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Riflessioni di fine anno.

By 12 Dicembre 2010 Febbraio 25th, 2011 No Comments

Riflessioni di fine anno. Aspettando la fine del berlusconesimo.

Franco Valente

A volte mi viene da pensare che il Molise esista, ma che non esistano più i Molisani.

Specialmente quando cerco di trovare un filo logico in ciò che viene fatto dai nostri uomini politici.

Ultimamente, poi, il berlusconismo dilagante ha determinato in me una sorta di psicosi della immutabilità. Non vedo altro che peggioramenti. Dappertutto.

Questo blog, che si può vantare di oltre 600 accessi quotidiani (con circa 250 accessi unici), ormai da qualche anno è l’unico sfogo ai miei problematici interrogativi.

Chi lo segue si è reso conto che cerco di spostare l’attenzione sul patrimonio culturale di questa regione, spesso con interpretazioni assolutamente soggettive, nella speranza di trovare anche qualche “condivisore culturale”, prescindendo dalla condivisione delle posizioni politiche che qualche volta esprimo.

In effetti i condivisori culturali (i sognatori) sono parecchi (lo vedo dai commenti pubblici e dalle mails private che mi arrivano con la posta elettronica), ma la situazione è decisamente sempre peggiore.

Ho l’impressione che questa regione sia senza anima.

Più di una volta ho detto che il Molise stanca gli eroi. E io che eroe non sono, comincio a stancarmi.

Poi mi accorgo che da qualche parte esiste un carbone acceso e mi riprende la voglia di insistere.

Ben riflettendo, il Molise è come il Santo Sepolcro. E’ importante per le cose che non ci sono, come è importante Gerusalemme per un corpo che non c’è. Perché se quel corpo ci fosse, tutto sarebbe ridotto a pura razionalità.

Per amare questa regione fino a capirla, bisogna convincersi che la sua forza è l’irrazionalità. Basta osservare quello che fanno i nostri politici e che livello medio di cultura hanno i nostri governanti locali.

Perciò, da quando ho deciso di conoscere ogni angolo di questo territorio, mi si va formando la coscienza che tutto ciò che, nel bene o nel male, è stato creato dall’uomo possa essere catalogato in due grandi contenitori.

Il primo di opere ideologiche.

Il secondo di quelle teologiche.

Le opere ideologiche sono quelle che rispondono ad esigenze sociali. Hanno finalità pratiche.

Sono le scuole, i municipi, gli ospedali, le case, le piazze, i castelli, i ponti, le strade, gli acquedotti, le linee elettriche, i campi sportivi, le discoteche, i cinema, i musei. Insomma tutto ciò che serve all’uomo per organizzare la vita quotidiana.

Sono tutte opere che servono a raggiungere quelle finalità pratiche che nella sostanza, se funzionano bene, ci permettono di stare bene in salute, di essere istruiti, di godere delle opere dell’ingegno umano.

Le opere teologiche sono, invece, quelle che rispondono ad una particolare esigenza che non necessariamente abbia finalità pratiche.

Nel mondo cristiano, cioè nella nostra realtà, sono le chiese.

Se, in termini ideologici, ci si ponesse il problema di capire a cosa serva una chiesa dal punto di vista pratico, sarebbe difficile trovare una giustificazione alla loro esistenza. Specialmente oggi che le chiese sempre più si connotano per gli aspetti ideologici, più che per quelli teologici.

E il berlusconesimo, che una volta si chiamava “consumismo”, ha dato una spallata fondamentale per cancellare quel residuo di teologico che era nelle chiese.

E’ strano a dirsi, ma oggi finalmente il “consumismo” ha il volto di un governante.

Ci sarebbe quasi da rallegrarsi, perché sembrerebbe di poter dire che abbattendo l’immagine si abbatte anche ciò che l’immagine rappresenta.

Ci piacerebbe che fosse così, ma, purtroppo, così non è. Perché proprio la società tecnologica, prodotta da ciò che si contesta, ci consente di capire che il giorno della felicità assoluta, della parità tra gli uomini, della perdita del dolore, della società pacificata, è ancora molto lontano.

Abbattendo o non abbattendo l’immagine del consumismo.

Nel “68” pareva che si fosse capito il significato del termine ideologia. Sembrava che tutti avessero capito che non esiste una ideologia di sinistra o di destra, ma esiste semplicemente un complesso di elucubrazioni che le classi dominanti (o più semplicemente i gruppi dominanti) mettono insieme per giustificare i prodotti dei loro interessi.

Oggi i gruppi dominanti, ovvero i possessori dell’informazione (che, poi, coincidono con i possessori dei meccanismi economici) sono diventati così bravi da essere riusciti a indirizzare anche gli aspetti teologici della vita quotidiana nell’ambito di una visione ideologica, puramente edonistica e scenografica.

Quel cambiamento definitivo che in chiave marxista sembrava stesse ineluttabilmente arrivando, perché ormai era vicino il tempo in cui stavano per esplodere le contraddizioni del sistema capitalista, ora sembra destinato, sempre per quella ineluttabilità della storia, ad essere rinviato.

Addirittura “sine die”.

Quel torpore che Marx attribuiva alla religione, in realtà viene diffuso in dosi industriali dal digitale terrestre, dai ripetitori satellitari, dalla televisione di Stato e da quella privata concorrente. Tutti uniti appassionatamente per raggiungere l’obiettivo della pace dei sensi e la devozione al grande comunicatore.

Il grande fratello oltre il quale il nulla cosmico.

Dio è morto.

Gott ist tot” diceva  Friedrich Nietzsche ne “La gaia scienza”:
« Dio è morto.
Dio resta morto.
E noi l’abbiamo ucciso.
Come potremmo sentirci a posto, noi assassini di tutti gli assassini?
Nulla esisteva di più sacro e grande in tutto il mondo, ed ora è sanguinante sotto le nostre ginocchia: chi ci ripulirà dal sangue?
Che acqua useremo per lavarci?
Che festività di perdono, che sacro gioco dovremo inventarci?
Non è forse la grandezza di questa morte troppo grande per noi?
Non dovremmo forse diventare divinità semplicemente per esserne degni?
»

Nel 1965 il genio di Guccini ci fece riflettere su quello che stava accadendo e i Nomadi cantarono per noi che, “se Dio muore, è per tre giorni. Poi risorge”.

Intanto, aspettando che Dio risorga, morirà il berlusconesimo senza risorgere?

Io me lo auguro.

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