“Storia di Venafro dal 1848 in poi” – Manoscritto anonimo attribuito a Francesco Lucenteforte
Più di una persona mi ha chiesto di mettere sul sito il testo del manoscritto anonimo che va sotto il titolo: “Storia di Venafro dal 1848 in poi”, da me attribuito a Francesco Lucenteforte.
E’ stato già pubblicato sull’Almanacco del Molise 2000/2001.
Ve ne consiglio la lettura
Franco Valente
Possiedo un manoscritto anonimo che va sotto il titolo di “Storia di Venafro dal 1848 in poi”. Tempo fa ne avevo fatto una lettura superficiale senza preoccuparmi di capire a chi potesse essere attribuito il racconto. Per me l’autore era uno sconosciuto venafrano poco desideroso di lasciare ai posteri traccia della sua firma, probabilmente per non farsi coinvolgere in questioni familiari che potevano avere risvolti anche indelicati nella ristretta cerchia della comunità locale di cui faceva parte.
Rileggendo ultimamente il racconto con più attenzione mi sono reso conto che l’autore é Francesco Lucenteforte, personaggio ben noto nella storia locale per una serie di scritti che ancora oggi restano fondamentali nella storiografia locale. Infatti in un punto, a pagina 7, l’anonimo estensore in qualche modo si tradisce ricordando che suo zio era il primicerio don Pietro Lucenteforte:
Qui a sollievo dell’animo mio (mi sia permesso uno sfogo) son tentato narrare la morte del Prim. Lucenteforte mio zio; e ciò non tanto per una mia vanagloria, quanto per rendere un’attestato di gratitudine ai miei concittadini venafrani.
In altri parti del racconto Lucenteforte si cita, ma sempre in terza persona, attribuendosi, senza nasconderle, le sue idee liberali sostanzialmente antiborboniche ed elencandosi, anche con un certo piacere narcisista, tra i “demagoghi e riscaldati” rei di aver riso alla notizia della battaglia di Velletri
Di Francesco Lucenteforte sappiamo poco più di quanto riferisce su di lui Giambattista Masciotta.
Si chiamava Francesco Antonio Carmine ed era nato a Venafro 1l 17 luglio 1811 dove morì, all’età di 71 anni, il 23 marzo 1882. Suo padre Giambattista, maritato con Clementina Monaco, esercitava il mestiere di notaio. “Ecclesiastico d’intemerati costumi ebbe cultura varia e superiore alla comune, ed un sentimento religioso di cristallina purezza da non impedirgli le più vive simpatie verso il movimento del risorgimento nazionale”.
Nel palazzo di famiglia, a poca distanza dal Castello di Venafro, ospitò il gesuita padre Raffaele Garrucci con il quale collaborò per la stesura del suo volume sulle lapidi venafrane (Venafro illustrata coll’aiuto delle lapidi antiche. Roma 1874), delle quali Lucenteforte fu anche raccoglitore.
Raccolse nel territorio venafrano anche un buon numero di oggetti litici che poi donò nel 1876 al museo nazionale Pigorini, dove ancora si trovano. In quell’anno ospitò anche Teodoro Mommsen venuto a Venafro per aggiornare la prima edizione del Corpus delle lapidi latine.
Fu corrispondente di numerosi istituti archeologici ed in particolare con l’Istituto Germanico di Roma di cui era allora segretario Hentzen.
In questo periodo stava terminando la raccolta del materiale che pubblicò a Cassino ed Isernia nel 1877-78 in tre volumi: Monografia fisico-economico-morale di Venafro .
Gli episodi che sono raccontati nel manoscritto si riferiscono essenzialmente all’anno 1848, quando egli aveva 37 anni ed era prete in Venafro, ma furono scritti sicuramente molto dopo il 1860, quando ormai la situazione politica generale era mutata.
Si tratta di un vera e propria cronaca di avvenimenti che vengono descritti con la chiara volontà di lasciare un giudizio personale sui personaggi che ne sono gli attori. Venafro in quel periodo viveva di riflesso i grandi cambiamenti che accadevano nella capitale partenopea e risentiva in maniera particolare dello scontro che diveniva sempre più ingovernabile tra la fazione tardo-borbonica e quella liberale.
Napoli con il governo borbonico di Ferdinando II sembrava tornata ad essere la grande capitale europea del secolo precedente. Grandi progressi nei servizi pubblici, come la stazione ferroviaria e illuminazione a gas delle strade, una serie di convegni scientifici di elevato interesse internazionale e la presenza di una classe culturale di alto livello, non sempre allineata con il governo, aveva determinato l’illusione che si sviluppasse anche nel popolo un concetto di nazione che andava assumendo l’aspetto di una vero e proprio culto religioso con il divulgarsi delle idee giobertiane già anticipate da Vincenzo Cuoco e Giambattista Vico.
Una situazione complessiva che era sboccata nelle azioni rivoluzionarie del 1848 che videro Napoli, ed in particolare la sua centrale via Toledo, teatro di scontri successivi alla prima Costituzione concessa da Ferdinando II il 29 gennaio di quell’anno.
Il racconto venafrano inizia con una straordinaria pennellata sulla notte di capodanno del 1848 che sembrava l’inizio di un qualsiasi anno perché, secondo il solito, fu passata tra i falò accesi nelle piazze e l’allegria generata dai suonatori di zampogne. Così pure il primo giorno dell’anno vedeva la tradizionale agitazione festiva dei bambini che giravano per le case a ricevere un’offerta dai parenti e delle popolane vestite con tutta la galanteria che potevano con al collo lunghe catene di propri penacoli d’oro, e colle dita tutte guarnite di anelli fuorché nel pollice, quali portando sul capo una misura di legno capace di un tomolo di grano, quali con uno stajo pieno d’olio, o due caponi, quali con altri polli, e cartocci di denaro le quali cose tutte portavansi ai medici, od agli avvocati come prestazione per la sollecitudine avuta nella guarigione delle malattie corporali, o di quelle anche più perniciose de’ tribunali.
Venafro viveva beata come se nulla accadesse a Napoli perché niente risentiva e sapeva delle dimostrazioni politiche che nella Capitale ed altrove succedevansi.
La causa principale di questo atteggiamento era la cultura della delazione che era tenuta in pregio da un giudice regio fierissimo poliziotto e da un vescovo che solo voleva somarri e santarelli.
Lucenteforte nell’introduzione anticipa quello che dirà dopo: mal del Giudice, e del Vescovo avremo modo di discorrere a lungo.
La storia si articola in sequenze di cui egli in qualche modo, proprio per la sua funzione sacerdotale, fu diretto testimone. Così il racconto del passaggio del colonnello Cotrusiano che tornava con i suoi soldati a Napoli e che, ospite del Vescovo, tra risate e maledizioni, affermò che con le palle dei suoi cannoni avrebbe fatto ballare i dimostranti a via Toledo. Così i resoconti delle conversazioni sulla piazza del Mercato o nei caffé.
Nell’esaminare i fatti fa un elenco dettagliato dei liberali e dei filo-borbonici esprimendo severi giudizi soprattutto sui traditori e gli infiltrati tra i liberali.
Leggendo la cronaca dei fatti raccontati da Francesco Lucenteforte si ha la visione chiara delle difficoltà che nei centri minori si incontravano per la diffusione delle idee, ma si avverte pure la sua onestà intellettuale di sacerdote consapevole degli errori che la Chiesa locale commetteva nel tentativo di garantire la sopravvivenza di regimi non più sopportabili.
Lucenteforte si scaglia in maniera decisa contro Francesco Nola, giudice regio di fede borbonica, arrivando anche alla pura calunnia pur di farlo apparire personaggio moralmente riprovevole. Così pure non ha parole lievi per il suo vescovo Gennaro Saladino, anche se alla fine gli riconosce almeno un minimo di umanità quando tenta di difendere alcuni perseguitati dalla polizia borbonica.
La conclusione della cronaca é piuttosto sconsolata e, in qualche modo, é una rassegnata considerazione sulla improduttività pratica di quegli avvenimenti burrascosi che, invece, avevano fatto presagire grandi cambiamenti. Mutamenti che la nuova generazione non era stata in grado di gestire.
Dopo i fatti del 1848 il seme rivoluzionario liberale sembrò essere rinsecchito, tant’é che Francesco Lucenteforte così conclude la sua storia: Qui possiam dire finisca la storia politica di Venafro perché da quest’epoca fino al 1860 non si passò che nel perfetto avvilimento e nullità politica regnando solamente lo spionaggio, e la denuncia, sebbene senza effetto, perché la vigilanza del Vescovo menomava nel Giudice la volontà di recare danni alle famiglie.
Poi vi fu l’Unità di Italia.
F. V.
Storia di Venafro
dal 1848 in poi
Introduzione
Sorgeva la prima alba del 1848. Era bella. la not-
te fu passata secondo il costume tra’ canti e
suoni pubblici, ed i favori del Comune uniti
ad un suonatore di zampogna, ed un’altro
di cennamella quali giravano il paese dan-
do gli auguri per novello anno a tutti i cit-
tadini ad uno ad uno chiamandoli per nome.
La mattina poi del nuovo anno si mostrava
lieta e per la gente affaccendata nel ren-
dere gli auguri ricevuti nella notte avanti la porta
delle propria abitazione e per i regali che
vicendevolmente scambiavansi. Imperciocché quà
vedesi attruppar di fanciulli che chiede-
vano la cosiddetta offerta ai loro parenti e
conoscenti, là un agitarsi di donne vestite
con tutta la galanteria che potevano
con al collo lunghe catene di propri penacoli d’oro, e colle
dita tutte guarnite di anelli fuorché nel
pollice, quali portando sul capo una misura
di legno capace d’un tomolo di grano, quali
con uno stajo pieno d’olio, o due caponi,
quali con altri polli, e cartocci di denaro
le quali cose tutte portavansi ai medici, od
agli avvocati come prestazione per la sollecitudi-
ne avuta nella guarigione delle malattie
corporali, o di quelle anche più perniciose de’
tribunali. Là sentivasi il suono silvestre
della zampogna e della stridula cenammella, e quà
quello della banda musicale che andavano riscuo-
tendo le offerte de’ cittadini. Era una
beatitudine. E beata viveva la vita la
gente venafrana, (ma di quella beatitudine
che suol nascere da politico avvilimento per
un tirannico reggime), ma di quella beatitudine
che suol nascere per la sovrabbondanza de’ beni
della vita, conciosiacosaché Venafro paese agri-
colo per natura produce il doppio di quanto
consuma, sebbene la metà di quanto prometto-
no la terra per la poco espertezza; ma di
questa beatitudine che suol nascere presse un po-
polo che nella abbondanza delle risorse della
vita accompia la facilità di proccurarsi
de’ divertivi per le feste, e Venafro con
11 chiese e 40 preti somministra al popo-
lo frequenti motivi di festa e di divertivi,
ma di quella beatitudine che suol nascere
in mezzo ad un popolo dal politico avvilimento
per un tirannico reggime. E di fatti Ve-
nafro in quell’epoca niente risentiva e sape-
va delle dimostrazioni politiche che nella Capi-
tale ed altrove succedevansi; Venafro vi-
veva sola come altro popolo non esistesse
perché la classe de’ contadini si occupava
solamente della coltura delle terre, quella
degli artisti parte pensava a divertirsi,
e parte corrotta da un Giudice Regio fieris-
simo poliziotto, si faceva un pregio di fare
la spia ne’ caffé, nelle spezierie, e nelle
cantine, e nella pubbliche piazze. Questa
peste dello spionaggio era tenuta in pre-
gio ed aveva infettato ancora un parte
de’ galantuomini, e di preti male educa-
ti da un vescovo che solo voleva somar-
ri, e santarelli: mal del Giudice, e del Vesco-
vo avremo occasione di discorrere a lun-
go.
Il Vescovo Gennaro Saladino (nell’atrio dell’ex Seminario di Venafro)
Con ciò non si creda Venafro esser Città da poco!
La Patria di Pilla padre che dal 99 in poi
seppe mostrare senno ed affetto patrio;
la patria di Pilla figlio che morì nel 1848,
nella battaglia di Curtatone combattendo
contro il Tedesco; Venafro che resisté a
Mammone nel 1799 e fece strage delle
masse borboniche guidate da quel sangui-
nario mostro; Venafro di cui Cuoco
deplorando le condizioni
del Napolitano per gli impercettibili punti
democratici che vi rimanevano in quell’epo-
ca diceva: “ Ma questi punti conteneva-
no degli Eroi. Nel fondo della Campania
era Venafro che sola aveva resistito per lun-
go tempo a Mammone; Venafro ripeto
nel principio del 1848 conteneva di giovani
che respiravano liberi sensi, ma avviliti e
timidi si tenevano nascosti, per quindi risplender
di più forte luce a tempo opportuno come
vedrassi nel corso di questa storia.
Capitolo I
A causa delle continuate dimostrazioni della Capitale
il governo richiamò molte truppe che stavano
disperse per le Provincie per accaser-
marle nelle vicinanze di Napoli. Quelle che era-
no negli Abruzzi passavano per Venafro,
e nel giorno ….. Gennajo …. giorni prima
della pubblicazione della Costituzione transitò il Coman-
dante l’artiglieria Colonnello Cotrusiano. Al-
loggiò costui in casa Del Prete, e la sera recossi
a visitare il Vescovo D. Gennaro Saladino. Nella
conversazione s’introdusse discorso sulle dimostra-
zioni demagogiche della Capitale, si scherni-
vano, si maledicevano, e tra gli scherni e
le maledizioni si rideva sgangheratamente quando
Cotrusiano in tuono rodomontisco si espresse:
faccino pure, gridino quanto vogliano, che
appena giungerò, farò per la strada Toledo
ballare le palle de’ miei cannoni. Si applau-
dì al bel concetto! Ma Rodomonte non giun-
se in Napoli, perché fu destinato in S. Maria
di Capua condannato a soffrire gl’insulti
della gioventù dopo la pubblicazione dell’atto
sovrano.
Giunse finalmente il giorno … Gennajo e la Posta recò
l’annunzio della Costituzione. Sulle prime i Vena-
frani quasi increduli, perché per lo spazio
di 27 anni non avevano altro imparato che a ma-
ledire la Costituzione si mostravano indifferenti,
e continuavano nella loro vita ordinaria, ma
poiché il Governo fresco pe’ suoi tiri deside-
rava il chiasso ed il disordine, spronati dal Re-
gio Giudice D. Francesco Nola, e da tutte le au-
torità amministrative e militari quivi re-
sidenti, incominciarono ad applaudirvi.
Qundi tutte le sere nel largo del Mercato
presenti il Giudice e gli altri impiegati al-
tro non si faceva che gridare Evviva al
Re, ed alla Costituzione e la gioventù incorag-
giata da quelli in grado saliente progrediva
negli applausi, nelle grida, e ne’ baccanali
che poi finirono nella tragedia del 15 mag-
gio. Molti giovani e Preti liberali di buo-
na fede si prestavano ad assistere alle fata-
li dimostrazioni di gioia al suono della banda
musicale, ma fuori un prete che più si
distinse, ed era D. Alessandro Massaregli,
il traditore de’ liberali compagni dopo le
soppressione della Costituzione.
Fu abolita la Guardia Urbana, per costituirsi la G. N.
Questa fu provvisoriamente attuata dal Sott’In-
tendente di Piedimonte. Ne fu creato il Capo Prov-
visorio in persona di D. Giambattista Acciaioli,
uomo di bassa levatura, ma furbo, intrigante
e della Camarilla Borbonica. Sul corpo
di Guardia fu posta la tabella colla ditta G. N.
Provvisoria, e due giorni dopo si andò nel
Vescovado pel canto del Te Deum. I Gendar-
mi Reali che prima occupavano il posto d’onore
sulla G. Urbana mal celavano il dispiacere nel
cederlo all G. N.. I Capi urbani si do-
loravano perché dovevano cedere ai giova-
ni liberali quell’autorità che essi fino a quel
punto con tanta baldanza esercitavano. Quin-
di —– si vedevano in riunione secreta D. Giulio
Monachetti, (D. Nicandro Pilla), il Postiere D.
Domenico Massaregli, il Tenente della Gendar-
meria sig. Zampaglioni, D. Leopoldo Sicilia-
ni, D. Alessandro canonico Massaregli, D. Benedetto
canonico Pilla, e spesso ancora il Parroco D.
Beniamino Samarone, e molti altri cagnotti
di piccola considerazione e poi ad uno ad uno
si vedevano andare a conferire col Giudice
Regio. Bisogna notare ad onor del vero
che il Sindaco D. Benedetto Del Prete benché
attaccato al Governo del Re si mostrava onesto
e legale abborrente degli intrighi de’ so-
prannominati, che anzi si adoperava
a mantenere per quanto più poteva l’or-
dine, e la concordia tra’ cittadini.
E già la G. N. provvisoria incominciava a fare
il servizio pubblico con energia e solerzia ad onta che il Capo
sig. Acciaioli poco si curasse dell’ordine.
Quelli che già si distinguevano a prestar
l’opera loro per impedire qualche disordine
erano D. Nicola Mancini, D. Emilio Lucen-
teforte, D. Nicola Armieri, D. Polidoro
Lucenteforte, D. Gabriele Del Prete, Raffae-
le Atella, Tommaso Guarini, Elia Crolla,
Sossio Vitale, Michele Vallone ed altri moltis-
simi. Vi erano de’ freddi per temperamento
come D. Tommaso Mancini, D. Giovannangelo
De Vecchio, D. Gius. Melucci, D. Pasquale Morra,
D. Vincenzo Siravo. Vi furono
di quelli che si mostravano arditi, ma solo
per intrigare, e per ambire, come D. Giu-
seppe Guarini, D. Lorenzo Capaldi, Nicandro Galardi, Nican-
dro Scardini, Nicandrantonio Giannini,
D. Vincenzo Fusco, D. Giovanni Sannicola ed altri.
Si avvicinava il tempo per la elezione degli ufficiali
della G. N.. Il sig. Acciaioli ambiva il posto di Capitano, ma per-
ché seppe per mezzo de’ suoi satelliti che l’opinio-
ne pubblica gli era contraria, cominciò ad in-
trigare presso i superiori in Piedimonte e in Caser-
ta per ricevere lettere commendatizie che poi legge-
va in sua casa ai suoi aderenti, cui imbandiva
laute cene, e complimenti d’ogni maniera. Il
Monachetti poi ambiva essere il luogotenente
e promise all’Acciaioli 30 voti. Egli
aspirava a quel posto non per meriti propri,
perché egli non ne aveva, ma per meriti d’un
suo prozio D. Antonio Acciaioli di Conca Casale
che al tempo del Decennio dell’occupazione fran-
cese del Reame di Napoli scese in Venafro, e
fattosi capo di altri 18 individui venafrani
pretendeva combattere la banda di briganti
che in quell’epoca capitanata dal feroce
Matera scorreva al numero di 15 per queste
campagne. La sua tattica era di andare
sempre per vie contrarie a quelle de’ briganti,
ma un giorno trovandosi rinchiuso co’ suoi 18 in una
masseria di ………….. verso le Mainardi
si vide in un subito attorniato dalla banda
Matera che gl’imponeva la resa a diserzione.
Poteva benissimo da dentro quel fabbricato difender-
si e far fuoco sull’orda che benché feroce
era ancor vile, e così o vincere e liberare il
paese, o pure incontrare morte gloriosa me-
nomando nel tempo stesso il numero di briganti,
e già i suoi compagni divisavano difendersi,
ma l’Acciaioli temendo lo sdegno e la ferocia
di Matera credé meglio venire a patti col
medesimo. Vi si devenne, ma quando si aprirono
le porte furono tutti e 19 ligati e condotti
a pie’ delle Mainardi furono crudelmente
massacrati! Bella fede de’ briganti! e brigan-
ti borbonici! In premio della morte così
ignominiosamente sofferta dall’Acciaioli fu dal Go-
verno Francese fatto Arcidiacono del Capitolo Vena-
frano il fratello dell’ucciso D. Giacomo.
Così la famiglia Acciaioli si ritirò al-
lora in Venafro col giovane D. Francesco
il quale fu uomo d’abbene, pacifico, e pru-
dente, ma col torto d’essere padre di D.
Giambattista di cui stiamo narrando i fatti.
Seguitaiamo il racconto interrotto, per la digressio-
ne Acciaioli. Stavano così le cose disposte,
da una parte il malcontento contro del Capo
provvisorio della G. N. che si voleva escludere
dalla nuova elezione e dall’altra l’Acciaioli che
a tutt’uno brigava per essere rieletto. Ma
accorgendosi che la maggioranza gli era con-
traria cercò metter subuglio tra i membri
della Guarda N. e fatta congiura con i
suoi aderenti divisò assalire il Corpo di Guar-
dia in una data notte e togliersi davanti
agli occhi taluni individui che credeva suoi
più accaniti avversari! Quindi stabilì che
nella notte di 25 marzo i suoi adepti di Venafro
avrebbero assalito con sorpresa in Corpo di Guar-
dia, che mentre si chiamava
i Nazionali sotto le armi sarebbero discesi
da Conca Casale paese ad un’ora e mezzo distan-
te da Venafro dove l’Acciaioli possedendo mol-
te terre, aveva molti dipendenti, ed arrivati in Venafro avrebbero
preso alle spalle i Nazionali
che certamente sarebbero stati attenti
solo a guardarsi da’ nemici interni, e com-
batterli. Ma la buona stella di Venafro
volle che nel giorno 24 Marzo i caporioni de’
congiurati cioé Nicandro Giannini, e Nican-
dro Scordini si fossero fatti riscaldare
da vino, e prima del tempo verso le sei po-
meridiane nel largo del Mercato cominciaro-
no a far crocchi , e parlati segreti. E o che
taluni della G. N. entrassero in sospetto, o che
qualche congiurato avesse tradito il secreto
lo che é più probabile, si corse all’armi nel
Corpo di Guardia da buon numero di persona e
particolarmente D. Emilio e D. Polidoro Lucenteforte
D. Nicola Armieri, e D. Nicola Mancini, i quali
stabiliscono difendere a tutta possa il Corpo di
Guardia. In questo mentre il Giannini e lo
Scardini vanno al Corpo di G. e rigettati per-
ché non di servizio in quella sera, incomincia-
no a gridare ed insaltare, lo che vedendo il
nazionale Raffaele Atella con in mano una
baionetta, vili, esclamò, non vi vergognate
metter il paese in subuglio per gl’intrighi
d’uno scellerato? Ed agl’insulti de’ congiurati
già traeva col ferro se un’altro non
lo avesse impedito. Si videro contemporaneamente
ne’ sbocchi delle vie Canale, Cristo, e S. Simeo-
ne delle persone armate che li custodivano,
ed erano sgherri dell’Acciaioli il quale se ne sta-
va vilmente in casa. Allora Armieri, e Lucente-
forte gridando si ritirassero impugnavano
il fucile, e già era per versarsi il sangue
cittadino, quando comparve il Sindaco
D. Benedetto Del Prete che correndo verso
il Corpo di Guardia con modi umani
e cortesi sedava il tumulto. In quella
notte tutta la G. N. stette sotto le armi, a
diverse pattuglie giravano per tutti i
luoghi sospetti, ed una composta di 40 indi-
vidui si recava sulla strada di Conca Casa-
le ad incontrare la banda che si voleva
scendesse nella notte. Ma tutto restò tran-
quillo, perché i congiurati fallito il colpo
per l’imprudenza e sciocchezza di Giannini
e di Scardini si avvilirono e si ritirarono
nelle proprie case. Sul fatto poi si distese un
velo, e non più se ne fece motto.
Ma un’altro candidato si preparava
al posto di Capitano. Il Giudice
Regio sig. Francesco Nola! La ridicolaggine di
costui per tale domanda traspare nel
saggio di biografia che ne facciamo. D. Fran-
cesco Nola nacque in Sora patria di Mammo-
ne e di Chiavone, di agiata ma di ambiziosa
famiglia. Giovane di circa 28 anni ven-
ne destinato Giudice del Circondario di Venafro
nel 1826. Prese alloggio in casa
D.a Maddalena Macchia madre di due
figlie, che tutta gentile e cari-
tatevole non mai negava i suoi favori a-
gli ospiti di sua casa. Questa matrona lasci-
va corruppe il Giudice se pure di ulterio-
re cozzuzione il Giudice era un corrottissimo capace. E la
brama che anima colei di signoreggiare il paese la indusse
fare del Giudice il suo scherano. I Venafrani
benché sotto la pressione della polizia di Francesco I
pure ardirono ricorrere alle autorità, e tan-
to fecero che il Nola fu traslocato in Cervaro.
Allora Nola da giudice corrotto ed ambizioso,
da poliziotto crudele ed infame divenne
ancora incestuoso sposando la figlia maggio-
re della Macchia! Dopo alquanti anni
per impegno dello zio uffiziale di marina
e del Vescovo Saladino fu nuovamente traslocato
in Venafro nel 1846. Quest’uomo, questo Giudi-
ce brigava per essere eletto Capitano della
G. N.. Quale sorpresa, quale
sussulto dovè in Venafro produrre una tale
baldanza é facile indovinarlo! Tutti i difetti suoi
furono ricordati nelle pubbliche società, ne’ caf-
fè, e nelle piazze; sicché risaputolo il Nola
credé giustificarsi innanzi al pubblico col far
affiggere nel Corpo di Guardia una sua scritta,
nella quale con infantile semplicità dichiara-
va che avendo saputo volerlo i Venafrani
eliggerlo Capitano, egli fin da quel momento
ringraziando li pregava
volerlo liberare dalla necessità di una
rinuncia! Impudenza! Questa scritta
fu disdegnosamente strappata nel Corpo di Guar-
dia dal nazionale D. Lorenzo Capaldi che fat-
tala in mille pezzi la calpestava.
Dopo pochi altri giorni si devenne alle elezioni e
riuscì Capitano D. Tommaso Mancini, Primo
Tenente D. Gabriele Del Prete, Secondi Tenenti
D. Nicola Armieri, e D. Polidoro Lucenteforte.
Ne’ primi giorni del mese di marzo dopo la cacciata de’
Gesuiti da Napoli uno de’ rugiadosi P. Vigilanti si recò
in Isernia e ricevé ospitalità da Monsignor
Saladino in quel Seminario, ma saputasi la cosa
da’ giovani Iserniani si fecero delle dimostrazioni
furiose contro del medesimo e fu costretto ri-
fuggiarsi in Venafro in casa del Vescovo medesimo
dove visse tranquillamente fino ad 8bre dello stes-
so anno; poi alla riapertura del Seminario
nel mese di Novembre dopo la catastrofe
di 15 Maggio e di Novara essendosi le cose
in certo qual modo calmate e raffreddato
il fervore delle libere istituzioni ritornò
in Isernia per vittore
del Seminario e con lui un’altro per Mae-
stro di Morale P. Iannelli. Bisogna notare
che il capo della dimostrazione contro di quei
Padri fu D. Francesco De Lellis figlio di D. Gen-
naro del quale parleremo in occasione de’
fatti del 1860.
Qui a sollievo dell’animo mio (mi sia permesso
uno sfogo) son tentato narrare la morte del
Prim. Lucenteforte mio zio; e ciò non tanto
per una mia vanagloria, quanto per ren-
dere un’attestato di gratitudine ai miei
concittadini venafrani. Era il giorno 11 Apri-
le, le ore 5 pomeridiane quando tutte le mag-
giori campane delle Chiese di Venafro annun-
ziarono che D. Pietro Lucenteforte primo Prim:
del Capitolo era passato nel numero de’ più!
Fu questo un’onore singolare e senz’… che si diede al
trapassato per i servigi prestati da lui alla
Chiesa venafrana, e perché egli aveva pas-
sata la vita beneficando nell’indomani di detto
giorno portato nella Chiesa ebbe pomposissimo
accompagnamento mentre moltissimi galantuomini
ed autorità del Paese col capo scoverto ne
seguirono il feretro. Quest’atto di onorificen-
za dato al defunto segnò un atto di
lode al medesimo ed ai cittadini di Venafro.
In questo frattempo si divenne all’elezione de’ deputati
al Parlamento lo che si eseguì con somma tran-
quillità ed ordine.
Capitolo II
La libera discussione sulle cose politiche, la pubblica lettu-
ra de’ giornali appoco a poco avvezzarono il
popolo alle idee liberali. Imperciocché tutti
giornali d’ogni colore che si stampavano in Na-
poli tutti venivano in Venafro, non che quelli
di Roma, di Genova, di Torino ecc: L’Arlecchino
giornale umoristico colle sue facezie ricreava gli animi, e nel
tempo stesso nutriva la mente
della gioventù con le dottrine del tempo, sic-
ché questa disposta si vedeva a qualsiasi sacrificio
per la patria. In questo mentre molti Preti
liberali e particolarmente D. Francesco Can. Lucenteforte,
D. Giovanni Parr. Scarabeo, D. Michele Parroco
Vitale, D. Salvatore parr. Borrelli divisarono
stabilire un gabinetto di lettura, ed una so-
cietà per l’istruzione popolare. Il primo non poté mai
attuarsi, ma la seconda fu ben stabilita, e
formata, e molti fanciulli si istruivano a
seconda del tempo. Lo stesso praticava D.
Francesco Can. Fusco nel Comune di Pozzilli
ove fungieva da curato interino. Anche il Go-
verno, o per meglio dire i funzionari del
Governo che erano gli stessi che esistevano
prima del 20 Gennajo contribuivano indirettamente
allo sviluppo delle idee liberali, sebbene per
altro fine. Dopodiché bramando essi il disor-
dine e le grida di piazza invitavano ed
incitavano continuamente il popolo agli applausi
pubblici della Costituzione cogli Evviva frene-
tici al Re, a Pio IX, a Carlo Alberto, ed
a Gioberti!
Ne’ primi giorni di maggio il Tenente della Gendarme-
ria sig. Zampaglioni chiamò in Venafro tutti
gendarmi del distretto per far dare da’
medesimi il giuramento alla Costituzione siccome erasi
praticato dagli Ufficiali amministrativi, e giu-
diziari del Comune. Radunati tutti nel
largo del Mercato fece una pubblica rivista
e dopo letta la formola del giuramento
per ben tre volte gridò viva il Re, cui
per ben tre volte risposero i Gendarmi, e
quindi senz’altro li sciolse! Quale sorpresa
avesse un tal modo di procedere recato al
popolo che numeroso era accorso all’atto
non é mestieri riferirlo, tutti tornarono a
casa stupefatti come non si fosse dalla Gendar-
meria applaudito all Costituzione e chi in
un modo, e chi in un’altro interpretando la
cosa tutti ne facevano censura.
Ma qual maraviglia, se quell’ufficia-
le fu veduto piangere nel giorno della pro-
mulgazione della Costituzione nella Farmacia Si-
cioliani?…
Ci avviciniamo ad un giorno che non si può
ricordare senza raccapriccio! Ma prima di passar-
vi sopra raccontiamo un fatto che fece rumore
nel popolo, e pel quale fu un’innocente condan-
nato! Il Canonico … D. Vincenzo Papa nel
giorno 7 Xmbre 1847 prima che l’alba sorgesse
recandosi nella Chiesa di S. Francesco per la No-
vena dell’Immacolata ebbe un colpo di fu-
cile giusto allo sbocco del largo che sta d’avanti
la Chiesa, ed il proietto passando pel polpone
della coscia ne feriva l’inguine sicché dopo
due giorni sen moriva. Tutti accusarono del
delitto i tre fratelli Gaetano, Rocco, e Giovan-
ni Guarini, i quali lo avevano più volte
pubblicamente minacciato di vita per una in-
giuria che essi mal sopportavano fatta
ad una di loro sorella, per’altro semipub-
blica meretrice. Si arrestarono i tre fratel-
li e furon rinchiusi nel carcere del Tribuna-
le di S, Maria. Fatto il processo la causa
fu appuntata pel giorno 12 maggio 1848
e per testimoni furon citate molte perso-
ne tra le quali D. Benedetto Del Prete, D. Giu-
seppe Can. Del Prete, D. Achille Can.
Mancini. Fatta la causa furon posti in
libertà Rocco, e Giovanni Guarini, condanna-
to poi a 28 anni di ferri il Gaetano. Ep-
pure questi in appresso fu riconosciuto in-
nocente, perché due altri individui nemici
del Papa profittando delle minacce di Guari-
ni consumarono essi il misfatto! E se il
Guarini fosse stato condannato a morte?
O Beccaria, e quando si vedranno i tuoi
voti esauditi? Ma già il governo del no-
vello Regno d’Italia pronunciava l’abolizione
della pena di morte ad onore e bene della
umanità. Finita la causa i Del Prete
e Mancini si recarono in Napoli per assiste-
re al giuramento che Re Ferdinando II doveva nel
dì 15 prestare alla Costituzione innanzi alla
Camera che andavasi ad inaugurare.
Presero stanza nella locanda de’ Due Amici
a Porta Susciella, oggi porta alba.
Ma la mattina de’ 15 un finimondo si sentiva
per la strada Toledo! Barricate innalzate,
gente armata che le guardavano, per tutti
i balconi e le finestre si vedevano matarassi
ed armati. Un colonnello svizzero percor-
rava alla ricognizione delle barricate gridan-
do viva la G. N. con accento traditore. Fi-
nalmente scoppia la tempesta, il Re indossato
il mantello di S. Alfonso de’ Liguori, traman-
do nella Regia ordina l’attacco! Le bandiere
color di Spagna s’innalzano per tutti i castelli.
Il cannone distrugge le barri-
cate, la mitraglia miete le vite de’ gio-
vani illusi, e nel Castello nuovo
si fucilano i prigionieri infelici! L’ura-
gano si avvanzava per Toledo, ed era
giunto devastatore fino al largo della Carità
quando i Del Prete, e Mancini divisarono
uscire da Napoli, ed ajutati dal paesano D. Giovan-
ni De Vita studente che stava armato in
guardia della barricata di Porta Susciella
presero la strada de’ Tribunali e fortunatamente
trovando il treno dalla ferrovia che partiva potette-
ro rimpatriarsi. Il De Vita poco dopo gitta-
to il fucile fuggì vilmente a nascondersi.
Un’altro venafrano D. Tito Lucenteforte
alunno del Collegio Medico usciva con sei
altri compagni dal collegio e disarmati gli
svizzeri del Corpo di Guardia verso S. Teresa
si posero su quella barricata a far fuoco, ma
tutto era perduto, la giornata fu vinta
dagli svizzeri, e doverono tutti sette armati
ritornare in collegio. Questo fatto costò loro
l’arresto come appresso vedrassi.
Intanto in Venafro non giungendo in quel giorno
la posta, e saputosi vagamente da’ carrettieri che
tornavano da Capua il combattimento di Napo-
li si stava in molta apprensione, perché
moltissimi venafrani erano in quell’epoca
in Napoli, mentre oltre ai sopramenzionati
vi erano D. Nicola Cimorelli, D. Francesco Lucen-
teforte, D. Emilio Lucenteforte, D. Giovanni … Sca-
rabeo, e parecchi altri, de’ quali porzione tor-
nò nel giorno 16 e gli altri nel giorno 18.
Quale angoscia pe’ padri e per le madri, pe’ fra-
telli, e per le sorelle!
Dopo di un tanto eccidio, oh Dio, e chi può nar-
rare lo sgomento de’ liberali, e le gioja de-
gli assolutisti? Si vide Nola sorridere di
scherno sedendo sul Giudicato Regio; si vi-
dero Monachetti e Massarelli baldanzosi
ed insultanti; si videro il sergente della
Gendarmeria a piedi un tal D’Alessio, e
quello a cavallo un tal Salato in tale bur-
banza da muovere dispetto alle stesse
statue di marmo; ma si ravvivò un
poco il coraggio de’ liberali alla notizia
che il Re manteneva la Costituzione. Oh!
Sì, la manteneva, perché non ancora gli
parlava Novara!
Aggiungo a semplice notizia cronacale
che uno de’ fratelli Capaldo avvocato D. Eugenio perse-
guitato dal Giudice Nola che nessuna causa
gli mandava buona in odio della famiglia
si portò in Napoli, e per mezzo di D. Francesco
Paolo Ruggiero fu creato Giudice Regio nel
Circondario di Montella.
Eccoci ad un giorno di luttuosa rimembranza per Vena-
fro! D. Leopoldo Pilla figlio di D. Nicola uno de’
più caldi patrioti che avesse Venafro prodotto
che dal1799 in poi fu sempre propugnato-
re di idee liberali, d’ingegno trascendentale,
amante della patria della quale assai fu bene-
merito, cultore delle scienze fisiche, noto per
le sue svariate lucubrazioni particolarmente pe’
suoi lavori sulla genesi e su’ i misteri della
generazione opere inedite fin’oggi, D. Leopoldo
Pilla dico moriva a Curtatonecolpito dal piom-
bo Tedesco colle parole Evviva l’Italia sulle
labra nel giorno 29 maggio! Dopo alquanti gior-
ni la dolorosa notizia giunse in Venafro. Ah!
colpo inaspettato! Il popolo restò stordito come
colpito da fulmine, come da immensa sciagura!
Sembrò tetro il cielo, pallido il sole, pare-
va che l’aria stessa ne gemesse, ed io nel ri-
cordare su queste carte il luttuoso avvenimento
oppresso dal dolore
sento premermi dagli occhi lagrime ango-
sciose! Leopoldo, amico della mia infanzia
e della mia gioventù, perdona a questo pianto,
io dovrei piuttosto mostrarmi forte alla
tua gloriosa dipartita, come vi si dimostrava
il tuo vecchio genitore, che alle persone che andavano
da lui a condolersi rispondeva, mio figlio vi-
ve nella gloria d’Italia. Se morì tanto glorio-
samente io contento lo benedico, ed a mille altri fi-
gli, se li avessi, augurerei la stessa sorte! Per-
donami dunque, o amico, perché io non piango
per te; piango per questa patria sventurata
che ti perdeva.
Leopoldo Pilla dunque giovane pieno d’ingegno, studioso
delle scienze naturali era stato tra ‘l numero
de’ scienziati ne’ diversi congressi. Egli predilige-
va la Geologia, e spesso faceva co’ suoi
giovani delle geologiche escursioni nelle vici-
nanze di Napoli, dove parecchie volte gli fui
compagno ed apprendista. Molte opere e
memorie sulla Campania, e sulle fisiche
cose diede alla luce. A tempo del colera fe-
ce il viaggio per Vienna insieme ad altri
dotti per studiarlo, e combatterlo, ed una me-
moria di tal viaggio fa testimonianza del suo
ingegno e del suo amore per la scienza e
per gli umani. Proposto più volte a catte-
dratico nella Regia Università di Napoli fu
più volte postergato in odio al patriot-
tismo del padre, e della scienza. Finalmente
nel 1845 la Gran Duchessa di Toscana cono-
sciutolo in Napoli lo propose al suo
gentile sposo per cattedratico di Geologia
nella Università di Pisa. Quivi il Pilla amico
di Montanelli e di altri dotti sen viveva tran-
quillo tra gli studi della sua prediletta scienza,
e già due volumi di lezioni di Geologia ve-
devano la luce, pieni di novelle scoperte
tanto da far dire agli uomini della partita
avere la scienza geologica fatta una grande
perdita per la morte che non permise all’au-
tore completare l’opera sua!
Era costituitosi il battaglione universitario in Pisa
per difendere la nazionalità italiana contro
lo straniero il Pilla fu eletto Capitano, e
nel giorno 29 maggio combattendo periva!
Il padre alla novella mostrossi al pubblico
senza rammarico, ma pure quell’ottuagena-
rio pianse in segreto un figlio che era il
suo vanto. Egli stesso ne scrisse l’orazione funebre
e nella Chiesa di S. Agostino fattosi un mode-
sto funerale a sue spese lo fece leggere
dal parroco D. Michele Vitale.
Ma Venafro non volle restarsene senza dare al
figlio che tanto onorata l’aveva un attesta-
to del suo affetto. Tutti i cittadini si tas-
sarono per un pomposo funerale nella vasta
Chiesa della SS.ma Annunciata.
E nel giorno 8 Agosto la navata di detta Chiesa
era parata con nere gramaglie; un magni-
fico sarcofago s’innalzava nel mezzo; grossi
lumi a cera ornavano l’altare maggiore;
un’orchestra colla banda musicale sorgeva da
un lato; il vano della Chiesa era pieno
gremita di popolo; le signore tutte vestite
a lutto sedevano attorno al feretro mentre
il Capitolo della Cattedrale intervenuto gratis
al funerale cantava la messa di esequie.
Il Can. D. Francesco Lucenteforte ne lesse con com-
punzione l’elogio, elogio da lui vivamente sen
tito perché amico, e compagno del defunto.
Così Venafro rendeva ad un figlio quel-
l’onore che gli era dovuto, e lo annoverava
gli altri suoi figli capitani benemeriti del-
la Patria Giambattista Della Valle, Amico, e Lucio
Santabarbara strenui capitani nel sec. XVI che
pugnarono contro lo straniero.
Ora passo dal racconto luttuoso al semiserio! E’ un
contrasto non degno di questo sito, ma per ser-
bare l’ordine della cronica son costretto a
raccontare quel che siegue. E poi co’ contra-
sti, e colle armonie é che si regge il
mondo e la vita.
D. Giovanni Parr. Scarabeo uomo di 40 anni era
d’ingegno non basso, se avesse avuto buone
istituzioni avrebbe potuto riuscire
luninare, ma i Seminari di quel tempo
non potevano darle, perché i Vescovi non
lo volevano, e questi perché così era stato
loro ordinato dal Re Ferdinando II! Lo Scarabeo
dunque era di spiriti liberali, e molto con-
tribuì alla istruzione popolare. era di ani-
mo piuttosto candido, ed i difetti altrui non
sapeva in verun modo compatire, ma ne
parlava, li pubblicava anche in barba al-
le persone stesse cui alludeva, e sempre
con modi non tanto gentili. ciò gli pro-
caccio molti nemici, e particolarmente nelle
persone agiate, e che occupavano cariche
pubbliche contro delle quali maggiormente ap-
puntava la sua lingua non pura.
Ora il medesimo credendo sfogare contro de’ suoi
nemici quella bile che non sapeva contenere
prese l’occasione della Novena di Natale
nella Chiesa di A. G. P. dove era destinato
a fare de’ discorsi analoghi; e cominciò a
spiegare la Costituzione al popolo, ma i suoi
modi non raggiunsero lo scopo, perché la sua
filippica si volse contro il Giudice Nola,
e sua famiglia, contri i Del Prete,
e contro di altri individui che credeva avver-
si alle novelle istituzioni. Chiamò Cristo primo
costituzionale e cadde tanto in bas-
so per la smania di sfogare la sua bile che
riuscì al buffo ed al ridicolo con non lieve
scandalo della gente semplice ed ignorante.
Così finiva per Venafro l’anno 1848.
Capitolo III
L’assassinio di Rossi avvenuto nelle scale dell’assem-
blea in Roma, l’impassibilità di quei deputati
all’annunzio del misfatto, l’apoteosi del pugnale
che lo colpiva, le violenze al Quirinale, la fuga
del Pontefice, la proclamazione della Repubblica Ro-
mana ebbero ancora un’eco in Venafro recan-
do dispiaceri e gioje a seconda del-
le impressioni e delle idee! I veri liberali, quelli che
amavano l’indipendenza d’Italia, ed il
progressivo andamento de’ principi di libertà; co-
loro che amando la patria amavano l’ordine,
ed il vero patriottismo ne ebbero dolorosa sen-
sazione e l’animo loro quasi presago di luttuosi
avvenimenti si ripiegò sopra di se stesso com-
piangendo la cecità degli autori del disordine.
Gli utopisti al contrario anche di buona fede,
e tutti coloro che ten-
devano a pescare nel torbido ne sentirono gio-
ja, e festeggiavano quei dolorosi avvenimenti come
feste di famiglia. A costoro si aggiunsero quelli
che sospiravano la passata beatitudine del dis-
potismo, e si videro in questi giorni andare già
baldi ed allegri; e perché calcolavano vicina
la catastrofe della libertà, andavano notando
tutte le parole, ed i moti de’ liberali per tener-
no conto poi, e farne atto di accusa.. E già
se ne viddero i forieri nel mese di Marzo, quando
per ordine dell’Intendente fu soppresso il Tenente
della G. N. D. Polidoro Lucenteforte solo perché
affezionato al nuovo ordine cercava mantene-
re la disciplina tra i militi, e l’istruiva
negli esercizi militari.
Stabilitosi il Papa a Gaeta, per istruzione segreta del
Governo in tutti i paesi si stabilirono delle
Commissioni composte di persone attaccate
all’antico ordine per andare a prestare gli
omaggi delle popolazioni al S. Padre. Così an-
che in Venafro il Vescovo ed il Giudice sta-
bilirono mandarvi i sig.ri D. Gabriele Arcid.
Teologo Cotugno, D. Giambattista Can. Melucci,
D. Francesco Giudice Nola, D. Benedetto Sindaco
Del Prete, e D. Giulio avv. Monachetti. Co-
storo partirono per Gaeta, ed ebbero udienza
dal Pontefice in forma privata.
A misura che il tempo scorreva, e nell’osservare
il cammino retrogrado de’ Governanti ad
onta del Parlamento aperto, e della mostra costituziona-
le degli atti del Governo, nel vedere la sorda rea-
zione negli avvenimenti politici in Europa, poca
fede più si aveva alle libere istituzioni che anzi
vi furono di taluni che le mettevano in ridi-
colo, e peggio. Così nel sepolcro di Gioved’ San-
to di quest’anno 1849 nella Chiesa di S. Agosti-
no il Parroco D. Beniamino Sammarone in
vece de’ simulacri di Giudei che evan solito
mettersi a guardia del Sepolcro, vi fece metter
de’ simulacri vestiti da G. Nazionale, lo che
fece fremere più d’un cuore generoso!
Dal serio passiamo al buffo, perché buffi furono
i fatti che seguono per l’apparato che vi si volle
dare! Nel giorno 12 Giugno mentre i Vena-
frani attendevano alle loro faccende, e senza
che sospettassero di nulla arrivò il Generale
Uber con 50 Dragoni a cavallo, e quasi
volessero bloccare, assaltare, e che so io, il
paese con un’apparato di mistero militare
dispose due per due i Dragoni in vari punti della città col-
l’armi in pugno custodendone tutti i luo-
ghi più aperti! Che farà? che non farà? eran
le domande de’ sopraffatti cittadini. Uber
recò seco un Commissario di Polizia
Carafa Primicile ed un suo cognato… E perché? Lo saprete.
Dopo un’ora dall’arrivo il Commissario
ed il Sergente della Gendarmeria con due
altri gendarmi si avvicinarono nel caffè, dove
si riunivano i giovani ad onesto divertimento ed
arrestarono con modi inumani D. Giovanni De Vi-
ta, e senz’altro lo condussero nelle carceri
circondariali, donde la mattina seguente fu
preso e portato in Caserta
quindi in Napoli nelle carceri di S. Francesco
d’onde dopo tre anni, fattasi
la causa in camera di consiglio dichiarato
non aver luogo a procedimenti penali, usciva
posto in libertà. In un’istante
le vie divennero deserte; tutti si rifuggiaro-
no nelle proprie abitazioni!
Nel giorno appresso si ordinò il disarmo generale
con un bando col quale s’imponeva nel corso del-
la giornata la presentazione di tutte le armi
sì corte che da fuoco con tutte le munizioni.
E la casa comunale fu destinata per luogo
di deposito. Uber, il Commissario, il Giudice
Regio sedevano pro tribunali; D. Giulio Mo-
nachetti, D. Nicandro Pilla vi assistevano,
e mentre si recavano le armi se ne chiede-
vano sempre delle altre particolarmente quelle
de’ liberali, le quali già erano state preven-
tivamente segnate! Furon tutte consegnate
ad eccezione di quelle de’ fedeli assolutisti. Così Mona-
chetti, Pilla, Massaregli, Nola, Del Prete,
ne furono eccettuati.
Un salire e scendere le scale delal casa Nola e
Del Prete, un affaccendarsi di agenti sub-
alterni facevano supporre che molti intri-
ghi erano all’ordine del giorno. Ma i Venafra-
ni che avevano creduto seguire e fare cioc-
ché il governo voleva non potevano suppor-
re che nel petto del Giudice si poteva rin-
chiudere un’anima piena di fiele. Il Genera-
le Uber vecchio di anni
e che nelle conversazioni faceva pompa di
passi scritturali bene o male applicati
lasciava fare al Commis-
sario ed al genero i quali se la intendevano con
Nola.
Dopo tre giorni di dimora Uber co’ suoi lasciava Vena-
fro, restandovi una lunga striscia di bava. Im-
perciocché si era con nerissimo disegno formato
un calunnioso processo che più tardi riportere-
mo contro 17 individui rei nientemeno
di aver riso alla notizia della battaglia di Vel-
letri! In somma furon dipinti quei demagoghi
e riscaldati.
1. D. Francesco Can. Lucenteforte
2. D. Michele Parr. Vitale
3. D. Raffaele Can. Guarini
4. D. Nicola Can. Guarini
5. D. Salvatore Parr. Borrelli
6. D. Francesco Can. Fusco
7. D. Giovanni Parr. Scarabeo
8. D. Polidoro Lucenteforte
9. D. Giuseppe Guarini
10. Saulle Papa
11. Girolamo Borrelli
12. D. Vincenzo Fusco
13. D. Giambattista Maselli
14. D. Domenico Atella
15. D. Giovanni Cotugno
16. D. Giovanni De Vita
17. D. Antonio Galardi
E D. Giovanni Sannicola? E D. Nicola Armieri? E
D. Gabriele Del Prete? E D. Alessandro Can. Meluc-
ci? E D. Giuseppe Melucci? Il processo era com-
pilato sopra più larga scala, ma parte il Giudice No-
la faceva restringere per i suoi aderenti, e parte
si salvava con denaro, perché si seppe in appres-
so che il genero di Uber per solo fine di far da-
naro aveva seguito il Generale.
Questo processo dispiacque al Vescovo per i troppo Pre-
ti che vi si vedevano compromessi; quindi questi
se ne dolse col Nola, e cominciò a scrivere in
favore de’ processati. Siano poi per le istanze del
Vescovo, sia perché il processo stesso non presen-
tasse che soli ridicoli risultamenti il Procuratore
del Re del Tribunale di S. Maria ne rimise
la nuova istruzione al Giudice Istruttore di Piedimonte.
Il quale giunto in Venafro compilava il
suo processo che riuscì meno importante
di quelli del Commissario e del Giudice Regio.
Ecco il rilievo della Istru-
zione. La rubrica data
alla medesima fu: Fatti criminosi con discorsi
tenuti contro il Governo in luoghi pubblici.
Gl’imputati li abbiamo riportati sopra.
Pruove raccolte.
Il sig. D’Alessio sargente della Gendarmeria
depone che la sera del 29 maggio vide
a Portanova Scarabeo D. Giovanni, D. Salvatore Bor-
relli, e D. Vincenzo Fusco discorrendo tra
di loro addimostrando ilarità nel volto, e
e molta soddisfazione e contento, ma non poté
conoscere quali discorsi tenessero. Poi inoltra-
to nel paese vide il Parroco Vitale che an-
dava ridendo sgangheratamente. Giunto indi al
Mercato avanti il caffè di Cotugno vide che si erano
riuniti D. Nic. Guarino, D. Franc. Lucenteforte, D. Polidoro
Lucenteforte Tenente della Guardia N. D. Gius. Guarini
Alfiere della stessa, il Sergente D. Giov. Cotugno, D.
Ant. Galardo, D. Dom. Atella, D. Giovanni De Vita, Gi-
rolamo Borrelli, e Saulle Papa, tutti uniti parla-
vano mostrando allegrezza, a torto qualche parola
sfuggiva che dalla voce pubblica conobbe che
erano gai, e giulivi perché la Banda Garibaldi era
entrata nel Regno, ed incendiata Arce, e Roccasecca.
Che la sera di 11 giugno D. Giamb.a Manselli tornato da Napoli al largo di
Portanova dava allarmanti notizie innanzi a
D. Giulio Monachetti, D. Domenicant. Massaregli, e D.
Giov. Scarabeo, D. Giobatt.a Papa. Che si sentissero i Gendarmi Lau-
ro, Concilio, Giglio, Giuseppe Testa, Luca Martino,
Giamb.a Biasiello, Vincenzo Orlando, e Berardino
Angiolillo.
2. Il Gendarme Giglio depone come D’Alessio aggiun-
gendo che anche D. Giovanni Cotugno era uno de’
principali spacciatori di notizie allarmanti, e
che nel mese di Marzo venne insultato da D.
Giov. Cotugno, da Girol. Borrelli armati a 4
ore di notte mentre custodiva il Procaccio
nel largo di Portanova.
3. Il Gendarme Lauro conforme a Giglio.
4. Il Gendarme Concilio depone come i precedenti aggiun-
gendo che precisamente D. Giov. Scarabeo, D. Vin-
cenzo Fusco, D. Nicola, e D. Gius. Guarino, D.
Giamb.a Manselli non solamente mostravano gioia per
l’entrata di Garibaldi, ma sempre festeggiavano
quando sentivano notizie favorevoli alla Repub-
blica Romana, ed il Manselli vociferava un
vespro siciliano contro i Borboni.
5. Giuseppe Testa accusò tutti i nominati di anzietà
nell’arrivo della posta per raccogliere notizie
e giornali, godendo de’ fatti della guerra della
Lombardia quando erano ai liberali favorevoli.
6. Monachetti
7. Del Vecchio
8. Papa
9. Massarelli, depongono
Sul fatto di Manselli del dì 11 Giugno, e per-
ché Massarelli sen dispiaceva, e Scarabeo
ne godeva, il Massaregli ingiuriò lo Sca-
rabeo, e vennero a contesa.
10. Luca Martino depose che D. Giov. Cotugno gli
aveva confidato in Maggio che attendeva 12
a 22 mila uomini da S. Germano per
piantare l’albero della libertà! Che
nulla conosceva relativamente agli altri imputati.
11. Vincenzo Orlando depone: che il defunto Fran-
cesco Fantauzza gli aveva detto di aver veduto
in una notte del mese di Febbraio 1848, D. Giov.
Scarabeo piantare l’albero della libertà
innanzi la chiesa del Purgatorio.
12. Berardino Angiolillo depose conoscere tutti
gl’imputati per persone oneste attendere
solamente ai propri affari.
13. Giamb.a Biasiello
14. D. Luigi De Cola
15. D. Giovannangelo Del Vecchio
16. D. Giov. Lucenteforte
17. D. Pasquale Morra, depongono
sull’onestà e rettitudine degl’imputati
18. D. Benedetto Del Prete depone che niente cono-
sceva, ma solamente nel dì 15 Maggio s’incontrò
con D. Giov. De Vita a Porta Luscilla in Napo-
li armato a custodire la prima barricata.
Nove altri individui del Comune di Pozzilli depo-
sero sulla condotta politica e morale di D.
Francesco Can. Fusco, dicendo che predicava
l’eguaglianza delle persone, e la comunanza
de’ beni, ed essere asportatore di fucile sen-
za permesso.
Ecco il sunto d’un processo ridevolissimo incominciato
sull’assertiva d’ilarità osservata in volto de-
gl’imputati, ed appoggiato dal Regio Giudice
D. Franc.o Nola!
Mandato il processo al Tribunale di S. Maria
furono tutti posti fuori causa, e solamente
fu ordinato l’arresto a Scarabeo, e Co-
tugno, i quali ottenuto il salva condotto per
impegno del Vescovo fu ricompilato a loro
danno il processo, e furono così posti anch’es-
si fuori causa, e fu dichiarato l’affare di Fusco sem-
plicemente correzionale. Intanto tutti gl’imputati
furono dichiarati attendibili e posto sotto
la più stretta sorveglianza di Polizia dichiarati dal
Giudice Nola demagoghi, riscaldati, sovver-
sivi dell’ordine pubblico; e con essi altri
molti come i tre fratelli D. Eliodoro, D. Lo-
renzo, e D. Eugenio Capaldi, sebbene que-
st’ultimo già esercitasse l’ufficio di
Giudice regio nel Circondario di Montella!
Intanto il giorno 10 Settembre 1849
era stato già arrestato D.
Giamb.a Manselli, e dopo due mesi posto in
libertà.
Anche D. Francesco Fusco fu arrestato per causa del-
l’imputazione dell’asportazione d’arma, fattasi la causa in-
nanzi al Giudice Nola fu condannato a 7
mesi di carceri d’onde nel mese di Giugno
1850 usciva per ottenuta Grazia Sovrana.
In questo frattempo un altro processo si compilava in
Isernia per la dimostrazione contro del Gesui-
ta. Tra gl’imputati eravi D. Francesco De Lellis
ma il padre D. Gennaro si procurò dal
Comandante Territoriale una lettera d’in-
formazioni sulla condotta del Giudice d’Isernia
e con questa alla mano ottenne da costui
il depennamento del figlio dal processo.
Nel giorno poi 30 7mbre 1850 fu arrestato il sig.
Tito Lucenteforte giovane ai 22 anni per
l’affare del disarmo del Corpo di Guardia Sviz-
zero fatto da 7 alunni del Colleggio
Medico di Napoli. Fu preso con modi ur-
bani perché non più era in Venafro il Sergente
D’Alessio ferocissimo gendarme, ma il caporale
De Auxiliis, il quale aveva ricevuto più gentile
educazione. Scortato in Napoli in una carrozza no-
leggiata a sue spese fu posto in una segreta
del Castel Capuano, ed il giorno appresso sottoposto
ad un’interrogatorio nel quale negò tutto per se
e per i suoi compagni. Nella stessa prigione
incontrò gli altri alunni del Collegio; e poi per
impegno e per denaro fu traslocato da Castel
Capuano nelle carceri di S. Francesco ove eb-
be una stanza a pensione mensile. Ivi tro-
vò molti imputati politici come Spaventa,
Scialoja, Poerio, Miele, i quali tutti furon
condannati poco dopo ai ferri per più o
men lungo tempo. La causa poi degli alun-
ni del Colleggio Medico finì col non costare
e nel mese di Aprile dell’anno 1851 furono
posti in libertà. Ma come fu che si smonta-
va un processo fatto col rigore della Polizia
Borbonica dopo il 15 Maggio 1848?
Come si poté non credere al portinajo, al
cameriere, e da un altro servo del Collegio,
i quali testimoni di veduta dichiaravano
ed attestavano il fatto? Tutto si poté fare
perché un Colonnello Svizzero amoreggia-
va illecitam. colla sorella di uno degl’im-
putati!
In questo stesso anno 1850 girava una domanda da
presentarsi al Re per l’abolizione della Costi-
tuzione e tutte le autorità colla loro influenza ed
incutendo timore estorcevano la firma de’ Cit-
tadini; e poco dopo furon le fran-
chigie costituzionali eternam. sospese. Quale
consolazione pel Giudice Nola! per quel Giudice che
altro non istudiava che Polizia, e per la cor-
rispondenza politica attrassava le cause civi-
li, o le commetteva al Supplente. Questa
consolazione poi non poté gustare la madre di
sua moglie d,nna Maddalena della quale abbiamo
sopra discorso, perché colpita nel
mese di Gennajo di quest’anno da apoplessia
fulminante improvvisam. moriva.
Cap. IV
Tutte le franchigie costituzionali erano state indefini-
tavam. prorogate. I liberali di tutti i paesi
furono segni di proscrizioni; molti emigra-
rono nel Piemonte; molti per diversi
motivi e pretesti arrestati, e lasciati mar-
cire in un carcere; altri condan-
nati ai ferri andarono ad espiare la pena
nel Castello di Montesarchio, dopo essere stati
parecchi anni nei bagni di Napoli ed altro-
ve; tutti finalm. i meno colpevoli posti
sotto la più stretta sorveglianza di Polizia,
e questo …. fu grandissimo in tutti i pae-
si del Regno. Ma poiché ogni cittadino di qual-
che ingegno, ogni persona della quale si
potesse o volesse asserire dal Regio Giudice
essere di condotta equivoca entrava nella lista
degli attendibili, voce ritrovata dalla scienza
della Polizia. Quindi il capriccio ed il dispotismo
de’ piccioli Regoli Circondariali; quindi il rigo-
re militare de’ Regoli Provinciali, e de’ Comandan-
ti territoriali; quindi la baldanza e l’insolen-
za de’ Gendarmi e degli Uffiziali di Gendarmeria;
quindi lo spionaggio, e la delazione all’ordine
del giorno; quindi la universale corruzione!
Il Papa ritornato a Roma; l’aristocrazia Clericale
umilissimam. arrogante; i Preti liberali av-
viliti e posti sotto i ferrei torchi; il governo
ippocritam. religioso; il Re bigotta in appa-
renza baciava le mani ai Vescovi; le Ammi-
nistrazioni de’ luoghi Pii posti sotto la rapa-
ce avidità vescovile; tutto in somma era
fonte di corruzione! Il Governo voleva i po-
poli prostrati, ed altro modo non trovava più
acconcio di quello che poteva allacciare
senza strepito le coscienze, ed il pensiero;
quindi si volse ai Vescovi, e da loro con ap-
posite istruzioni ne’ Seminari, e nei Comuni,
per la classe agiata, e sbigottimento religio-
so nel popolo mediante le così dette Missioni!
I Vescovi quindi ricevettero allora dal Governo ogni
potestà, imperciocché essi divennero
gli assoluti sostegni del dispotismo, e colla istru-
zione popolare che andò esclusivamente sotto la loro
direzione e co’ mezzi pecuniari, perché tutte le am-
ministrazioni furono assoggettate al loro uffizio,
e co’ mezzi di Polizia, perché divennero i fedeli
ispettori dello spirito pubblico e privato, e co’
mezzi della coscienza mediante le Missioni che
fecero fare nelle rispettive Diocesi. Missioni
che in ultima analisi si riducevano a rivelare
tutti i secreti delle famiglie carpiti
nel confessionale al Vescovo che li passava
a cognizione del Governo!!!
Queste Missioni si esercitavano o da’ Preti sciolti di Na-
poli, i quali appartenevano o alla Congregazione
delle Propaganda, o quella della Conferenza, o
a quella della ……….; erano questi
Preti soggetti ad un Superiore il quale ne riuni-
va un dato numero e l’invitava a recarsi in
Missione in qualche paese richiesto dal Vesco-
vo. O da Preti regolari , o da Frati come
da Verginisti, da Gesuiti, da Liguoristi, da
Passionisti. I Verginisti e i Gesui-
ti praticavano le Missioni con più scaltrez-
za e serietà; i Liguoristi con più chiasso,
e minor frutto; i Passionisti con più serietà
ed onore non impacciandosi de’ fatti del-
le famiglie quando non riguardavano la
Politica e la religione, solamente faceva ri-
brezza la pubblica disciplina a sangue in
mezzo alle prediche. I Preti Napolitani
finalmente le facevano da saltimbanchi, e
qui mi piace darne una qualsiasi
descrizione.
Quando il Vescovo invitavali per un giorno stabilito alla Mis-
sione di qualche paese della sua Diocesi, i RR. PP.
cercavano giungervi di sera trattenendosi in mez-
zo alla strada se vi era tempo. Appena arriva-
ti il Clero vestito degli abiti di Chiesa
andava ad incontrarli all’entrata del paese mentre
tutte le campane a distesa suonando ne av-
vertivano il Popolo. Il Superiore della Missione
recandosi in mano un gran Crocefisso intuonava
la litania Lauretana, ed il Clero processional-
mente si avviava verso la Chiesa; i PP. a due
a due seguivano il Clero con larghi cappelloni
a canale in testa, con un bastone in mano,
con un Crocefisso sul petto camminando con
capo basso, e cogli occhi vagando di qua e di la.
Giunti alla Chiesa si faceva l’apertura, e si
assegnavano gli uffizii giornalieri. Nel gior-
no dopo verso le ore 21 tre o quattro de’ Padri più giova-
ni andavano in Chiesa per la dottrina cristia-
na, dopo un’ora mentre il popolo si raduna-
va un altro Padre faceva recitare il Rosa-
rio spiegandone qualche mistero. Quando poi
la Chiesa era piena il Prefetto della medesima
suonava un campanello per dare al Padre
il segno che cessasse dalla (….) del Rosario, questi
rispondendo subito ubbidisco scendeva dalla
tribuna, la quale era immediatamente oc-
cupata da un’altro Padre per la istruzione po-
polare. Questi era il buffo della compagnia
perché per lo più si faceva un vanto di dire le
cose in modo da divertire il pubblico con fatte-
relli, ed espressioni ridicole. Passata un’ora si
risuonava al Prefetto il campanello, e l’Istrutto-
re rispondendo ubbidisco lasciava la tribuna, e
vi saliva il Predicatore della così detta Meditazione
o Predica Grande; e questa era la parte tra-
gica. Questo Predicatore per lo più era il più
grosso, e grasso della Compagnia avente una
voce di toro, e con modulazioni studiate, e con
parole che poco dicevano cercava di trarre le
lagrime dagli occhi delle feminuccie, e vi
riusciva particolarmente negli ultimi giorni. I
mezzi per far piangere le feminelle, ed urla-
re i bifolchi erano, o mostrando un Cro-
cefisso capovolto o di spalle, o mostrando
un dipinto d’un’anima dannata, o facen-
do mille smorfie in faccia alla statua del-
la Vergine appositamente situata a lato della
tribuna, o passando la mano sopra di
una candela accesa, o battendosi con una (…)-
plina di ferro che facesse più ru-
more che male ec: ec:. Finalmente terminata
la meditazione saliva il Prefetto di Chiesa
a fare la sua parte col riepilogare la
Meditazione fatta. Poi uscite tutte le donne
dalla Chiesa restavano gli uomini, ai quali
si faceva un altro fervorino invitandoli a
battersi, o a trascinare la lingua per ter-
ra. La mattina un’altro Padre faceva l’istruzione
spiegando il Decalogo, e dopo detta la Messa tut-
ti i PP. si mettevano ad ascoltare le confessioni,
e così tutti i giorni fino alla licenziata. Allora
le lagrime e le grida erano più abbondanti, e for-
ti, perché quei PP. avevano certi modi studia-
ti per far dire al popolo, che alla loro partita
egli rimaneva desolato, e mentre il popolo
piangeva, i PP. se la ridevano.
Il fuoco era di paglia, par-
titi i PP. il popolo tornava agli usi antichi, e
la Polizia era avvertita dello spirito del paese.
In Gennajo dunque 1851 anche Venafro ebbe la sua
Missione de’ PP. della Conferenza di Napoli. Fu
come si é detto, un fuoco di paglia; che an-
zi fu motivo di discordia e di diffidenza tra’ cit-
tadini, avvilimento per il Clero a causa della triste
figura che dové fare presentandosi al popolo
in mezzo alla Chiesa con al collo le funi, con in capo una
corona di spine, asperso di cenere, e batten-
dosi colle funi facendo penitenza pel popolo.
Quindi gli animi vili e deboli piange-
vano per tenerezza, i forti se ne sdegnava-
no e ne facevano oggetto di riso, ed il Clero
se ne sdegnava. Un fatto solo é da rimar-
carsi che i PP. col Vescovo costrinsero D. Giam-
battista Acciajoli a sposare una sua (….)
nata tra gente vilissima avendo madre, e so-
relle nella più abjetta degradazione. Questo fat-
to recò un sol bene in Venafro, quello cioé
di fare allontanare dal paese un’uomo intrigante
e cagnotto di Polizia quale era l’Acciajoli,
perché si ritirò in Conca Casale paese de’ suoi
antenati, ove aveva molti beni nascondendo
così la propria vergogna lungi da’
parenti che sdegnati lo sconobbero. Questo
disonore alla famiglia Acciajoli fu
cagionato da D. Angelo Manselli che intrigava
presso i PP. della Missione, perché pretendendo
sposare la sorella dell’Acciajoli ne trovava
ostacolo nel medesimo e nella madre che malaticcia morì
di crepacuore come vogliono alcuni, o co-
me altri uccisa dal medico Manselli.
Si era agli ultimi giorni della Missione, e precisamente
nel dì 19 Gennajo del 1851 quando si vi-
de giungere improvvisamente in Venafro un tal
D. Antonio Cajazzo con 50 uomini armati!
Eran tutti quest mascalzoni di diversi
paesi, e per la più parte di Riardo, e
di Marzano. Il solo Cajazzo andava a ca-
vallo. Perché venne? Chi era D. An-
tonio Cajazzo? Era questi nativo di Riar-
do, uomo feroce, bevitore di liguori, di
aspetto atletico, sangugno di volto, in-
traprendente; poliziotto infame, cagnot-
to del Gen. Vial Comandante Territoriale
di Terra di Lavoro e Molise. Appena pro-
rogata la Costituzione fu fatto dal Vial ca-
po di una squadriglia composta di 25 uomini, ep-
però chiamato Capo-Squadriglia
sebbene egli pretendesse il titolo specioso di
Commissionato dell’alta Polizia! Uffi-
zio suo era la persecuzione de’ liberali, e perlustra-
re le campagne contro de’ ladri, ma ladro egli stesso
e tutti della squadriglia rubavano ai passeg-
gieri ed ai ladri medesimi. Quel che egli faceva ne’
paesi di Terra di Lavoro, e particolarmente in Frasso
nelle vicinanze di Teano, Maddaloni, e Caser-
ta non si può senza orrore farne la descrizione, denuncia,
calunnia, arresti di liberali fino
ad andare in cerca co’ cani da presa per quel-
li che erano latitanti. I soprusi, le bastonate,
le ingiurie erano sue
maniere ordinarie, e quindi estorqueva da-
naro non solamente dagli attendibili, ma ancora
dalle altre persone che timide cercavano co-
sì comprarsi la quiete e la pace. Divide-
va egli il danaro con Vial? Taluni lo
asserivano, per me nol credo, perché Vial
aveva altri mezzi a ottener lo stesso fi-
ne come vedremo. Ecco chi era Cajazzo!
Ma perché venne in Venafro con tale apparato di forza.
In Venafro erasi formata una così detta Cama-
rilla che periodicamente si riuniva a danno delle
persone liberali. Presidente della Camarilla era
il più volte nominato Giudice Nola, membri
ne erano D. Luigi Del Prete, D. Giulio Mona-
chetti, D. Domenico Massarelli, D. Giovanni San-
nicola. Questi avevano i loro adepti spioni
che girando pel paese osservavano, e riferivano
vero o falso quanto volevano; tali erano tra
principali, Vitale Guarino, Vincenzo Gua-
rino, Antonio Passarelli, due gendarmi congeda-
ti, D. Alessandro Massarelli, D. Benedetto Pilla,
D. Raffaele Marciano, ed altri molti. Ve-
dendo dunque la Camarilla Venafrana il Vescovo
prendere le difese degli attendibili spesso
rimproverando lo stesso Giudice Regio di troppa in-
discretezza di zelo, e dall’altra parte osservando
gli attendibili stessi non prendendo pen-
siero della loro qualità, che anzi disprezza-
va poco curando il Giudice, e suoi adepti,
e qualche volta menarne vanto; prese la
risoluzione di dare un tuono ed un terrore al
medesimo facendo venire il sedicente Commis-
sionato dell’alta Polizia in Venafro. Quin-
di denuncia e rapporti uffiziali al Generale
Vial; quindi lettere e raccomandazioni al
Cajazzo, e questi venne in Venafro come
si é detto nel dì 19 Gennajo 1851.
Appena arrivato salì sulla Casa Comunale a chiedere
l’alloggio pe’ suoi, e per se. Il Sindaco
destinò il Cajazzo in casa di D. Giovangelo
Del Vecchio allora Capo Urbano, e gli altri
uno per casa di ciascun urbano. Ma il
Cajazzo cacciando un notamento che aveva in
tasca disse: So ben’io dove fare alloggiare
i miei; e ne mandò due o tre per cias-
cuna famiglia degli attendibili. La risti-
chezza di quei mascalzoni, la loro baldanza
che li faceva credere qualche cosa inti-
midirono i più vili, i quali si fecero a trattar-
li lautamente ed a dar loro mancia in da-
naro per averli più umani. Anche D. Francesco Lu-
centeforte ne alloggiò due, ma li trattò come me-
ritavano assegnando loro una stanza nel primo pia-
no della sua abitazione e senza vederli.
Appena rischiarato il giorno di poi 20 Gennajo D. Francesco Can.
Lucenteforte sdegnato per aver dovuto soffrire una
simile umiliazione di alloggiare due mascalzoni,
si recò nella piazza del Mercato per sapere di
che trattavasi, ed un’amico del medesimo D. Tomma-
so Mancinilo avvertì che il Cajazzo in Casa
Del Vecchio la sera dell’arrivo aveva detto che
aveva l’alta missione di fare numerosi arresti
particolarmente di segnati nel processo, e mi sog-
giungeva avere apparecchiate manette e
funi. Allora il Lucenteforte si portò dal Vescovo
a riferirgli il tutto. Monsignore restò som-
mamente commosso ed indignato, e proruppe in
qualche parole contro del Giudice, e gli racco-
mandò di fare tre forti rapporti uno pel
Re, un’altro pel Comandante Territoriale,
ed il terzo per l’Intendente, che avrebbe
egli stesso firmato. Poi trovasse due altri Cano-
nici pronti a partire per Caserta dove
dimorava il Re, perché egli avrebbe scritta
una lettera direttamente a S. M. e così a mano
darle la lettera ed il rapporto. Così
fu fatto.
Frattanto poi che il Lucenteforte ancora si tratteneva
col Vescovo venne il Cajazzo, il quale fatto
entrare nella sala d’udienza dopo pochi mo-
menti si trovò in faccia del Vescovo, ed il
Lucenteforte ebbe il piacere di sentire
il seguente dialogo.
C. Monsignore, son venuto a baciarvi la mano.
M. Sia il benvenuto, ma a che fine siete venu-
to in Venafro con tanta forza?
C. Monsignore mi si é rapportato essere in
Venafro molti repubblicani, e son venuto a
fare il mio dovere…
M. A Venafro non si conosce neppure il nome di
Repubblica, e mentre ha durata la Costituzione non
vi é stato che chiacchiere di capi
legieri e non altro.
C. Siete malamente informato, io porto con me de’
documenti che parlano chiaro.
M. Il meglio per voi é di riprendere la stra-
da fatta lasciando tranquillo il paese
che io garantisco.
C. Monsignore , non crediate che io l’avessi co’
Preti; mi sono informato che sono tutti
di ottima qualità, ed io andrò a farne
un favorevolissimo rapporto.
M. I Preti non hanno bisogno de’ vostri rappor-
ti, son io che li guardo.
C. E’ vero, e sia come vi piace, ma per
i Secolari dovrò agire e voi mi dovrete
dare il permesso.
M. I Secolari che appartengono alla mia Diocesi
li conosco tutti, son buoni, e debbo difenmder-
li come miei figli.
C. Ma Monsignore…
M. Parti ti replico da Venafro, altrimenti il Re
saprà con queste mie labra ogni tua operazione.
Così dicendo si alzò, ed il Cajazzo facendo lo stesso usci-
va dall’Episcopio.
Monsignore allora disse a Lucenteforte conviene subito
partire per Caserta; il Cajazzo é un brutto ceffo.
Così nel medesimo giorno il Can. D. Francesco Lucenteforte, il Can.
D. Raffaele Guarino, ed il Parr.o D. Giovanni Scarabeo
partirono da Venafro recando con loro la lettera
del Vescovo diretta al Re, ed i tre rapporti di
sopra menzionati.
La lettera del Vescovo al Re era concepita
in questo senso. Il Vescovo non potendo più
soffrire che si molestassero innocentemente i
suoi figliuoli in G. Cristo per misure
non giuste di Polizia rimetteva nelle
mani di S. M. il Vescovado tanto più
che la cagionevole salute, e l’età avan-
zata più non gli permettevano adempire
con esattezza ai doveri dell’Episcopato.
Intanto il Monachetti assisteva e
seguiva il Cajazzo come l’ombra segue il corpo, e
gli si dichiarò parente per non so quale
linea di ascendenti. Ma il Cajazzo avuta la brutta
lezione del Vescovo, e saputa essere partita la
deputazione lasciò Venafro senza fare cosa
alcuna, e prese la volta di Capriata.
Nella mattina de’ 21 Gennajo la deputazione giunse
in Caserta, ma non poteva essere ammessa
all’udienza senza le formalità dovute, lo che
recava molta perdita di tempo, e l’affare era urgente.
Entrata la mattina de’ 22 nel cortile del Palazzo
ebbe la fortuna d’incontrarsi con Secretario
particolare del Re, e manifestata a questi la
loro missione il Segretario si prese le carte
e s’impegnò per l’udienza. Infatti dopo due
ore furono i Canonici di Venafro chiamati, ed
entrati nella Regia, il Gen. Vial loro disse
da parte del Re che si erano date le conve-
nevoli disposizioni, e li licenziò. Infatti ritor-
nati in Venafro il giorno appresso trovarono
averli preceduti il Tenente della Gendarmeria
Reale Sig. Castellane colla missione di pren-
dere il Cajazzo e tutti i suoi e così ligati con-
durli nella Regia di Caserta, ma non avendoli ritro-
vati perché partiti, fece un verbale coll’intelli-
genza del Vescovo, e poi ripartiva per Caserta.
Il risultato fu la destituzione di Cajazzo. Si sep-
pe di poi che il Re credendo che 50 briganti
fossero entrati in Venafro chiamasse il Vial, e fat-
togli conoscere il rapporto del Vescovo Vial rispon-
desse: il Vescovo essere stato ingannato, perché
Cajazzo non comandava che 25 uomini; ma tro-
vatosi vero il rapporto pel fatto del Sig. Castell-
ne Cajazzo fu destituito.
In appresso il Cajazzo si portò ai piedi del Vescovo pre-
gandolo volere intercedere per lui presso Vial,
giacché egli era venuto in Venafro non sponta-
neamente ma dopo reiterate domande del Giu-
dice e di altri Venafrani, e depose nelle ma-
ni del Vescovo tutti i documenti giustificativi.
Il Vescovo intercesse inutilmente; distrusse i
documenti per non mettere maggiori discordie
nelle famiglie; ed il Cajazzo dopo alcuni
mesi moriva improvvisamente di apoples-
sia.
Ad onta della scaccomatto ricevuto dalla Camarilla
il Giudice Regio seguitava a rapportare contro
degli attendibili, ed il Monachetti baldanzo-
so non faceva che insultarli, e quando vi
era qualche affare sulla Regia Giustizia
che egli frequentava nella qualità di Avvo-
cato non lasciava ..izzare i liberali che vi
ricorrevano per cause civili, e spesso in barba
loro ricordava essere finito il 1848.
Ma i Liberali vedendosi insultati continuamente
ed osservando la buona disposizione del Vescovo
verso di loro per mezzo del Lucenteforte facevano
premura che il Vescovo s’impegnasse a farli
depennare dalla lista de’ sorvegliati dalla Polizia.
Il Vescovo li favoriva con rapporti e lette-
re commendatizie ora all’Intendente, ora a Vial, ora al Mi-
nistro di Polizia, ma non vedendone il risultato
si recò di persona al Re a domandargli
la Grazia desiderata, e l’ottenne. La rab-
bia del Giudice giunse al colmo, non cessò
dallo scrivere, ed ottenne il suo intento di
farli ritornare sotto la sorveglianza dopo
l’attentato di Agesilao Milano.
Qui possiam dire finisca la storia politica di
Venafro perché da quest’epoca fino al 1860
non si passò che nel perfetto avvilimento
e nullità politica regnando solamente lo spio-
naggio, e la denuncia, sebbene senza ef-
fetto, perché la vigilanza del Vescovo
menomava nel Giudice la volontà di
recare danni alle famiglie.
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