Architettura antica nel MoliseArte

L’altare del magnifico Giuseppe Bastelli nella cattedrale di Trivento

By 11 Settembre 2015 One Comment

L’altare del magnifico Giuseppe Bastelli nella cattedrale di Trivento

Franco Valente

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Nel 1735 il vescovo triventino Alfonso Mariconda veniva promosso ad arcivescovo e come tale trasferito a guidare la diocesi di Acerenza e Matera. Tutte le cronotassi dei vescovi riferiscono che l’anno successivo 1736 il monaco celestino Fortunato Palumbo lo abbia sostituito a reggere la diocesi fino al 1752. In realtà pare che il Palumbo già nel 1735 avesse assunto il titolo di vescovo di Trivento, come risulta da un atto notarile sottoscritto il 21 dicembre 1735 a Napoli di cui parlerò più avanti.

Di questo personaggio, preveniente dall’ordine fondato da Celestino V, sono noti gli scontri con la popolazione di Capracotta che non accettava di essere controllata nella gestione delle rendite sostanziose della chiesa di S. Maria di Loreto.
Credo che utilmente possa essere ricordato anche per l’altare maggiore che commissionò per la cattedrale di Trivento.

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Lo ricordiamo per la sopravvivenza di una epigrafe in capitali classiche scolpita sulla cornice marmorea del prospetto posteriore che, però, pare non dica del tutto la verità su quest’altare: FORTVNATVS PALVMBO EPISCOPVS TRIVENTINVS CONSTRUXIT ANNO DOMINI MDCCXXXXIII

Non so quanto possa interessare la cosa, però l’anno 1743 che vi viene segnalato pone una serie di interrogativi la cui soluzione sicuramente non cambia la storia dell’arte ma perlomeno ci costringe a tentare una corretta ricostruzione delle vicende di questa magnifica opera marmorea, facendoci anche capire quale sia la sua importanza. Infatti, dal 1995 sappiamo che ne fu autore uno dei più prestigiosi artisti marmorari napoletani della prima metà del XVIII secolo: Giuseppe Bastelli.

Qualche anno fa Vittorio Casale ha magistralmente analizzato e pubblicato una serie di documenti notarili relativi alla commissione ed esecuzione di altari marmorei abruzzesi, molisani e campani (Cosimo Fanzago e il marmo commesso fra Abruzzo e Campania nell’età barocca, L’Aquila 1995).

In questa importante e fondamentale monografia, a noi interessa particolarmente la trascrizione della convenzione che monsignor Fortunato Palumbo sottoscrisse a Napoli con il marmoraro Giuseppe Bastelli per l’altar maggiore della cattedrale di Trivento il 21 dicembre 1735 a Napoli.

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La convenzione stabiliva alcune questioni pratiche come il mettere a carico della diocesi di Trivento tutte e qualsiasi spese di vitto cibarie, stanze e letti, così al detto magnifico Giuseppe, come alli lavoranti che poneranno in opra il detto altare; come anco di pagare esso illustrissimo Monsignore tutte le spese che occorreranno di fabricatori, calce, materiali e grappi di ferro che saranno necessarij per ponere in opra il detto altare, con andare però a conto di detto magnifico Giuseppe così nell’andare come nel ritornare da detta città di Trivento, et a tutte sue spese per l’effetto soddetto, così di viatico come di vitto cibario tanto per esso quanto per altri marmorari o lavoranti che per l’effetto soddetto mandarà.

Ma nel contratto si stabilivano soprattutto le caratteristiche sostanziali che l’altare avrebbe dovuto avere facendo esplicito riferimento ad un altare già esistente nella chiesa di S. Pietro a Maiella di Capua e realizzato qualche tempo prima dallo stesso Bastelli.
Il vescovo Palumbo ed il maestro marmoraro Bastelli convenivano, infatti, che l’altare fosse  …di marmo, uniforme fra lo squatro et intaglio e medaglioni, di marmo chiaro di Carrara, affinché non faccia divario giusta la figura e disegno dell’altare, sito nella chiesa di S. Pietro a Maiella della città di Capua, da esso magnifico Giuseppe fatto, quale altare debba essere di quella lunghezza, larghezza e proporzione, che ricercano le regole della professione, e secondo la misura del vacuo, che detto Bastelli ha ricevuto, il quale si obbliga di migliorare, risentire e contornare di tutto rilievo e maggior perfezione l’intagli, che devono venire scolpiti e caminano in detto altare, di quello fatto in detta chiesa di S. Pietro a Maiella di Capua.

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Il contratto precisava quali marmi si sarebbero utilizzati. Veniva indicato il verde antico, giallo antico e rosso antico di miglior condizione, et ottima maniera che si possono ritrovare, facendo intendere che ancora si continuava ad utilizzare marmo proveniente da monumenti romani.
Si indica il giallo di Palermo per quelle specchiature interne che debbano sembrare come di oro.  Si stabilisce di fare li zoccoli terranei, i quali intrinsechino colle gradi, e pradella di detto altare di africano fiorito antico.

Infine il vescovo Palumbo voleva che venissero realizzate due teste di cherubini, che vadano laterali all’altare, scolpite et intagliate di marmo chiaro statuario di Carrara, senza aver nullo pelo, verso, o macchia nelle di loro figure, quali teste devono intrinsecare et attaccare con il piano del gradino grande di detto altare.

Appare evidente che la precisione del capitolato derivi dalla circostanza che si doveva fare la copia esatta di un altare già esistente e la conferma viene dall’espresso richiamo, per i patti e le condizioni, al contratto già stipulato dal Bastelli per la chiesa di S. Pietro a Maiella di Capua:  in tutte, e per tutte, et a quelli patti e condizioni che furono stabiliti nell’istrumento stipulato nell‘anno ……. per mano del quondam notar Aniello Resano di Napoli, allorché il detto Bastelli fece il detto altare per detta chiesa di S. Pietro a Maiella di Capua; quali patti e condizioni s’intendono apposti e repetiti de verbe ad verbum nel presente istromento, eccetto quelle che col presente istromento viene mutato e stabilito.

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La linea curva alla borromina

Un particolare aggettivo, comunque, in qualche modo ci aiuta a capire quale fosse l’idea ispiratrice di quella particolare curvatura che caratterizza il fronte della mensa. Il vescovo Palumbo chiedeva di fare movere detta pianta nelli suoi piedistalli, che venga piantata alla boromina, affinché si godano dal centro di mezze anco le latitudini di detto altare, rimettendosi esse parti per l’effetto suddetto.

Insomma il riferimento a Francesco Borromini ha il significato preciso si optare per una soluzione dinamica della parte più appariscente dell’altare attraverso una applicazione delle teorie ormai diffuse in tutta l’area cattolica controriformista  delle facciate concavo-convesse che sembra diventare quasi una regola teologica nelle architetture più prestigiose del settecento napoletano.

Ma ciò che lascia qualche dubbio è il rispetto del termine di consegna dell’opera:
Di più si conviene che per quello farsi da detto illustrissimo monsignore si darà a detto magnifico Giuseppe di pietre di marmo dello Scontrone il prezzo di esse, si debbia defalcare dal soddetto prezzo di detta opera alla ragione di carlini tre il palmo… Giuseppe Bastelli si impegna a terminare e a porre in opera l’altare per il mese di luglio del 1736, per la pattuita somma di ducati 1200.

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La data 1743, che leggiamo nella parte posteriore dell’altare, lascerebbe ritenere che Bastelli non abbia mantenuto fede all’impegno contrattuale della consegna entro il luglio del 1736 per non si sa quale motivo. Ma credo che la cosa vada interpretata diversamente.

Il contratto fu sottoscritto il 21 dicembre 1735 e dopo 3 giorni, alla vigilia di Natale, fu versato anche l’acconto come risulta dalla ricevuta sottoscritta Acconto a Giuseppe Bastelli per l’altar maggiore della cattedrale di Trivento 1735, dicembre 24 – A Don Clemente Grazini ducati 100, e per esso a Monsignor di Trivento per altritanti e per girata di Fortunato Palumbo vescovo ut supra a mastro Giuseppe Bastelli marmoraro disse esserno a conto delli marmi ed  opera dell’altare maggiore della Cattedrale di Trivento che il medesimo si è obbligato a fare il tutto in conformità dell‘istrumento rogato per mano di notar Nicola Montefusco e per esso a Salvatore di Luca.

Non risulta che siano insorte vertenze di alcun genere successivamente, per cui è da ritenere che l’altare sia stato realizzato in due momenti. Il primo in esecuzione della convenzione del dicembre del 1735 dovette riguardare la parte frontale dell’altare che, evidentemente, fu realizzata con totale soddisfazione da parte del committente. Un secondo momento quando il vescovo Palumbo decise di ampliare la commissione con la realizzazione della parte posteriore.

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La particolare collocazione attuale dell’altare non rende merito al desiderio del vescovo che aveva voluto completare l’opera per dare degna soluzione prospettica alla zona del coro che, allora, era molto più ampia e dotata di stalli per i canonici. Noi sappiamo che in epoca relativamente recente, per le intervenute modifiche liturgiche, l’altare ha subito vari spostamenti fino all’attuale collocazione in posizione arretrata rispetto a quella per la quale era stato progettato nel Settecento. Perciò lo spazio angusto che non permette di godere dell’architettura del prospetto posteriore è un accidente di cui non è responsabile né il Bastelli e tantomeno il Palumbo.

Ma per quale motivo il vescovo Palumbo aveva deciso di commissionare il nuovo altare triventino a Bastelli?

Sicuramente fu determinante la fama di cui il maestro marmoraro Bastelli godeva, ma altrettanto certamente non fu secondaria la circostanza che l’altare preso a modello si trovasse nella chiesa di S. Pietro a Maiella che, come tradisce la sua intitolazione, apparteneva all’ordine monastico dei Celestini di cui Fortunato Palumbo era membro prima di diventare vescovo.

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Quindi sicuramente Bastelli faceva parte di quella cerchia di artisti che erano particolarmente graditi ai Celestini che nel regno di Napoli ancora avevano un potere anche economico che qualche decennio dopo, con le riforme murattiane, avrebbero quasi del tutto perduto fino alla definitiva scomparsa agli inizi del XIX secolo. Non è, infatti, un caso che il vescovo Palumbo affidi ad un altro celestino, don Beda Fusari, abate del monastero celestino dell’Ascensione a Chiaia, l’incarico di vigilare sugli esatti adempimenti contrattuali da parte del Bastelli: In oltre detto magnifico Giuseppe promette fare detta opera come sopra con l’intelligenza et approvazione del reverendissimo coabate don Beda Fusari abate del venerabile monastero dell’Ascensione di Chiaia.

Insomma l’altare di Trivento è da considerarsi una irripetibile fonte documentaria per sapere quale fosse la forma architettonica dello scomparso altare di S. Pietro a Maiella di Capua che fu il suo prototipo andato distrutto durante l’ultimo conflitto mondiale, ma anche prestigiosa testimonianza barocca della cultura celestina nel Regno di Napoli nella prima metà del XVIII secolo.

Questo scritto era stato già pubblicato da me su questo blog il  21 febbraio 2009. In caso di utilizzazione prego citare la fonte.

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  • Carmelo S. FATICA ha detto:

    Alla descrizione del magnifico altare, manca però la spiegazione, fondamentale, e che andrebbe richiamata in questi nostri tempi smemorati e superficiali, della collocazione dei due cherubini laterali, richiesti, non a caso, in perfetto marmo bianco di Carrara, perché essi sintetizzano la generale funzione degli altari: dall’ara dell’antichità fino ad oggi (raramente la progettazione contemporanea delle chiese ne comprende il significato!). Infatti una chiesa senza vero altare (i) non sarebbe una chiesa.
    Credo andrebbe fatto un monumentale censimento delle tante interpretazioni di altari esistenti nelle chiese molisane; oltre a smascherare i furti si avrebbe uno sguardo interessante sulla storia artistica religiosa. Mi rendo conto che forse chiedo troppo ai sonnacchiosi dirigenti ministeriali del Molise.
    Grazie ancora a Franco Valente per la divulgazione dei tesori nascosti del Molise.

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