A Roccamandolfi un Cristo crocifisso con le braghe. Una rarità nell’iconografia cristiana medioevale
Franco Valente
A Roccamandolfi vi è una delle croci stazionarie più misteriose e intriganti della iconografia cristiana. Si trova all’interno di un portico cieco che sembra fatto apposta per sedersi ad osservarla perché sui tre lati chiusi si sviluppa un comodo sedile in pietra.
Il grande arco che limita l’apertura sulla strada ha un sesto leggermente acuto che si raccorda con un concio centrale che reca uno scudo con un racemo a tre fiori. L’imposta è formata da un listello dalla cornice rettilinea. Uguale semplicità nella base.
Nel punto mediano del portico, su tre gradoni circolari, si appoggia una base quadrata ruotata di 45 gradi rispetto alla parete di fondo. Si di essa una base circolare è formata da due sottili cilindri, uno grande in basso e uno più piccolo in alto, raccordati da un semicono.
Al centro sorge la colonna liscia, perfettamente cilindrica.
Il capitello ha la forma circolare ed è costituito da due calotte ribassate accoppiate in modo da formare una sfera schiacciata.
Sul tutto è fissata una croce in pietra a doppio prospetto, chiusa in una fascia circolare. Da una parte il Cristo crocifisso e dall’altra il Cristo risorto, in trono e benedicente.
In tempi recenti, al fine di garantire una migliore stabilità è stato applicato uno strato di cemento che ha parzialmente coperto l’appoggio della croce per uno spessore di circa 5 centimetri.
Fin qui la descrizione sommaria del piccolo monumento, ma i misteri (o comunque gli aspetti incomprensibili) vengono fuori quando si osservano i particolari. A cominciare dalla figura del Cristo.
Il prospetto che si vede dalla strada è sicuramente quello più significativo sebbene non sia conclusivo proprio per il fatto che abbia anche una parte posteriore.
La croce è stata ricavata da un blocco calcareo unico formando una cornice circolare dello spessore di circa 15 centimetri ed eguale profondità all’interno della quale vi sono i bracci simmetrici su cui poggia il crocifisso. La decorazione è a foglie stilizzate di acanto spinoso articolate a raggiera in maniera da essere contigue tra di loro.
Nella parte centrale i quattro bracci che fanno da sfondo alla crocifissione si incrociano innestandosi su un quadrato. La parte decorativa è costituita da una serie di bottoni a cerchi concentrici attorno a fori conici da trapano.
Al disopra del Cristo vi è un angelo dalla lunga tunica e dalle ali aperte che, in posizione frontale, tiene le mani unite. Sembra indirizzare lo sguardo verso l’alto. Il suo capo, dai lunghi capelli, è circondato da un’aureola.
In basso è il Cristo crocifisso. Ha le braccia perfettamente allineate con la trave orizzontale che, priva dell’asse verticale per l’appoggio del corpo, ha i terminali che si allargano in forma quadrata. Le mani piatte, bloccate da un chiodo alla romana, sono completamente aperte. Il capo, perfettamente centrato, ha i capelli lisci e lunghi che si appoggiano simmetricamente sulle spalle. L’aureola che lo contorna è caricata di una croce patente. Il volto barbuto è caratterizzato da una piccola bocca e gli occhi dalle palpebre chiuse a formare due tagli orizzontali.
Particolarmente efficace il rilievo delle costole del busto che sottolineano una trazione delle braccia senza sforzo muscolare. L’ombelico è costituito da un piccolo foro evidenziato un cerchio sul ventre liscio. All’altezza dello sterno un altro piccolo foro da trapano.
I piedi sono sovrapposti e si appoggiano ad una sorta di globo sotto forma di nuvola stilizzata che sostituisce la consueta mensola di legno. Si reggono senza essere trattenuti da alcun chiodo.
Ma la parte che costituisce un’autentica e straordinaria peculiarità è la parte del panno di lino che ne copre il ventre.
L’iconografia cristiana è piuttosto ripetitiva. La scena della crocifissione è ripresa in genere dai vangeli ufficiali, anche se spesso sono aggiunti particolari presi dai cosiddetti vangeli apocrifi. Nella sostanza, per quanto riguarda l’abbigliamento, esistono solo due tipologie. O il Cristo vestito del cosiddetto “colobion” che è una tunica lunga con o senza maniche, come si vede nelle versioni più antiche. Oppure coperto solo da un panno di lino, più o meno leggero.
Non mi risulta che esistano rappresentazioni diverse.
La crocifissione di Roccamandolfi è diversa perché oltre il Cristo è coperto non solo da un perizoma, ma anche da un paio di braghe a mezza gamba che esono dal panno di lino.
Si tratta di una eccezione che non trova riscontro in alcuna altra crocifissione e che lascia difficilmente risolubile il mistero.
Tutti i vangeli sono concordi nel dire semplicemente che Cristo fu spogliato e crocifisso. Nessun riferimento su come fosse coperto. Perciò tutti gli artisti, sia scultori che pittori, si sono limitati alle due possibilità che ho citato.
Perché dunque a Roccamandolfi questa anomalia iconografica? La risposta al quesito per ora non esiste.
Non esiste una documentazione storica che permetta di sapere a quale periodo si possa far risalire l’uso di tale indumento e su come fosse fatto nell’antichità. Anche l’arte è piuttosto avara di immagini che possano aiutarci. L’unico artista che in qualche modo ne ha fatto ripetutamente uso è Antonello da Messina che ha vestito di braghe, ad esempio, S. Sebastiano martirizzato oppure i ladroni a lato di Cristo nelle sue crocifissioni, ripreso anche da Andrea Mantegna più o meno nella stessa epoca. E siamo già al Quattrocento inoltrato.
Forse leggermente più antica è la rappresentazione dei ladroni con le braghe che si trova a Francoforte sul Meno, il cosiddetto “altare di Rimini”. Comunque si tratta sempre di braghe piuttosto ridotte mentre nel nostro caso arrivano quasi al ginocchio e mai si vedono applicate alla figura di Cristo. In un salterio della fine del Trecento, invece, si vede un viandante, il cosiddetto “folle”, che indossa delle braghe a mezza gamba. Esempi più antichi mi sono sconosciuti.
Ai piedi della croce di Roccamandolfi, parzialmente coperto dal cemento moderno, vi è uno scudo formato da due pezze orizzontali a rilievo poste in croce di S. Andrea. E’ certamente lo stemma della famiglia del donatore, committente dell’opera, come dirò più avanti.
Sul fronte opposto, la cornice perimetrale è decorata con tre file di cerchi concentrici forati al centro. Sui terminali in alto e in basso del braccio verticale della croce sono ripetuti due scudi con le pezze a croce di S. Andrea. Nella parte centrale è il rilievo di un Cristo seduto in trono in atteggiamento benedicente all’occidentale, vestito di una lunga tunica che copre anche i piedi. Anche in questo caso l’aureola è caricata di una croce patente. Il volto barbuto e dai capelli lunghi, è sorridente e gli occhi sono aperti.
Al disopra del Cristo il cartiglio in grandi lettere alla gotica con l’acronimo INRI: Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum (Gesù Nazareno re dei Giudei) (Giovanni, 19,19-20).
Nessuna scritta e nessuna data ci aiuta a capire in che epoca sia stata realizzata la croce di Roccamandolfi. Neppure ci aiuta lo stemma che appare non solo sotto i piedi del crocifisso e sopra e sotto del Cristo benedicente e, anche, sulla ghiera esterna della cornice circolare.
Sebbene dunque sia chiara e manifesta la volontà del committente di lasciare il segno della sua famiglia ripetendo il suo simbolo araldico ben quattro volte, non abbiamo elementi per capire chi egli sia.
Lo stemma con le cosiddette pezze onorevoli disposte a croce di S. Andrea è una circostanza rarissima nella storia araldica. Specialmente quando non sono caricate di ulteriori segni. Un altro problema deriva dal fatto che essendo nel nostro caso eseguite su pietra, non siamo in grado di conoscere il colore delle pezze.
Ma forse i Registri Angioini (a cura di R. Filangieri 1953) ci possono aiutare a risolvere il problema. Gianfranco De Benedittis riprende una notizia già accennata dal Masciotta circa l’assegnazione di Roccamandolfi a Berengario (Bérenger) di Tarascon.
La questione è complessa perché riguarda la conclusione di una vicenda sulla quale avrò modo di tornare a proposito dei movimenti ereticali nel Molise nel XIII secolo che coinvolsero anche il territorio di Roccamandolfi. Del movimento degli “spirituali”, che si rifacevano alle visioni apocalittiche di Gioacchino da Fiore e a cui non era estraneo il diffondersi dell’eresia catara, rimane ancora traccia evidente nel toponimo urbano in una via che è ancora intitolata a S. Spirito in Roccamandolfi senza che di una chiesa omonima sia rimasto alcun elemento.
Nel 1269 Berardo da Rayano venne a Roccamandolfi con il preciso incarico datogli da re Carlo d’Angiò di catturare un gruppo di eretici che si erano insediati nel feudo che allora apparteneva a Tommaso d’Evoli, probabilmente all’interno dell’antico castello.
Gli eretici vennero catturati e portati a Capua dove furono severamente giudicati. Dopo questi fatti, l’anno seguente, l’abitato di Roccamandolfi, che prima si stringeva attorno al castello, fu completamente trasferito in basso, nel luogo dove si trova oggi, e interamente ricostruito. Nel 1271 il feudo di Rocca Maginulfi risulta assegnato a Bérenger di Tarascon.
Non so dire quali siano i rapporti tra i Bérenger di Tarascon e la famiglia Bérenger che veniva dal territorio nizzardo, anch’esso nella Francia meridionale, e quale sia stato lo stemma originario di questa famiglia.
Noi conosciamo dei Bérenger lo stemma che adottavano nel XV secolo e che è costituito da uno scudo grembiato, d’oro e d’azzurro, che potrebbe essere una evoluzione di un originario blasone con le pezze in croce di S. Andrea, come appaiono sulla croce di Roccamandolfi.
Poche e non definitive ipotesi sulle quali si potrà discutere per dare una soluzione ai misteri di una croce che, se non cambia la storia del mondo, è comunque utile per cominciare ad entrare nei meandri di una storia regionale che è ancora tutta da svelare.
ciao franco,sono mario d’angelo.girando per la rete mi sono imbattuto in questo splendido tuo lavoro sulla croce con il cristo in braghe di roccamandolfi. a quale indirizzo mail posso sciverti ?.ti faccio i miei migliori auguri per il nuovo anno.
I complimenti più vivi anche da me, appassionato di tematiche di questo genere. I misteri della rappresentazione umana del Mistero per eccellenza non finiscono mai, come se ci volessero risucchiare in una realtà che dobbiamo rincorrere nel tentativo di chiarirci i nostri problemi. Approfitto poi della tua passione, chissà che non riesci a dare una risposta ad un fenomeno che registro nella Processione dei Mistei del mio paese di Orgine, Carbonara di Bari. La Naka di Gesù tradizionalmente è accompagnata da 6 guardie per lato che sono idnetificati dal popolo come giudei, ma sono state sempre di sesso femminile e giovani. Che singificato può avere. Cordiali saluti ed ancora complimenti, mi hai fatto venire il desiderio di venire a visitare il tuo paese. Nicola Partipilo
Gentile Nicola, poiché la cosa mi interessa ho provveduto ad ordinare la tua pubblicazione sulla processione di Carbonara attraverso IBS.IT. Spero di essere utile dopo averla letta.
Il Molise è comunque a confine della Puglia e molte cose sono in comune.
Grazie dei complimenti. Questo sito si regge grazie a chi, come te, mostra di apprezzarlo. Ma la voglia di chiudere è sempre dietro l’angolo!
Intanto una domanda che ti sembrerà strana. I soldati (o meglio le soldatesse) usavano in passato tingersi in qualche modo la faccia?