A volte sembra che io voglia fare l’eretico a tutti i costi, ma le verità assolute appartengono solo alla teologia.
Quando si entra nel campo archeologico sembra di partecipare a un’assemblea politica dove è imperante l’arte del possibile, tutto è discutibile ma i leader pretendono di avere sempre ragione.
Ma noi che non ci sentiamo leader abbiamo diritto a vedere le cose da un altro punto di vista.
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Ormai si pone come certezza assoluta che la piccola dea trovata a Sepino nel tempio detto di S. Pietro ai Cantoni rappresenti Mefite, quella dea che anche dal nome ricorda di essere la protettrice delle sorgenti che esalano miasmi solfurei.
A Venafro alcune acque venivano chiamate della Janara (come mi ha ricordato Ciro Viti) per il fatto che apparivano e sparivano.
Si tratta di una sorgente cosiddetta intermittente e che, secondo alcune considerazioni geologiche, in parte alimenterebbe la solfatara di Pozzilli.
G.F. Trutta, Dissertazioni istoriche delle antichità alifane
Il che porterebbe a ritenere che le sacerdotesse di Diana, le (D)Janare, possano essere identificate con la Mefite delle acque solfuree che sono, appunto, acque “mefitiche”, cioè puzzolenti.
Ma allora che c’entra Mefite con la dea con la papera di Sepino?
Forse è proprio l’oca che tiene in mano a indicarci una soluzione.
Io preferirei definirla direttamente come una (D)Janara se non addirittura direttamente Diana e immaginare che il tempio di Sepino sia dedicato proprio a lei.
Non sarebbe una novità tra i monti del Matese che sono l’unica area geografica in cui è ripetutamente presente il toponimo della Janara (valle della Janara tra Carpinone e Macchiagodena, monte Janara dalle parti di Monte Miletto, ponte della Janara a S. Lupo).
Sicuramente ai piedi del Matese un grande tempio era dedicato alla cosiddetta Diana Tifatina e su di esso poi verrà costruita la basilica di S. Angelo in Formis.
Dianare Amazzoni. Antefisse dal Museo Archeologico Campano di Capua
Ed è proprio dalle parti di Capua che troviamo forse la soluzione al problema della papera in braccio alla nostra dea, perché nel Museo di Capua si trova una delle due antefisse di sconosciuta provenienza (ma sicuramente di quel territorio) dove la papera appare insieme a Diana cacciatrice.
E’ una terracotta ritenuta del VI secolo a. C..
Più antica di 4 secoli di quella di Sepino (se sono esatte le datazioni degli archeologi dei Cantoni) e che quindi va presa in considerazione per quello che rappresenta e non per lo stile.
Vi si vede una donna nuda a cavallo che imbraccia un arco. Ai piedi del cavallo una grande oca.
Dovrebbe essere l’immagine di Diana, dea delle foreste e della vita nascente.
Ma se anche si volesse ritenere che si tratti di un’Amazzone, il cerchio si chiuderebbe sempre su Diana, perché le Amazzoni erano ritenute, nell’antichità, le fondatrici del tempio di Diana a Efeso, una delle sette meraviglie del mondo.
A Sepino l’immagine della Dianara si è ingentilita ed ha assunto le forme di una divinità molto più umana. Addirittura sembra di vedere una leggera prominenza del ventre che farebbe pensare che sia in attesa di un figlio.
da Matteini-Chiari, La Dea, il Santo, una Terra
Contaminazioni pitagoriche nel tempio di Diana a S. Pietro ai Cantoni di Sepino