendo a ritroso verso le unità stratigrafiche più antiche, tutte le unità ora menzionate devono essere numerate raggruppandole per fosse. Tenendo presenti le citate leggi della sovrapposizione, della orizzontalità originaria e di continuità originaria, si presterà attenzione ai rapporti stratigrafici registrandoli sulle schede prestampate. Sarà fatta una pianta della superficie, ed eventualmente una sezione, dove verrà pure riportata la posizione dei reperti mobili rinvenuti .

Sarà comunque obbligo del concessionario dello scavo di condurre le ricerche in modo che lo scavo stesso possa essere agevolmente sorvegliato dai funzionari della Soprintendenza ai Monumenti. Egli si dovrà uniformare alle prescrizioni che i funzionari medesimi potranno dare, anche in aggiunta a quelle contenute nella licenza, per il buon andamento dello scavo. Nella conduzione dei lavori si dovranno comunque osservare le norme di cui al R.D. 30.1.1913 n.363 e success. mod., ed in particolare le norme di cui al Capo IV – “Degli scavi e delle scoperte fortuite”.

Il restauro.
Preliminarmente va ribadito il concetto, generalmente condiviso dalla moderna cultura architettonica, secondo cui qualsiasi intervento di restauro costituisce una modifica, spesso irreversibile, dell’oggetto da restaurare. E come per l’archeologia lo scavo costituisce un procedimento che, benchè necessario, è di carattere distruttivo, così per le opere di architettura e di arte, il restauro rappresenta un momento necessariamente innovativo, nell’interesse stesso della loro conservazione. L’intervento proposto rientra nella logica predetta perche è:
a) Considerato quale tassello di un contesto più generale, collocato nello spazio e nel tempo.
b) Giustificato tecnicamente
c) Compatibile con le necessità di conservazione delle fasi storiche
d) Rispettoso delle finalità originarie del monumento
e) Esteticamente piacevole
f) Capace di esaltare le suggestioni del tempo
In questa prospettiva pertanto sono stati elaborati i vari criteri di intervento, che sono più dettagliatamente descritti nelle tavole grafiche, con i rinvii al capitolato ed all’elenco dei prezzi per quanto attiene le modalità esecutive ed i costi.
Qui di seguito si riassumono gli elementi qualificanti dell’intervento di restauro, sommariamente sopra elencati. Si avrà cosi modo di valutare complessivamente tutte le opere che andranno a realizzarsi, anche per capire che il progetto di restauro non può limitarsi ad una superficiale considerazione dei singoli brandelli di un complesso edilizio, specialmente quando esso, come nel caso di S. Vincenzo, ha una spazialità ed una temporalità che investono da una parte, anche paesisticamente, l’intera Alta Valle del Volturno e dall’altra oltre duemila anni di storia. Si potrà osservare che tutte le opere, dai parcheggi alle recinzioni, dal riaccorpamento fondiario al ripristino dei corsi d’acqua, dal risanamento degli edifici al restauro delle pitture, dalla ricostituzione dei percorsi pedonali agli impianti tecnologici, rientrano nel quadro delle cose indispensabili alla tutela del monumento nella sua globalità.
La prima operazione riguarda il riassetto fondiario della proprietà dell’abbazia con il recupero della miriade di particelle che, anche catastalmente, raccontano della originaria dipendenza dal monastero. Il piano parcellare di esproprio, che normalmente costituisce una violenza, sia pur giustificata da motivi di pubblica utilità, sulla proprietà privata, nel caso specifico assolve la funzione storica di ricondurre alla unità un’area che, proprio per la estrema frammentazione, ha perso pure ogni prospettiva di valorizzazione economica.
In realtà ci si trova di fronte ad un quadro catastale con singole particelle spesso di poche decine di metri quadrati intestate a più ditte. In quasi tutti i casi, i terreni ormai sono incolti e la rendita reale è praticamente nulla. A questo si aggiunge che l’intera area circostante gli scavi e l’attuale abbazia presenta tracce evidenti di sopravvivenze appartenenti sia all’epoca sannitica, sia romana, sia medioevale e pertanto la sua acquisizione costituisce passaggio necessario per il completare la fase di indagine archeologica e determinare una fascia di rispetto indispensabile per la tutela del complesso.
Tutta l’area sarà poi protetta da una recinzione che la racchiuderà senza soluzione di continuità con una rete metallica integralmente mimetizzata in un doppio filare di arbusti tipici della zona, che nel tempo verranno a costituire una barriera insormontabile ma ben integrata nel paesaggio. Al limite dell’area, in diretto collegamento con l’asse viario proveniente dalla Cartiera, e quindi dalla Strada Statale, verrà ubicato il parcheggio per i visitatori, attrezzato con i servizi essenziali organizzati all’interno di modestissime costruzioni con paramento esterno in blocchi di travertino locale.
Saranno rese pedonali alcune strade, oggi assolutamente superflue, in maniera da condizionare i visitatori ad un percorso di facile utilizzazione, dotato di opportuna segnaletica e comunque in grado di rendere facile non solo la visita agli scavi, ma anche la frequentazione della basilica nuova ed eventualmente la parte accessibile della Clausura. Per quanto riguarda le parti già scavate, e che oggi presentano gravi problemi di conservazione, un primo intervento è previsto nel refettorio grande. Tutto il pavimento sarà coperto da lastre di cristallo dimensionato per reggere il peso dei visitatori. I percorsi saranno articolati su passerelle metalliche posizionate in modo da proteggere integralmente le pavimentazioni antiche. I percorsi pedonali per i visitatori saranno predeterminati e si svilupperanno interamente all’interno della vasta area archeologica. L’attuale accesso sull’esistente ponte romano detto “della Zingara” verrà interdetto ai mezzi meccanici e, opportunamente restaurato, costituirà un accesso solo pedonale agli scavi. Scartata l’ipotesi della realizzazione di tensostrutture per la copertura generale della parte archeologica, si procederà alla ricostruzioni di quelle parti di cui si hanno elementi certi della originaria architettura, mediante progetti che si pongano il problema della ricostituzione di  spazialità e condizioni climatiche in tutto simili a quelle originali.
Nella parte antistante il S. Vincenzo Maggiore, ai limiti dell’area protetta, verranno realizzati due ponti. Quello esterno, in ferro e legno, sostituirà il ponte della Zingara per il passaggio di mezzi pesanti ai terreni che resteranno di proprietà privata. Il secondo costituirà una seconda uscita dagli scavi.
Attraverso un percorso pedonale si giungerà al grande quadriportico della basilica dove si potrà rivedere l’originario quadriportico che sarà ricostruito con l’anastilosi dei rocchi di colonne oggi sparsi su tutta l’area antistante la chiesa.
All’interno del campanile della basilica, sarà predisposta una serie di pannelli che accoglieranno  riproduzioni grafiche e fotografiche dello scavo in corso e materiale didattico che illustrerà in sintesi la storia del monastero. Opportunamente restaurati, saranno visibili i pavimenti cosmateschi opportunamente protetti. La navata centrale sarà attrezzata non solo per ospitare le tradizionali funzioni liturgiche, ma anche per occasionali manifestazioni culturali legate alla conoscenza delle vicende storiche del monastero e del suo territorio. Particolare cura sarà posta per la ricostituzione architettonica della clausura mediante una opportuna sistemazione a verde delle grandi aree interne.
La necessità di ricostituire l’originario piano sul lato meridionale del Palazzo, verso il Canale Meridionale, dove è stato effettuato uno sbancamento che ha modificato negativamente lo stato dei luoghi, offrirà l’occasione per la realizzazione di un corpo di fabbrica completamente interrato su tre lati ed aperto sull’argine del Canale che verrà così ripristinato secondo la conformazione originaria in blocchi di travertino posizionati a scarpa. Al suo interno saranno ricavati i laboratori che in parte faranno capo alla organizzazione lavorativa interna ed in parte saranno legati al mondo esterno. Il rifacimento dell’argine al Canale Meridionale servirà a ripristinare l’originario piccolo lago che anticamente, alimentato da un braccio artificiale che si staccava dal corso del Volturno, serviva da vasca di accumulo per i sottostanti Molini dell’Abbazia.
Questi ultimi, risanati e consolidati, verranno utilizzati come laboratorio a servizio degli scavi per il restauro degli oggetti riportati alla luce, prima della loro collocazione di nuovo nel sito di provenienza o nel museo dell’abbazia. All’interno del palazzo abbaziale i laboratori per il restauro di libri antichi e le attrezzature per la duplicazione dei documenti interessanti la storia del territorio molisano, serviranno non solo a ricostituire un archivio storico specialistico, ma anche a fornire materiale per le pubblicazioni che potranno essere utilizzate sia dai visitatori occasionali, sia da coloro che intendono più puntualmente approfondire le conoscenze storiche sul Molise.

Un progetto di lavoro per conservare la sacralità del luogo nella prospettiva del Terzo Millennio

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  • Carmelo S. FATICA ha detto:

    Carissimo Franco,
    dopo le invettive, il disprezzo totale per questa gente, la Tua battaglia contro la cancellazione incessante della nostra storia culturale, ha l’appoggio incondizionato di chi quotidianamente opera sul paesaggio, mostrando il buon agire, frutto di tenacia, preparazione e sudore. La consapevolezza di essere circondati dalla melma maleodorante dell’ignoranza e dell’avidità pecuniaria, rafforza ogni agire come un’azione sacrale, un’iniziazione coinvolgente nel sistema dell’Ordine della Natura. Forse le mie sono illusioni, ma, come Tu ricordi, “il tempo è galantuomo”; speriamo solo non sarà scaduto per salvare quel che resta.
    Come sempre, un saluto con stima e gratitudine, da chi Ti sostiene e propaganda.
    Carmelo

  • Palmira Carracillo ha detto:

    Vorrei dare un contributo per aiutare a capire meglio chi erano veramente gli studiosi della Missione Archeologica Britannica coordinati da Richard Hodges. Sicuramente molto specializzati nella ricerca su campo, animati da una forte passione per tutta l’attività di studio su San Vincenzo al Volturno. pragmatici, disponibili e leali. Posso tranquillamente affermare che è stata “l’età dell’oro” e lo faccio con cognizione di causa dal momento che per anni ho collaborato con loro. A proposito di quello che resta da fare per rivalorizzare San Vincenzo a mio modesto parere sarebbe meglio che il Molise si lasciasse “colonizzare” visto che l’alternativa è l’oblio.

  • Franco Valente ha detto:

    Il Molise è morto. E l’hanno ammazzato i colonizzatori che hanno trovato sul posto gente che si è venduta per un pugno di lenticchie… Sindaci in prima fila.

  • Libero ha detto:

    La Soprintendenza continua a confermare la concessione di scavo nonostante i pessimi risultati nella classifica del Sole24ore: http://www.uninews24.it/italia/3883-università,-classifica-il-sole-24-ore-2014-le-migliori-e-le-peggiori-d

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