di Franco Valente (Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio. Questo articolo è protetto da diritti Creative Commons)
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Il teatro di Pietrabbondante negli anni Trenta
La sezione aurea applicata nel complesso di Pietrabbondante
Sono convinto che tutta l’area sannitica sia stata caratterizzata da un’architettura religiosa in cui sono stati applicati criteri modulari di origine filosofica. A breve pubblicherò i risultati degli studi che in qualche modo avevo anticipato nel 1989. ( F. VALENTE, Appunti per una storia dell’arte e dell’architettura nel Molise attraverso l’individuazione dei rapporti armonici e dei moduli geometrici di origine pitagorica in Almanacco del Molise 1990.) Qui di seguito, invece, riporto un vecchio lavoro sul teatro di Pietrabbondante che fu pubblicato la prima volta nel 1990: F. VALENTE, Da Creta a Pietrabbondante, viaggio nel tempo tra gli edifici teatrali antichi, in Almanacco del Molise 1991 e 1992,diffuso dal blog di Davide Monaco: http://xoomer.alice.it/davmonac/sanniti/valteat1.html
Tra le opere più note del Sannio, il cosiddetto Teatro di Pietrabbondante rappresenta certamente uno dei monumenti di maggiore fascino, non solo per la straordinaria posizione a dominio della valle del Trigno, ma anche e soprattutto per le sue caratteristiche architettoniche, assolutamente anomale rispetto agli altri edifici greci e romani costruiti (qualunque sia la loro funzione) per accogliere un pubblico. Molto si è scritto su Pietrabbondante, ma gran parte di quel molto è ancora da verificare, non ultima la collocazione precisa del teatro nella storia dei caratteri stilistici e la sua reale funzione nell’ambito della cultura sannitica. Certamente non siamo in grado, stante la scarsezza di documentazione archeologica, di giungere a conclusioni definitive come coloro che con molta sicumera e senza alcuna analisi filologica hanno finora fatto, ma certamente il tentativo di compiere un viaggio nel tempo attraverso tutte le architetture che comunque nascono dalla necessità di accogliere un pubblico che da fermo deve osservare una scena in movimento, potrà essere utile almeno per provocare successive e più puntuali analisi. In questa sede non è il caso di rinnovare l’annosa polemica sul nome sannitico da attribuire a Pietrabbondante che, pur essendo di estremo interesse scientifico, non può ancora essere definitivamente risolta. Per quel che riguarda questo nostro viaggio daremo per scontata l’ipotesi (che in altro luogo cerchiamo di dimostrare) che in Pietrabbondante debbano essere collocati, contemporaneamente, i due centri di Bovianum Vetus (corrispondente all’abitato che era racchiuso nel perimetro definito dalla muratura ciclopica che partendo dalla cima di monte Saraceno raggiunge le tre morge) e di Aquilonia (corrispondente all’area sacra dei Templi e del Teatro).
Sinteticamente le motivazioni che portano a riconoscere nell’area del Calcatello di Pietrabbondante la città sannita di Aquilonia sono, oltre quella delle dimensioni del recinto del teatro, le seguenti:
a) In lingua osca al termine latino di Aquilonia corrisponde AKUDUNNIAD e le uniche monete con tale termine sono state ritrovate nel territorio di Pietrabbondante.
b) Nel secolo scorso l’area dello scavo del teatro veniva chiamata “La città di Catunzia”, come pure ancora oggi gli abitanti di Pietrabbondante vengono chiamati in tutto il circondario, con il termine di “Catunzi”. Sia Catunzia, sia Catunzi hanno la medesima origine nel termine osco “Akudunniad”.
c) La grande quantità di ex-voto militari fanno ritenere che in quel luogo sia avvenuto qualcosa di grande rilevanza dal punto di vista militare. In Aquilonia si celebrò il più grande sacrificio umano del popolo sannita e di conseguenza anche le generazioni successive a quella del giuramento della gioventù linteata ritennero di dover continuare a celebrare l’eroismo sannita nel luogo più significativo per la loro storia.
d) La vicinanza alla rocca di Monte Saraceno, la cui cinta muraria si integrava con le tre morge del centro di Pietrabbondante che è identificabile con “Bovianus Vetus”. Di conseguenza parto dalla ipotesi che in Pietrabbondante esistevano due centri di riferimento: il primo, Bovianum, di interesse politico-amministrativo più limitato e relativo alle tribù sannitiche che occupavano il territorio immediatamente circostante; il secondo, Aquilonia, di interesse più vasto, con funzione di vera e propria capitale religiosa oltre che politica per tutte le popolazioni confederate nel Sannio. Abbiamo iniziato questa premessa mettendo in dubbio che il Teatro di Pietrabbondante sia veramente nato come edificio per spettacoli teatrali. Probabilmente ha ragione chi con molta efficacia si limita a definirlo una cavea teatroide (G.A. MANSUELLI, Roma e il Mondo Romano, vol.I, Torino 1981) forse per non avventurarsi in una definizione più impegnativa.
Può essere accaduto, comunque, che il complesso sia nato con altre finalità e poi, nel tempo, mutate le condizioni politiche, si sia data ad esso una diversa funzione. Alcune anomalie ed il riferimento ad altri edifici consimili lasciano supporre che l’attuale impianto si ovrapponga ad un altro preesistente, più antico, con una cavea ad andamento non circolare.
Prendiamo come punto di partenza una data molto precisa: quella relativa al giuramento che i giovani Sanniti prestarono alla vigilia della disfatta di Aquilonia. Riferendosi al 293 a.C., Livio nel capitolo 38 del libro X descrive con dovizia di particolare una scena che, per quel che ci riguarda, può essere di interesse soprattutto per i dettagli che in essa sono riportati. Egli racconta che quell’anno si era fatta per tutto il Sannio una chiamata alle armi con una nuova legge che stabiliva pene severe per chi non si fosse presentato. In particolare chi non fosse accorso all’appello dei comandanti, o si fosse allontanato senza ordine, sarebbe stato consacrato alla vendetta di Giove. Dopodiché l’esercito ricevette l’ordine di concentrarsi in Aquilonia, dove si raccolse una forza di circa sessantamila uomini. Qui, quasi al centro dell’accampamento, un’area era racchiusa da palizzate e plutei e coperta da un telo, misurando circa duecento piedi da ogni parte (Ibi mediis fere castris locus est consaeptus cratibus pluteisque et linteis contectus, patens ducentos maxime pedes in omnes pariter partes).
Pianta del complesso tempio-teatro – Il quadrato in verde misura esattamente 200 piedi di lato (ducentos maxime pedes in omnes pariter partes), pari a 55 metri
In quel luogo si offrì un sacrificio seguendo una cerimonia descritta in un vecchio libro di tela e secondo una prassi che il sacerdote Ovvio Paccio affermava essere di antica tradizione sannita. Livio continua la descrizione della cerimonia e puntualizza che quella legione sannitica fu chiamata “linteata” dalla copertura del recinto in cui era stata consacrata la nobiltà militare. Se si tiene conto che il piede osco corrisponde a circa 0,275 metri, risulta che la misura massima dell’area in cui avvenne il giuramento doveva corrispondere a 55 metri lineari. Già A. La Regina (A. LA REGINA, I Sanniti: il sogno di un impero in “Molise, Roma 1980) notava che le dimensioni del recinto corrispondono esattamente a quelle del muro di contenimento all’interno del quale si trova il teatro di Pietrabbondante. Afferma, però, essere questa una circostanza che dimostra che nella tradizione Sannitica vi fosse la consuetudine o addirittura la prescrizione consolidata di assegnare la misura di duecento piedi ad aree destinate a pratiche religiose, dovendosi riconoscere in Montevairano l’antica Aquilonia e non in Pietrabbondante.
In realtà non pare che in Montevairano o in altra parte del Sannio si sia ritrovato un altro recinto di eguali dimensioni. Il fatto che Livio abbia voluto riportare con precisione le dimensioni dell’area devono farci ritenere, invece, che egli si riferisse ad un edificio e più propriamente al complesso di Pietrabbondante. Conseguentemente nell’agglomerato sacro che lo circonda deve essere individuato il nucleo di Aquilonia. Vi sono poi altre due considerazioni da fare sulla descrizione del recinto. La prima riguarda la copertura che se ne fece mediante l’uso di una tela. Se immaginiamo di dover compiere tale operazione su un terreno pianeggiante e non limitato da una struttura muraria, dobbiamo ipotizzare una complessa impalcatura in legno per tenere sollevata la tela nella parte centrale che, come si è detto, aveva un luce di ben 55 metri. Molto più facile stendere un telo avendo a disposizione l’anàlemma di una cavea sulla cui sommità peraltro in epoca romana non era inconsueto predisporre dei pali per tenere in tensione dei velari che nei giorni estivi riparavano dal sole.
La seconda considerazione va rivolta proprio ai termini che lo storico romano utilizza quando afferma che il luogo era racchiuso da palizzate e plutei (cratibus pluteisque). Infatti, mentre il cratis è l’elemento di una palizzata in legno, il pluteus, come si ricava dalla definizione che viene fornita da Vitruvio, è precisamente l’elemento architettonico che delimita le varie zone di una cavea, cioè una transenna non traforata, generalmente realizzata in pietra o in marmo. L’attuale forma architettonica del teatro però pone seri problemi di datazione in quanto sembrerebbe logico attribuire il complesso alla fine del II secolo a.C., quando fu data definitiva sistemazione a tutta l’area. Si deve pertanto ritenere che, come per gran parte dei teatri ellenistici, anche per il teatro di Pietrabbondante si ebbano riconoscere origini più antiche e trasformazioni sostanziali in epoche successive.
Intanto vediamolo analizzandone le singole parti così come si presentano oggi.
I CARATTERI ARCHITETTONICI DEL TEATRO DI PIETRABBONDANTE
L’ANALEMMA
L’anàlemma, muro di sostegno perimetrale alla cavea, ha un andamento planimetrico semicircolare, con un diametro di circa 52 metri. E’ realizzato con blocchi megalitici poligonali, lavorati su una sola faccia ed aggregati in maniera precisa con incastri risolti anche nei particolari più piccoli.
L’anàlemma è tagliato in un sol punto, nella parte centrale posteriore, per accogliere una scalinata per il pubblico, di collegamento tra la summa cavea ed il fronte del Tempio grande che è a monte. Il semicerchio è limitato verso valle dalle parti rettilinee delle due ali dell’anàlemma, corrispondenti agli accessi laterali (pàrodoi) all’ima cavea ed all’orchestra. La parte di sinistra si conclude nella parte alta con un pluteo continuo terminato con passamano con cornice a S. In basso sul taglio verticale si aggrega un telamone inginocchiato su un basamento con cornici modanate. A proposito del telamone e della sua posizione rispetto al pluteo va osservato che in una immagine fotografica degli anni venti esso risultava collocato provvisoriamente in maniera da guardare verso la scena e non verso l’orchestra. Dagli scavi sommari effettuati fino ad ora si può ricavare che il teatro abbia sfruttato solo parzialmente il pendio naturale del terreno. Si può ipotizzare che l’anàlemma sia stato realizzato dopo aver regolarizzato planimetricamente l’area su cui si sviluppa e che contestualmente si sia effettuato un riempimento artificiale articolando muri di sostegno ad andamento semicircolare atti ad accogliere i sedili della parte alta della cavea.
Non esiste un criterio generalizzabile nel posizionamento dei teatri ellenistici. Si va da edifici che utilizzano integralmente insenature naturali del terreno ad altri che sono interamente edificati fuori terra, passando per tipi intermedi che seguono metodologie più disparate. Per quanto riguarda il modo di aggregare i blocchi poligonali così come si vede in Pietrabbondante abbiamo pochi riferimenti. Molto simile è la tipologia poligonale utilizzata nelle sostruzioni della seconda fase del teatro di Arycanda, in Asia Minore, dove gli incastri tra i blocchi è molto curato e le superfici a vista sono sbozzate allo stesso modo. Più approssimato, anche se la superficie esterna è simile, il tipo di incastro del teatro di Tlos, dove però la parte poligonale si sviluppa solo nella parte bassa dell’anàlemma, mentre la parte alta è formata da blocchi in opera quasi quadrata. Nel muro di sostegno di Kyanae invece alla precisione dell’aggregazione dei blocchi corrisponde una faccia esterna a vista ad andamento vagamente bombato.
LA CAVEA
La parte riservata al pubblico si caratterizza per essere costituita da due distinti settori, corrispondenti alla summa ed alla ima cavea. La parte superiore risulta non completa o per il fatto che i sedili in pietra, essendo squadrati, sono stati prelevati in epoca medioevale per essere utilizzati in edifici del centro abitato di Pietrabbondante (da cui dovrebbe essere poi derivato il nome al paese) oppure perché mai terminata dagli originari costruttori. Certamente però esistono subito sotto l’attuale piano di calpestio del prato le fondazioni concentriche su cui dovevano poggiare i blocchi della gradinata. Rimangono invece intatti i primi due filari di gradini della summa cavea. Di essi solo quello più in alto ha la funzione di sedile, mentre l’altro assolve la necessità di allineare la linea di pendenza della summa cavea con quella della ima cavea per recuperare la perdita di quota conseguente all’arretramento provocato dal diazoma di separazione. Ambedue i gradini hanno il piano orizzontale aggettante con una cornice modanata, ma mentre quello superiore, il sedile, ha il fronte liscio, quello più in basso è limitato da uno zoccolo anch’esso a cornice modanata.
Dal diazòma partono radialmente verso l’alto sette klimàtes, cioé le scale di servizio per accedere ai vari ordini di sedili superiori e che individuano conseguentemente sei cunei di medesima ampiezza, corrispondenti a sei settori della summa cavea. Percorrendo il diazòma si può passare all’ima cavea soltanto raggiungendo le due testate di inizio e fine del semicerchio dove il collegamento avviene mediante due scalinate semicircolari aggregate alla facciata dell’anàlemma. I cinque scalini che la compongono nell’assoluta essenzialità non trovano riferimento in alcuno dei teatri della Grecia e del mondo greco, se non in quello piccolo di Pompei, anche se non si è in grado di stabilire quale dei due sia nato prima.
I SEDILI ANATOMICI
L’ima cavea rappresenta di sicuro la parte più straordinaria del complesso ed ha certamente caratteristiche stilistiche uniche nella storia dell’architettura antica. Si tratta di tre file di sedili totalmente autonomi rispetto al resto del teatro, di cui sono comunque ‘elemento generatore, a diretto contatto con il piano dell’orchestra e non serviti da klìmates intermedi. Vi si può accedere esclusivamente dalle due scale semicircolari. Anche questa singolarità non trova alcun riscontro nei teatri greci antichi ed è stata determinata videntemente dalla funzione che essi dovevano assolvere nella ufficialità delle manifestazioni pubbliche.
Il teatro di Atene
I sedili del teatro di Atene
Certamente ci si trova di fronte a sedili che dovevano essere riservati ad una serie di personaggi rappresentativi e che comunque ricoprivano delle cariche paritarie tra loro. Infatti, non compare alcun sedile che potesse essere riservato ad un’autorità superiore. In molti teatri ellenistici i posti delle autorità, i proedrìa, erano ben individuati, come è il caso di Atene, di Priene, oppure di Efeso, di Oropos, di Hierapolis,e così via, ed in gran parte di essi il nome del committente o del proprietario era scolpito in bella evidenza. Nel nostro caso invece la uniformità e la mancanza di soluzioni di continuità fanno ritenere che la caratteristica architettonica dovesse assumere significato politico nell’ambito sannitico, durante e dopo l’essere confederato, e che quindi le riunioni nel teatro di Pietrabbondante dovessero avere un carattere celebrativo o rievocativo, unitario e paritario, per tutte le popolazioni del ceppo italico che a questo luogo facevano riferimento.
Ma ancora un’altra particolarità rende il teatro di Pietrabbondante totalmente diverso dagli altri: la conformazione anatomica dello schienale dei sedili. Per comprenderne a pieno l’importanza sarà utile ripercorrere l’intero processo evolutivo della forma dei sedili nelle strutture teatrali e ci si renderà conto che quello di Pietrabbondante rappresenta la conclusione insuperata di tale processo evolutivo giacché tutte le sagome sperimentate in ogni parte del bacino mediterraneo, dall’Asia Minore, alla Grecia, alla Magna Grecia, non hanno mai raggiunto tale livello di raffinatezza. Ma vediamo quale sia stato il filo conduttore della lunga storia delle architetture teatrali.
I TETRI ARCAICI
Già Omero (Odissea VIII, 256/264) descrive i giochi che Alcinoo organizza in onore di Ulisse. Se non altro la citazione è utile per farci conoscere quanto antica fosse nell’area ellenistica la consuetudine di effettuare manifestazioni imperniate sulla danza corale ed il canto. Ma soprattutto la ricerca archeologica permette di avere certezza che tali spettacoli fossero una consuetudine presso gli antichi greci, come ben si desume dai primi edifici realizzati con i criteri che contengono in embrione quei caratteri che diventeranno canonici nell’architettura teatrale dal V secolo in poi . Sui teatri arcaici e sulle ipotesi di datazione l’opera di maggiore rilievo è quella di C. ANTI, Teatri greci arcaici, Padova 1947.
Conviene precisare immediatamente che con il termine “thèatron” dobbiamo intendere genericamente qualsiasi struttura architettonica oppure qualsiasi area modellata avente la caratteristica di poter accogliere un certo numero di persone che deve assistere ad una qualsiasi manifestazione.
Tale precisazione, apparentemente superflua, è invece necessaria per comprendere che l’evoluzione della forma teatrale , pur nelle varianti conseguenti alla particolare funzione che deve svolgere, ha comunque un filo logico unitario finalizzato sul piano pratico a migliorare le condizioni di visibilità degli spettatori, a rendere possibile l’ascolto di ciò che veniva detto dal punto osservato, a creare condizioni di comodità per chi stava seduto. Queste tre componenti sono certamente comuni a tutte le forme teatrali, ma ve ne sono poi altre che variano in rapporto alla particolare azione scenica che vi si deve svolgere, da quelle destinate alla danza, a quelle della tragedia, a quelle delle riunioni politiche o religiose, a quelle dell’atletica o dei giochi gladiatori. Così non siamo in grado di poter affermare quale tipo di manifestazione si svolgesse nei “teatri” primitivi dell’isola di Creta, dove la gradinata rettilinea si aggrega alla fine del III millennio a.C. quasi con naturalezza al Palazzo di Festo, con una analogia formale con l’altro di Poliochni, nell’isola di Lemno, forse anche più antico, perché ascrivibile al pieno III millennio a.C., e probabilmente coperto, con funzione di telesterion. Infatti la forma estremamente allungata di quest’ultimo fa ritenere che vi si svolgessero manifestazioni di tipo processionale, di carattere misterico e di iniziazione dei fedeli.
I sedili, su due sole file, sono molto bassi (circa 30 centimetri) e sono formati da blocchi di pietra semplicemente squadrati, limitati da un muro perimetrale che sosteneva un terrazzamento sul quale forse si ponevano altri spettatori. Una forma più evoluta (è probabile che in questo caso si sia realizzata un’opera su un preciso progetto) la ritroviamo nel teatro del Palazzo di Cnosso, dove l’esperienza di Festo viene chiaramente messa a frutto e si cominciano a delineare anche le funzioni gerarchiche degli elementi architettonici. I gradoni, pur rimanendo di assoluta semplicità, questa volta si incastrano a squadro (con due scalee di 6 sedili su un lato e 18 sedili su un altro) su un podio che certamente fungeva da tribuna per il signore. Le dimensioni (il teatro poteva accogliere circa 500 persone) fanno ritenere che il complesso sia stato realizzato esclusivamente per la corte e riservato alla aristocrazia del Palazzo. A Gurnià una modesta gradinata a squadro viene realizzata intorno al XIV secolo a.C., al limite dell’agorà , ai piedi della casa del signore locale. Un primo accenno ad una cavea la ritroviamo intorno all’VIII-VII secolo a.C. a Drero, dove 6 gradoni sono ricavati al limite dell’agorà in forma di doppia L con la fronte rettilinea di circa 20 metri e due bracci di qualche metro. Identica situazione e nello stesso periodo si ritrova sull’agorà di Latò dove, però, sul lato rettilineo si sviluppano almeno nove gradoni. Una struttura teatrale a squadro si individua ad Eleusi dove i rimaneggiamenti di epoca romana non hanno cancellato l’impianto della gradinata antistante il Plutònion. Qui, otto file di sedili scavati nella roccia sovrastano una spianata ad andamento curvilineo. L’epoca di realizzazione potrebbe essere quella del XIV secolo e non dovrebbe essere stato utilizzato per riti iniziatori perché il contemporaneo telesterion di Eleusi, dove si celebravano i Misteri, aveva caratteristiche diverse e soprattutto una riservatezza determinata da un muro di cinta.
Uguale carattere riservato avranno i telesteria eleusini successivi (come quello del VII secolo) dove la forma teatrale viene perfezionata senza mai perdere il carattere di una religiosa segretezza.
Nel VI secolo a.C. la realizzazione di un teatro a Torico, punto di passaggio del culto di Demetra da Creta ad Eleusi, che segue la forma naturale del terreno fa pensare ad un embrionale tipologia semicircolare, ma la assoluta irregolarità dell’impianto fa escludere una predeterminazione progettuale e di conseguenza l’andamento complessivo deve ritenersi un rozzo adattamento di una gradinata a doppia L. E’ interessante osservare che nell’area teatrale di Torico già esisteva un doppio gradone a squadro, interamente scavato nella roccia, di cui non si conosce la funzione, molto simile ad un altro analogo che si ritrova nell’area della Pnice di Atene, con la variante che i sedili del gradone superiore, in numero di sette, sono interamente scavati nella roccia in forma di poltroncine con braccioli.
In questo caso, e probabilmente per la prima volta, i sedili si conformano in maniera più complessa per assumere una funzione selettiva essendo essi destinati sicuramente agli spettatori più autorevoli.
I TEATRI ELLENISTICI
Ma l’impianto architettonico che può essere preso come riferimento certo nella storia degli edifici per spettacoli è il teatro di Diòniso ai piedi dell’Acropoli di Atene. Sulla scorta dei primi studi di Rhusopulos (1878-79), di Dorpfeld (W. DORPFELD, das griechische Theater, Atene 1986) e di Bulle (H. BULLE, untersuchungen an griechischen Theatern,A Monaco 1928), Enrico Fietcher (E. FIETCHER, das Dionysos-Theater in Athen, Stoccarda 1935-36) giunge alla conclusione che vi si possono riconoscere cinque fasi.
Teatro di Alicarnasso
Buleterio di Priene
L’Odeon di Afrodisias Il teatro di Side
Teatro di Epidauro
Teatro di Epidauro Teatro di Tindari
La prima è riferibile al VI secolo, quando un impianto molto semplice dovette accogliere nel 534 a.C. la compagnia di Tespi, chiamata da Pisistrato. Una seconda fase potrebbe individuarsi intorno al 500 a.C., quando furono realizzate delle tribune di legno per accogliere il pubblico. Si ha infatti notizia di un primo crollo, con numerosi morti, durante una rappresentazione tra il 500 ed il 497 a.C. e forse di un secondo crollo nel 458. A seguito di tali incidenti si dovette provvedere ad ad opere di modifica architettonica sostanziale. Questi interventi si svilupparono per un lungo arco di tempo, probabilmente dai primi anni del V secolo fino al 430 a.C.. La cavea assunse una forma trapezoidale e servì ad accogliere il pubblico per tutte le grandi rappresentazioni di Eschilo. Il teatro che si vede oggi è frutto delle trasformazioni sostanziali operate da Licurgo nel 330 a.C. quando finalmente la cavea assunse la forma ad andamento semicircolare allungato, anche se ulteriori adeguamenti furono effettuati in età romana. Dal momento in cui l’architettura teatrale acquisisce definitivamente la forma semicircolare, l’evoluzione degli impianti per gli spettacoli si mantiene entro uno schema che nella sostanza non verrà più abbandonato nei secoli successivi all’epoca di Licurgo . Infatti, dal 330 a. C. in poi, l’andamento curvo applicato al teatro di Dioniso costituirà il riferimento di tutte le strutture che si impianteranno in maniera puntuale nell’intero mondo greco, anche se l’archetipo di tale particolare forma, come vedremo più avanti, forse va ricercata nella variazione operata nella struttura di Siracusa. Certo è che nella storia dell’architettura non è possibile incontrare due teatri identici non solo per il fatto che ognuno di essi nel tempo ha ricevuto adattamenti e trasformazioni, ma anche perché in sede di progettazione e realizzazione originaria sono risultate estrememente condizionanti e determinanti sia le situazioni urbanistiche e topografiche in cui l’opera andava a collocarsi, sia le disponibilità economiche e le realtà amministrative della comunità che gestiva la costruzione. Come pure va evidenziato che la nascita di un teatro costituiva un momento storico particolare per la collettività per il carattere singolare delle manifestazioni che al suo interno si dovevano svolgere, sempre cariche di straordinari significati legati alla contingenza di una vicenda umana inquadrata nel contesto universale della religiosità e della poetica ellenica.
Accadde così che ogni nuova costruzione teatrale si legò ad un’altra preesistente non solo perché di fatto si pose con essa in una concreta successione cronologica, ma anche e soprattutto perché rappresentò una variazione formale dove vennero richiamate tutte le esperienze architettoniche già sperimentate e se ne proposero altre innovative o comunque diverse.
Teatro di Taormina Teatro di Hierapolis
Tracciando un quadro cronologico delle varie esecuzioni teatrali, sebbene necessariamente incompleto per la vastità del fenomeno, è possibile verificare che la loro diffusione non seguì un criterio di espansione radiale, ma che invece rispose ad esigenze legate a particolari condizioni politiche ed economiche cui non furono indifferenti i grandi miti della cultura religiosa della Grecia. Basta, per dimostrare ciò, esaminare anche sommariamente il grande sviluppo che ebbe il teatro nel versante microasiatico dell’Egeo o le esperienze, sotto certi versi più qualificanti, dei teatri della Magna Grecia, prima fra tutte quella di Siracusa. Proprio in quest’ultimo caso vediamo applicate, con una successione simile a quella del teatro di Dioniso, quelle variazioni strutturali che vanno dalla pianta trapezoidale ad una semicircolare, in un’epoca individuabile tra il 367 ed il 357 a.C., sotto Dionigi II. Probabilmente proprio a Siracusa, dove all’epoca di Gelone I (485-478) era vissuto Epicarmo, riconosciuto come il più grande drammaturgo della Magna Grecia, per la prima volta nella storia dell’architettura veniva adottato un impianto semicircolare, interamente scavato nella roccia, che solo successivamente, circa 30 anni dopo, diveniva elemento caratterizzante di quello ateniese di Dioniso. Il teatro di Siracusa d’altra parte, sotto Gerone I (478-467), quando vi operò Eschilo, era stato già modificato dall’architetto Damocopo che ampliò la originaria orchestra ricavando una struttura trapezoidale direttamente nella roccia, prendendo come riferimento quanto era stato già realizzato con la prima trasformazione del teatro di Dioniso.
Certo è che dal momento in cui la forma semicircolare viene definitivamente acquisita, l’evoluzione architettonica risponde a canoni molto più precisi e tutte le nuove esperienze, pur con le varianti più diversificate, si inquadrano in una regola generale determinata dalla esigenza del rispetto della struttura narrativa delle opere da rappresentare. Rimane tuttora aperta la questione su come fosse la scena nel teatro greco. Tutti gli esempi di teatro che ci sono pervenuti rappresentano architettonicamente l’ultima fase delle loro trasformazioni e quasi sempre si tratta di rifacimenti o comunque riadattamenti di epoca romana, quando ormai il coro aveva perso la sua funzione originaria. Sicuramente, però, nella prima fase, e cioé nelle rappresentazioni del V secolo a.C., il rispetto topico era prevalente e solo nei secoli successivi la regolarizzazione geometrica prevalse più per necessità di razionalizzazione che per esigenze cultuali. Nella prima fase, dunque, appariva assolutamente irrilevante la compiutezza architettonica.
Teatro di Efeso
Il sito deputato ad accogliere una tragedia veniva scelto senza troppe complicazioni sul pendio di una montagna o a ridosso di un terrazzamento naturale o artificiale. La ripetizione del rito ed i significati che assumeva la ciclicità dell’evento fece sorgere la necessità di un intervento architettonico capace di esaltare tutte le peculiarità della finzione scenica e di riassumere tutti i significati che quel tipo di rappresentazione di fatto conteneva.
Teatro di Mileto
Abbiamo preavvertito all’inizio che ponevamo in discussione la circostanza che il teatro di Pietrabbondante sia nato come teatro e probabilmente qualche ulteriore considerazione può essere utile per dimostrare quanto asserito. Intanto rimane oltremodo difficile stabilire l’epoca in cui assunse la forma che oggi si osserva.
Se si vuole tentare una datazione sulla base dei caratteri stilistici e tipologici, dobbiamo necessariamente individuare alcuni elementi caratteristici da utilizzare per il confronto con elementi consimili appartenenti ad altre strutture di cui si conosce con più attendibilità l’età. Elementi caratteristici particolari sono da considerarsi nell’ordine: il recinto, la forma dell’orchestra, gli anàlemma ed i pàrodoi, la scena, la forma dei sedili.
Abbiamo già affermato che nell’area di Pietrabbondante si debbano localizzare i due centri di Bovianum Vetus e di Aquilonia e che quest’ultimo coincida con l’area sacra del Santuario, nell’ambito della quale deve essere posto il recinto della gioventù linteata. E’ evidente che quando Livio descriveva gli avvenimenti che precedettero la disfatta sannitica (293 a.C.), la tradizione era ancora viva e, sebbene fossero passati oltre due secoli dal giuramento, Aquilonia certamente ancora rappresentava un riferimento sicuro nel mondo sannitico ormai romanizzato. L’originario recinto di duecento piedi entro il quale i giovani sanniti linteati prestarono il giuramento nelle mani di Ovvio Paccio, nel tempo era stato trasformato e quindi Livio, pur riferendosi ad un preciso luogo, sintetizzò la descrizione della sua struttura limitandosi a citare le dimensioni massime e gli elementi essenziali dei plutei e della palificata perimetrale dell’edificio che ancora esisteva ai suoi tempi, per ricordare che la cerimonia era avvenuta all’interno di un luogo interamente coperto da una grande tela (linteus), senza preoccuparsi di accertare se quell’edificio esistesse anche all’epoca del giuramento.
Pietrabbondante
Dunque nella prima fase l’area del teatro dovette essere racchiusa da una muratura che in parte fungeva da contenimento del terreno ed in parte da chiusura architettonica verso valle, dove in un momento successivo sarà edificata la scena.
L’edificio comunque già era collocato in asse con il primo tempio italico il cui impianto fu poi inglobato nel crepidoma dell’attuale tempio grande. Resta un problema stabilire, invece, se in quell’epoca fosse stata già impostata la cavea nella forma in cui si vede oggi o se, piuttosto, l’operazione sia da collocare in qualche decennio seguente. Certo è che l’orchestra attuale con assoluta chiarezza si rifà a modelli ellenistici. Nel III secolo ormai nei teatri, qualunque fosse la loro funzione, il modello semicircolare aveva decisamente soppiantato quello trapezoidale anche se per particolari cerimonie continuava a farsi uso di strutture arcaiche di cui abbiamo esempi significativi in Asia Minore.
E’ il caso del buleterio quadrato di Priene che può essere ritenuto uno dei prototipi dell’odeon romano soprattutto per la sua compattezza architettonica, anche se successivamente si preferì adottare la struttura semicircolare il cui esempio più noto è quello di Pericle ad Atene.
Ma è proprio un altro edificio di Priene, il teatro, che sembra collegarsi in maniera più evidente con il teatro di Pietrabbondante.
Va notato immediatamente che quando si parla di andamento semicircolare dell’orchestra, si fa genericamente riferimento al suo sviluppo complessivamente curvilineo; però bisogna distinguere una varietà di impianti il cui numero addirittura potrebbe essere superiore a quello dei teatri se si tiene conto che buona parte di essi sono stati trasformati due o più volte.
Per semplificare le cose possiamo ridurre gli impianti delle orchestre dei teatri greci a quattro tipi fondamentali:
a) semicerchio allungato con prolungamenti paralleli fra loro e parodoi piegati (Priene 250-225 a.C., Eretreia III sec. a.C., Assos 200 a.C., Zea II sec a.C., Magnesia 160 a.C.);
Teatro di Priene
b) semicerchio allungato con parodoi piegati (Atene 330 a.C., Corinto, Delfi ed Epidauro IV sec a.C., Dodona e Delo III sec. a.C., Kyanae 210-180 a.C., Selge, Iasos ed Efeso 200 a.C., Letoon 110-90 a.C., Antiphellos 75 a.C., Kadianda, Oenoanda e Arikanda 50 a.C., Cibyra, Telmessos e Termessos 27 a.C., Prusias 10 a.C., Kaunos 50 d.C., Perge 71-120 d.C., Hierapolis 117-137 d.C., Limyra 141- 150 d.C., Oropo);
Teatro di Delo
c) semicerchio senza prolungamenti e con parodoi piegati (Megalopoli III sec a.C., Heraclea 250-200 a.C., Balbura e Rhodiapolis 150 a.C., Pinara e Stratonicea 50 a.C., Nysa 25-50 d.C., Patara 14-37 d.C.);
d) semicerchio senza prolungamenti e con parodoi in asse tra loro (Pergamo 225-138 a.C., Alinda 202-175 a.C., Pollentia (Spagna) 120 a.C., Aspendos 139-168 d.C.).
Il teatro di Pietrabbondante pur non rientrando in nessuno di questi casi, più si avvicina all’impianto di Priene, o quelli della stessa tipologia, per quanto riguarda la caratteristica del semicerchio con prolungamenti paralleli, mentre i parodoi sono in asse tra loro. Notevoli analogie per l’impianto generale della cavea si possono ritrovare nel teatro di Pollentia (Spagna) dove, pur con caratteristiche stilistiche diverse, si hanno tre file di sedili continue nell’ima cavea con una sola precinzione che li separa dalla summa cavea divisa in quattro settori. In questo caso però l’orchestra non presenta alcun prolungamento.
Invece qualche considerazione più approfondita merita il confronto con il complesso dei teatri di Pompei dove una serie di elementi architettonici fa ipotizzare una doppia relazione fra loro.
A Pompei nella stessa area sono situati il teatro grande e l”odeon. Nel teatro si riconoscono almeno tre fasi: la prima, ellenistico-orientale, corrispondente alla impostazione della parte bassa della cavea, riferibile agli anni vicini al 200 a.C.; la seconda, ellenistico-italico, corrispondente alla trasformazione dell’impianto scenico intorno alla fine del II secolo a.C.; la terza, romana, negli anni successivi, con l’aggiunta dell’ambulacro di coronamento superiore, dei tribunalia e la riorganizzazione generale dei percorsi.
Nell’odeon, invece, sembra che si possa riconoscere una sola fase o almeno una fase principale con piccole modifiche successive che non ne hanno stravolto la concezione iniziale finalizzata ad ottenere, sul tipo dei già citati buleteri greci, un edificio estremamente compatto, racchiuso all’interno di una struttura quadrata capace di sopportare una copertura. Intanto va ribadito che nella fase arcaica è soprattutto la rappresentazione scenica che contiene tutti i significati simbolici e che spesso prescinde dalla necessità di una struttura teatrale particolare. Spesso l’azione scenica si svolge sul luogo stesso in cui sono immaginati gli avvenimenti che vengono rappresentati. Si prenda come esempio ampiamente documentato la produzione di Aristofane che compose almeno cinque commedie ambientate e rappresentate nel V secolo a.C. in cinque diverse zone dell’area scoscesa tra l’Agorà e la Pnice.
Nella fase più propriamente ellenistica, invece, la composizione architettonica del teatro si fa carico della necessità di esaltare l’intima struttura narrativa attraverso la elaborazione formale di spazi che nel tempo assumeranno significati simbolici particolari e diventeranno poi gli elementi canonici nello sviluppo successivo di tutti gli impianti teatrali.
Vitruvio ne sembra particolarmente convinto, tant’è che si dilunga, a volte anche in maniera astratta, a considerare non solo gli aspetti pratici dell’architettura teatrale, ma anche quelli relativi ai valori simbolici delle varie parti.
Nel libro V del “De Architectura” egli, dopo aver esaminato i problemi acustici, afferma che una gradinata può definirsi perfetta se, tirata una linea dal primo sedile fino all’ultimo, questa tocchi tutte le cime degli schienali. Intal modo non si impedirà ai suoni di raggiungere qualsiasi parte della cavea.
Nel teatro di Pietrabbondante vediamo perfettamente osservata questa regola nella parte bassa, cioé in corrispondenza dei sedili con schienale, fino alla prima fila soprastante il diazomata che recupera l’allineamento mediante un gradino poggiapiedi.
La circostanza che il piano inclinato del prato subisca una piegatura in negativo rispetto all’allineamento dei gradini, conferma l’ipotesi già evidenziata che dal teatro siano stati asportati i sedili superiori, oppure che, sebbene previsti, non siano stati realizzati.
Poi Vitruvio ricava alcune regole dall’esame dei teatri dei Greci e, pur prendendo atto che non tutti sono fatti alla stessa maniera, afferma che l’orchestra migliore è quella in cui, completato il cerchio generatore della prima fila di sedili, la linea del pulpito risulti tangente al cerchio stesso.
Pietrabbondante
A Pietrabbondante tale norma è rispettata. Vitruvio poi approfondisce, senza però essere particolarmente chiaro, alcuni aspetti relativi alla utilizzazione di ulteriori criteri per la defininizione ed il posizionamento dei klimates (le scalinate di servizio della summa cavea), soprattutto mediante l’inserimento di una poligonale a dodici angoli all’interno del cerchio. Sulla questione si sono avanzate le più varie interpretazioni, richiamando anche speculazioni filosofiche e geometriche sulla cosiddetta quadratura del cerchio. Il fatto che Vitruvio abbia ipotizzato l’uso di una poligonale potrebbe significare la presenza inconsapevole in fase di progettazione del ricordo di un impianto arcaico a linee spezzate dettato dalla originaria necessità di adoperare sedili in legno. L’esigenza di adattare la forma del teatro all’azione corale, e quindi circolare, avrebbe invece comportato l’uso della linea curva. Vitruvio afferma che per ottenere i punti di partenza delle scalinate di servizio si debbano costruire all’interno del cerchio generatore tre quadrati che complessivamente formino un dodecaedro. Conseguentemente nella cavea, che corrisponde dunque a metà del cerchio, devono individuarsi sei settori separati da sette klimates.
A Pietrabbondante anche questa norma è rispettata, o perlomeno sei settori si sarebbero creati se fossero stati prolungati i gradini di servizio che partono dal primo diazoma.
Qui, inoltre, sembra di poter affermare che il diametro dell’orchestra costituisca il modulo base di tutto il complesso. Se infatti prendiamo la distanza che corre tra lo spigolo dell’analemma di destra con il parodos e lo spigolo opposto (cioé il diametro massimo della cavea sul fronte), possiamo osservare che essa è esattamente quattro volte il diametro dell’orchestra. Ugualmente il raggio della orchestra è uguale alla distanza che intercorre tra i punti di incrocio dei klimates con il primo gradino della summa cavea. Comunque, a prescindere dalla impostazione geometrica particolare, il teatro di Pietrabbondante si ricollega in maniera piuttosto precisa alla fase ellenistico-orientale del teatro grande di Pompei e non è da escludere che esso possa essere anche anteriore.
Anche se gli studi sui rapporti tra il Sannio centrale e la Pompei sannitica non hanno ancora portato ad una definitiva conclusione, certamente non viene posta in discussione una continuità di rapporti anche di natura culturale che trova comune origine nella influenza della tradizione ellenistica delle colonie della Magna Grecia.
Una conoscenza parzialmente deformata delle vicende storiche passate e l’aver dato per scontato il predominio culturale dei Romani sui popoli conquistati ha fatto spesso sottovalutare l’originalità della vicenda architettonica sannitica. Per questo molto spesso le datazioni sono state effettuate partendo dal presupposto che nel Sannio si siano diffusi caratteri stilistici e modelli architettonici solo dopo la conquista romana.
Nel caso specifico appare invece possibile che il complesso di Pietrabbondante sia stato preso come prototipo, sia pure frutto di elaborazione di modelli ellenistici, per la realizzazione del teatro grande e soprattutto dell’odeon di Pompei.
Una considerazione valga per tutte. L’odeon di Pompei con assoluta sicurezza risulta costruito dopo le guerre sociali, quando cioè il Sannio era stato ormai definitivamente sottomesso ed il suo popolo praticamente annientato.
Apparirebbe per questo priva di qualsiasi fondamento l’ipotesi che subito dopo la completa disfatta nel cuore del Sannio si sia potuto compiere uno straordinario sforzo economico per realizzare una struttura teatrale sicuramente migliorativa di quella pompeiana, che chiaramente sul piano stilistico non regge il confronto con quello di Pietrabbondante.
Pietrabbondante
Allora pare chiaro che nel nostro caso ci si trovi di fronte ad una struttura teatrale carica di significati politici, oltre che religiosi, per l’intera confederazione sannitica, la cui costruzione doveva costituire anche momento di qualificazione culturale per le popolazioni confinanti.
E’ così che il teatro di Pietrabbondante rappresenta un elemento inscindibile dal santuario di cui fa parte non solo per i suoi rapporti di assialità prospettica o di conseguenzialità planimetrica, ma anche e soprattutto per la utilizzazione di modelli matematici e geometrici di chiara matrice pitagorica già ampiamente applicati nella costruzione del grande tempio che è alle spalle.
Un rapporto che si concretizza in forme architettoniche particolari che richiamano quel rispetto topico che è alla base di tutta la cultura greca.
La localizzazione di un complesso cultuale così importante per il mondo sannitico, in una zona così apparentemente estranea ai grandi flussi di traffico, bene non si spiegherebbe se non inquadrandola in un momento economico di particolare ripresa per le tribù italiche.
I telamoni di Pietrabbondante e dell’Odeon di Pompei
Dalla sconfitta di Aquilonia in poi gli Italici avevano continuato a subire vessazioni di ogni genere, soprattutto di natura razziale. Non sappiamo quale sia stato l’atteggiamento romano dopo le guerre annibaliche alla fine del III secolo a.C., ma probabilmente fu tenuto in considerazione il fatto che i Pentri, al contrario di altre tribù italiche, si erano schierate con Roma. Non si può escludere per questo che, per un periodo immediatamente successivo alle distruzioni operate da Annibale, nel Sannio dei Pentri vi sia stata da parte romana una forma di risarcimento o comunque un atteggiamento di maggiore disponibilità.
Ciò potrebbe farci ipotizzare una contemporaneità del teatro di Pietrabbondante con quello grande di Pompei, cui si lega, come abbiamo visto, per i caratteri del primo periodo del 200 a.C.. Soltanto in questa breve parentesi può trovare logica collocazione la realizzazione di un’opera particolarmente onerosa, che peraltro doveva contribuire a migliorare l’immagine culturale dei Pentri. Nell’impianto scenico che rimane si può vedere con chiarezza che vengono adottati tutti i sistemi canonici dell’architettura teatrale e pertanto vi troviamo realizzati tutti gli elementi più significativi, necessari per rappresentare compiutamente uno spettacolo. Il piano circolare dell’orchestra si pone in rapporto funzionale con i parodoi creando la possibilità per il coro di muoversi secondo una varietà di percorsi, tutti scenograficamente efficaci sia nella zona aperta, tra la linea del pulpito e la prima fila dei sedili (al centro del quale con molta probabilità era posto un altare), sia nella fascia retrostante la pilastratura dello stesso pulpito. Dall’edificio scenico era poi possibile accedere frontalmente all’orchestra mediante tre passaggi che inoltre si mettevano in comunicazione con gli ambienti di servizio per gli interpreti. Gli attori, invece, seguendo un percorso completamente diverso, si potevano muovere esclusivamente su un livello superiore, in tavolato, sollevato, secondo quanto afferma Vitruvio, dieci piedi, cioé circa due metri e settanta centimetri, da terra. Dal tavolato, in aderenza con l’edificio scenico, fuoriuscivano le travi delle scene mobili. Tali travi si incastravano al piano terra in apposite pietre forate che ancora sopravvivono nel loro luogo originario.
Ma, nonostante la completezza e la razionalità dell’impianto architettonico, non sappiamo se vi si sia mai effettuata una rappresentazione o se invece la struttura teatrale sia servita esclusivamente a definire un contesto particolarmente rilevante per le assemblee delle rappresentanze sannitiche.
Certo è, però, che le cose per i Sanniti in generale, e per i Pentri in particolare, non andarono bene nel seguito. Basta pensare che ancora nel 126 a.C. vi era chi proponeva di espellere gli Italici da Roma, qualunque fosse il loro livello economico. L’odio romano nei confronti dei Sanniti si esplicitò ancora di più nel sistematico rifiuto ad essi della cittadinanza anche in un momento in cui tale concessione veniva estesa ad altre popolazioni della penisola . Ciò provocò un vasto movimento che nell’ultimo quarto del II secolo a.C. si concretizzò in un organico movimento di rivolta che si concluse con le Guerre Sociali. Il Sannio fu totalmente distrutto e le poderose cinte murarie quasi totalmente demolite. E’ ancora sconosciuto il motivo per cui il complesso di Pietrabbondante si sia in qualche modo salvato. Forse i Sanniti erano rimasti talmente pochi, per cui non valeva più la pena di infierire eliminando anche quelle testimonianze architettoniche che comunque potevano essere utilizzate dai nuovi e definitivi padroni che nell’area oramai avevano saldamente imposto la propria organizzazione municipale.
Forse i Romani non si accorsero neppure che le piume e gli artigli di quelle aquile che ancora oggi segnano il limite dei sedili del teatro di Pietrabbondante continuavano a ricordare, ma solo alla storia, il nome di Aquilonia e gli eroi della gioventù linteata che nel suo recinto sacro avevano inutilmente giurato fedeltà al Sannio.
Pietrabbondante. I sedili limitati da ali e da artigli di aquile
complimenti per la dovizia di particolari ,utili a conoscere un sito archeologico poco noto a tanti.E’ sempre un piacere leggere di storia e cultura della nostra cosi poco amata Italia.Sono intenzionata a verificare di persona bellezza del posto,nella settimana teatrale di agosto.
patriziacalamaro
Gentile Patrizia,
ricevere complimenti fa sempre piacere. Grazie.
Pietrabbondante è un luogo splendido, massacrato dalla ignoranza e dall’arroganza dei boiardi del Ministero per i Beni Culturali. Se cerca su questo blog li troverà segnalati.
Spero di mettere presto su questo sito una serie di considerazioni (notoriamente ereticali) sull’applicazione dei moduli armonici di origine pitagorica nel complesso di Pietrabbondante e, soprattutto, sui rapporti e gli “allineamenti” certamente straordinari con l’intero territorio sannita.
Carissimo Franco,
pur non convinto delle tesi di questo articolo, devo confermare che gli elementi decorativi delle file dei sedili in pietra appartengono ad aquile. (Non sono certo “zampe di grifo alate” come si legge in quasi tutta la letteratura). Rispetto alla tua didascalia devo fare una precisazione avendole riviste riviste oggi: sono aquile, tutte intere con tanto di corpo a cui manca solo la testa, quasi certamente asportata con un colpo di mazza. Una di esse ha ancora un pezzettino di collo. le altre alla base dei quello che io ritengo il collo presentano tutte delle irregolarità. Quando ti capita di riguardarle dal vivo fammi sapere cosa pensi di questa osservazione. Saluti cari
… del resto, che davanti alle ali sia scolpito il corpo del rapace lo si vede benissimo dalla bella foto che tu pubblichi alla fine di questo articolo…
E non ha senso scolpire un corpo senza testa. L’elemnto decorativo era assai più bello, suggestivo e significativo di ciò che possiamo vedere oggi.
Carissimo Nicola,
ringraziandoti dell’attenzione ti assicuro che andrò quanto prima a Pietrabbondante dove la situazione generale è drammatica.
Mi farebbe piacere ospitare anche considerazioni tue sulle questioni che non ti convincono.
Il problema del Molise è che mancano interlocutori con cui discutere di questi problemi. Sono certo che il confronto potrebbe essere di stimolo a considerare aspetti magari sottovalutati. Sarebbe da imbecilli non tenerne conto anche a costo di modificare le proprie opinioni.
Su Pietrabbondante molti “illustri” hanno scritto montagne di banalità e, nonostante siano stati “corretti”, non vogliono ammettere i propri errori.
Comunque sulle questioni geometriche e sulle descrizioni tipologiche c’è poco da discutere.
complimenti sig. franco valente. Ho visitato sia il paese di pietrabbondante sia l’area archeologica in settembre 2010 Splendidi!!Non conoscevo nulla del posto. Presto porterò altri amici da Torino per far ammirare queste bellezze.Peccato che sul posto c’è poco materiale illustrativo per consulto immediato.
Grazie di cuore, Franco Valente. Da vecchio abruzzese conoscevo già Pietrabbondante e il suo splendido teatro Ellenistico/Sannitico e torno ogni anno (d’estate e più preferibilmente d’inverno) per visitarlo di nuovo e non mi stanco mai di ammirarlo dall’alto della summa cavea, come non mi stanco mai di ammirare (dopo 30 anni) l’Anfiteatro Flavio, che vedo ogni mattina dalla finestra della mia stanza da letto, a Roma. Mi trovi perfettamente d’accordo sui boiardi del Ministero dei Beni Culturali: sono semplicemente vergognosi e, in questo caso, ledono oltretutto la dignità del popolo molisano. Tornerò sabato prossimo (27 Agosto) a rivisitare il teatro con la mia compagna e rivedrò con piacere i telamoni di Pietrabbondante, che la mia memoria non associava a quelli (per altro identici) dell’Odeon di Pompei visti tantissimi anni fa. Di nuovo grazie e tanti, tanti auguri.
Roma, 24 agosto 2011
Fernando Pesetti
Gentile Fernando,
La ringrazio per il suo commento che contribuisce, tra l’altro, a dare sostegno a questo blog che, Le assicuro, non interessa minimamente i politici molisani. E di questo io meno vanto…..
Gentile Franco,
Lei ci insegna che l’Italia è uno splendido museo a cielo aperto e, mi creda, non sono solo i politici molisani che non si interessano dello splendido teatro e di altri splendori del Molise e dell’Italia … nessun politico addetto ai lavori se ne interessa … almeno in questo governo!
Di nuovo auguri,
Fernando Pesetti
Roma, 25 agosto 2011
Non aspettiamoci dai politici nulla, anche perchè qualsiasi iniziativa positiva legittimerebbe la loro colpevole inerzia ed inefficenza ;-) Paradossalmente bisogna addirittura augurarsi che non se ne occupino, in quanto laddove se ne sono occupati si sono dimostrati controproducenti. Basta solo vedere la traduzione dell’opuscolo della provincia di Isernia che è un’operazione di trasposizione 1/1 da google translator …terribile …impresentabile da tutti i punti di vista sintattico-grammaticali, stilistici, semantici etc! Chiediamoci piuttosto ognuno di noi cosa potrebbe fare. Io dal canto mio ho pubblicato tale sito sulla mia homepage in tedesco e l’ho presentatoin alcune fiere per il mondo e ad alcune organizzazioni tedesce, austriache e svizzero-tedesche inserendo questo sito archeologico in un nuovo concetto di turismo alternativo che ha riscontrato grande successo. Ringrazio anche il sig. Valente per la dovizia di particolari e per la grande capacità di comunicazione.
caro Alessandro, ho appena finito di vedere il video per la “dimora del Prete” e faccio i complimenti a te e ai bravissimi Ernesto Brelière-Capaldi ed Ana Candela (http://vimeo.com/30812565).
Il Molise è una terra strana. Pensa che Pietrabbondante (dove mando centinaia di turisti all’anno) mi ha dato ZERO voti alle ultime elezioni regionali.
Perciò devo pensare che questa sia una regione che ha un popolo che ha i politici che si merita…. Il passato antico è un’altra cosa….
sapete che ne esiste uno simile a Sarno (SA)? recentemente poco distante dal teatro sono state ritrovate due tombe sannitiche affrescate sono state portate al museo nazionale a Sarno
Gentile Giuseppe,
vi sono molte analogie tra il teatro di Sarno e quello di Pietrabbondante. Anche nel profilo dell’aquila in testa ai sedili. Sicuramente diverso è il contesto e la sezione dei sedili che, per Pietrabbondante, rimangono unici al mondo.
Grazie!
Grazie per le informazioni e le suggestioni che ha pubblicato, così interessanti che mi hanno spinto a progettare e compiere nei giorni scorsi un viaggio per scoprire la bellezza ed il fascino del sito di Pietrabbondante, e non solo di Pietrabbondante, perchè girellando per quelle terre meravigliose e non ancora devastate dalla speculazione edilizia, ho visitato luoghi meravigliosi che mi erano assolutamente ignoti.
Cordialmente, la saluto
Leopoldo Bozzi
Gentilissimo Leopoldo,
La ringrazio per avermi fatto condividere i suoi apprezzamenti per questa nostra regione…
E pensare che ho scoperto Pietrabbondante grazie a Striscia la Notizia! Non so se e quando riuscirò mai a visitarla dal vivo; le Sue informazioni sono uno stimolo in più. E’ amaro pensare quante bellezze siano trascurate, salvo piangerle quando succede un disastro, tipo terremoto in Emila, ed esse vanno perse.
Aspettiamo una bella discarica, tipo Villa Adriana…
Grazie ancora.
… in effetti a poca distanza stanno realizzando uno di quei museo-mostri in acciaio, cemento e cristallo (…a mille metri e in zona franosa…) che, presumo, non sarà mai aperto, anche se prima delle elezioni regionali hanno fatto una sceneggiata augurale con tanto di taglio del nastro….
[12.04.19] Meddix Tuticus: IL Teatro di Pietrabbondante non è solo un eccellente esempio architettonico ma è anche un luogo simbolo di quella rinascita culturale che i popoli italici cercarono di attuare in opposizione al sistema romano. Questa sua duplice valenza è lampante se ci si reca sul posto e si osserva attentamente con gli occhi e con lo spirito giusto…
p.s. riappriopiamoci di quello spirito!
Caro Franco, ti confesso che non sono riuscita a leggere tutto il tuo articolo, ma lo stamperò e me lo rellegerò con calma! Però voglio raccontarti una faccenda che riguarda Il tempio di S.Angelo ed indirettamente anche il sito di Pietrabbondante. Sai che fu mia madre a segnale al Socrintendete di Chieti Dr.Cianfarani. (da cui dipendenva la Vastogirardi archeologica con un Molise ancora unito all’abruzzo, parliamo degli 54) Ma non successe niente fin quando mia madre conobbe un giovane prof. di Storia dell’arte di Roma, molto interessato alla archeologia che, ospite nostro, volle vedere S.Angelo e Pietrabbondante, Questo giovane, Prof. Giancarlo Ambrosetti divenuto poi Spovrintendete (credo a Bologna) riusci a far eseguire una ricognizione aerea su S.Angelo (Forse negli anni 1967-68) e ritenendolo interessante lo segnalò a Campobasso dove credo già ci fosse Adriano La Regina. Gli scavi furono poi eseguiti a cura e spese dei Francesi con gli archeologhi Prof.Morel e Prof. Anò!!!!!l con la supervisione (Oggi si direbbe Alta Sorveglianza di Adriano La Regiona, che fu abbastanza assiduo nelle sue visite. Ma dopo la visita a Pietrabbondante Ambrosetti fece presente a mia madre che l’Emiciclo del teatro di poteva possibilmente essere più adibito ad Assemblee politiche, che non a spettacoli teatrali. Proprio perchè le prime tre fila dei sedili presentavano quella architettura ergonomica, forse riservata a politici di alto livello. Inoltre, fece osservare Ambrosetti, che da qualsiasi parte tu cerchi di vederlo, sia da valle che da monte, il teatro di Pietrabbondante resta sempre escluso alla vista. Questi due particolari gli fecero pensare appunto ad Aquilonia, posto ove i Sanniti si potevano riunire, senza essere visti da alcuno. Questa circostanza potrai verificarla tu stesso, ma mi premeva raccontarti questi Ragionamenti del Prof. Ambrosetti. Per quanto riguarda i ritrovamenti delle tombe di soldati poste sul lato verso Vastogirardi del Tempio (viste personalmente e fotografate in diapositive) ho ritrovato in cantina uno scatolone pieno di vecchie immagini. Cercherò se ci sono le foto di quelle tombe, anche perchè, non si sa dove sia andato a finire tutto quel materiale ritrovato: Io sospetto in Francia!!!Ossequi Peof.Donatella Capo
Probabilmente consigliarono ad Ambrosetti di farsi i fatti propri…
Donatella, grazie! Credo tu abbia dimenticato di dire che la terra dove sta il tempio di S. Angelo appartiene alla tua famiglia che non ha mai chiesto indennità per le occupazioni…
Seguendo il filo dei Tuoi articoli collegati a questo sul sito archeologico di Pietrabbondante, sono arrivato a quello sugli “Allineamenti” topografici territoriali dei santuari sannitici. Concordo con le Tue considerazioni, anche distanziometriche, anche se le nostre differenze metriche sono 11.200 metri su 11.221 metri, pochi metri, ma importanti (202x202x0,275m). La cosa che mi preme, però, è smentire E. T. Salmon che, con sufficienza inglese, classifica gli antichi Sanniti come un popolo “rozzo”, incapace di elevazioni intellettuali. Mai l’avesse detto! Sono arrivato a scoprire testimonianze sannitiche della metà del V secolo a.C. (non voglio rubare il mestiere a nessuno, ma solo sottrarmi ai presuntuosi della materia), che confermano la grande SAPIENZA di questo antico popolo. Infatti un triangolo rettangolo chilometrico delimitato da punti ancora esistenti e significativi, traccia i valori delle ciclicità della “precessione degli equinozi”, anticipando di tre secoli
l’epoca della scoperta della sola “precessione”, incompleta, senza i valori delle altre ciclicità, che viene datata al II secolo a.C. ad opera di Ipparco. Questa gigantesca costruzione geometrica è il “cuore” di tutta la maglia topografica sacra sannita, dall’ Abruzzo fino al beneventano. Non solo, ma il raffronto con la sezione di tante piramidi egizie, tra cui spicca quella di Cheope, mostra la uguaglianza perfetta degli angoli della loro sezione verticale e quelli del triangolo chilometrico rilevato, vale a dire corrispondenza di rapporti geometrici proporzionali derivati da valori di cicli cosmici. Questo porta addirittura a scoprire l’origine vera della “SEZIONE AUREA”, cioè non una elaborazione filosofica, ma, come tutto nell’antichità, essa nasce dalle osservazioni delle ciclicità cosmiche da parte degli antichi popoli mesopotamici e mediterranei, poi diffuse tra le altre popolazioni antiche. Oltre a queste considerazioni, ve ne sono altre di ordine operativo per il tracciamento chilometrico degli allineamenti e l’ individuazione al suolo, tutt’oggi esistente, del centro della circonferenza, dal significato strabiliante, inscritta nel triangolo chilometrico dell’ ANNO PELASGICO. Ma il fatto archeologico viene messo in secondo piano dalla più grande scoperta intellettuale, eternamente valida, che pone il pianeta Terra e quindi l’Uomo che la abita, in relazione con l’ordine del Cielo. Mi fermo qui, perché questa non è la sede per illustrare tutta la vicenda che è molto lunga, e credo che la buonanima del Salmon quando leggerà la mia ricerca chiederà scusa all’antico “rozzo” popolo del Sannio.
Caro Franco, sempre un grazie per l’ospitalità.
Carmelo
Concordo sul giudizio su Salmon anche se gli si deve dare il merito di aver fatto conoscere al mondo che i Sanniti sono esistiti.
Peraltro non essendo architetto seguiva logiche letterarie. Per esempio per lui Aquilonia era Montaquila…!
Grazie sempre per i tuoi interventi. Purtroppo non è facile far digerire agli archeologi che non bisogna guardare solo nel buco scavato e nelle cosiddette fonti letterarie.
Se fra qualche secolo ci si volesse fare un idea di quello che sta succedendo oggi credo che la fonte meno credibile sarebbero i giornali…