Spigolature araldiche

Qualche piccola considerazione sul giglio di Francia nel Molise

By 26 Dicembre 2011 2 Comments

Qualche piccola considerazione sul giglio di Francia nel Molise

Più di una volta ho provato a sostenere che la presenza del giglio nell’arte e nell’architettura di alcune opere che si trovano nella nostra regione è un vero e proprio marchio ideologico che fa ricondurre agli Angioini una sorta di sostanziale condivisione.

Anzi, in alcuni casi il giglio mi è servito per sospettare una diretta responsabilità  di personaggi schierati con la famiglia angioina nell’esecuzione di quell’opera, come nel caso del vescovo Rahone sulla facciata della Cattedrale di Larino o di Giacomo Caldora per la piccola acquasantiera di Castel del Giudice.

Cominciamo proprio con la cattedrale di Larino per cercare di dimostrare che la presenza del giglio, confusa in un contesto complesso di ornamentazioni, non è solamente un’applicazione decorativa ma una vera e propria dimostrazione della ingerenza angioina, e più precisamente di Roberto d’Angiò.

Ci aiuta l’epigrafe che ricorda sull’architrave del portale il nome del vescovo Rahone, committente della facciata, il nome del re dominante, Roberto d’Angiò, e l’anno di esecuzione 1319:
SI PRAESENS SCRIPTUM PLANE VIDEBIS, TEMPORA NOSTRAE LOCATIONIS HABEBIS A.D. MCCCXVIIII ULTIMO IULII IN CHRISTO PONTIFICATUS DOMINI NOSTRI IOANNIS P.P. XXII ANNO III REGNORUM SERENISSIMI REGIS ROBERTI ANNO XI SUB PRAESULATU RAONIS DE COMESTABULO HUIUS CIVITATIS OMNIBUS MEMORIA FUIT.

Ebbene, confuso tra le altre decorazioni, su uno dei pilastrini del portale appare in bella evidenza il giglio di Francia.

Sono noti i buoni rapporti tra Roberto d’Angiò e papa Giovanni XXII, uno dei più fieri persecutori del movimento degli Spirituali che nel 1323 condannò come eretica la dottrina della povertà assoluta di Cristo e degli apostoli. Roberto gli era particolarmente grato perché da Avignone lo aveva nominato vicario imperiale in Italia.

Il portale della cattedrale di Larino sembra rientrare in questo clima di concreta alleanza tra il papa e i reali francesi di Napoli.

Del giglio e dei suoi significati simbolici si è fatto largo uso nel medioevo sia nelle rappresentazioni che lo associano al significato della purezza verginale, sia a quello più complesso della Trinità.

Un simbolo che proprio per la sua particolare immediatezza è diventato anche la sintesi ideologica delle qualità dei reali angioini.

E’ noto che gli angioini assunsero proprio il giglio nel loro blasone ereditandolo dalle dinastie normanne o addirittura, secondo alcuni, proprio dai Franchi di Pipino il Breve.

Il giglio per gli Angioini assumeva con i tre petali il significato della Trinità che protegge la famiglia reale.

I gigli sarebbero stati inviati dal cielo a Clodoveo, il fondatore della monarchia francese, in sostituzione dei tre rospi che originariamente erano rappresentati sugli scudi dei soldati.

I tre petali venivano assunti anche come l’espressione delle tre virtù reali della Fede, Sapienza e Cavalleria.  Un simbolo che nel Molise non vediamo mai prima dell’avvento angioino e che diventa un ragionevole motivo per attribuire una data ed un committente ad opere che sono prive di qualsiasi altro elemento di valutazione.

E’ il caso della minuscola acquasantiera nella chiesa di S. Nicola a Castel del Giudice dove, nel 1368,  era nato il grande capitano di ventura Giacomo Caldora, fedele della casa angioina.

Di lui sembra non sia rimasta traccia in nessuna parte del regno, ma un piccolo segno della presenza nel suo paese di origine forse è possibile individuarlo all’interno della ricostruita chiesa di S. Nicola che si trova proprio davanti alla facciata di quelle case moderne che hanno completamente cancellato l’antico palazzo-castello di Castel del Giudice.

E’ una piccolissima acquasantiera, ora collocata a lato della porta interna della sagrestia, che non contiene epigrafi o stemmi e della quale non esiste un qualsiasi riferimento archivistico. L’unico segno che abbia interesse è la piccola decorazione su tre registri che si sviluppa in senso orizzontale.

Quella superiore è rovinata fino al punto di non far capire se contenesse elementi a rilievo.

L’altra intermedia è una sorta di catenella formata da una aggregazione di placchette  vagamente decussate.

La fascia più bassa, invece, è degna di particolare attenzione perché è costituita da una sequenza di gigli stilizzati con l’asse posto a 45 gradi con la punta alternativamente rivolta verso l’alto e verso il basso. Potrebbe trattarsi di una decorazione priva di qualsiasi significato se non si trovasse in quel luogo e di fronte al palazzo-castello dei Caldora.

La presenza del giglio potrebbe essere, dunque, una vera e propria attestazione utile anche per attribuire una datazione ad alcuni nostri monumenti.

Per fare un esempio mi riferisco alla costruzione delle chiese dedicate in generale alla Madonna o, più in particolare, all’Annunciazione.

Dal XIII secolo in poi è sempre presente, ad esempio, nelle rappresentazioni dell’Annunciazione, sia nelle mani dell’arcangelo Gabriele, sia in un vaso nel primo piano della scena.


Griffon Romano, Particolare dell’Annunciazione nell’Annunziata di Venafro

Ma già prima Beda il Venerabile (672-735) identificava Cristo e sua madre Maria nei gigli dei versi del Cantico dei Cantici (2,1-2):
Io sono un narciso di Saron,
un giglio delle valli.
Come un giglio fra i rovi,
così la mia amata tra le ragazze.

A Venafro il giglio appare sull’arco, ora murato, dell’originario portale della chiesa laicale  dell’Annunziata.

Sappiamo che la chiesa dell’Annunziata fu consacrata il 1 gennaio 1387, nel momento in cui le cose per gli angioini del regno di Napoli, come vedremo più avanti, non andavano bene e per capire il senso della presenza del giglio sulla facciata (che credo abbia anche un valore ideologico) dobbiamo necessariamente fare un passo indietro.

La situazione nel Meridione italiano si avviava a diventare particolarmente complessa dopo la morte di Luigi di Taranto nel 1362 quando i vari aspiranti all’eredità tentarono di guadagnare la reggenza mediante un matrimonio con la vedova Giovanna. Nella questione si intromise anche il nuovo papa Martino V che accolse con piacere la decisione della regnante di sposare Giacomo di Maiorca nel maggio del 1363. Però, poiché ella se ne separò due anni dopo, la Curia da Avignone volle ingerirsi  negli affari del Regno inviando il cardinale d’Albornoz come proprio legato.

Il papa aveva preso quella decisione non solo perché vedeva crescere il disordine interno con l’ingerenza dei baroni nella gestione amministrativa, ma anche perché voleva organizzare una più radicale lotta alle sette ereticali che si andavano diffondendo nel regno.

Tutte iniziative che non servirono a risolvere i contrasti tra i pretendenti al trono dietro i quali si nascondeva anche la lotta tra papa e antipapa che si consumava tra Roma e Avignone.

Solo nel 1376 Gregorio XI finalmente avrebbe provato a riportare la cattedra papale a Roma, ma già due anni dopo i cardinali francesi, quando fu fatto papa l’indesiderato Urbano VI,  nominavano un proprio antipapa nella persona di Clemente VII che riportava la sede ad Avignone provocando il grande scisma d’Occidente nel 1378, con i papi che si scomunicavano vicendevolmente.

Si provocarono, così, conseguenze politiche di straordinaria portata mentre si intensificava nel Molise la creazione di conventi francescani che andavano ad aggiungersi a quelli celestini nati a Isernia, Trivento, Venafro, Ripalimosani, Limosano, Riccia, Guglionesi, Boiano e Campobasso sull’onda trascinante del movimento morronese di Pietro Celestino nel secolo precedente. Dunque, in un clima di contrasti all’interno della Chiesa, che necessariamente ebbero riflessi anche nelle chiese locali, si formava a Venafro la Confraternita dei Vattenti che il 1° gennaio 1387 formalizzava il sodalizio.

Orbene, se il primo di gennaio del 1387 i confratelli fanno questa sottoscrizione è da ritenere che la chiesa già fosse terminata e, quindi, presumibilmente dobbiamo collocare l’inizio dei lavori intorno al 1380, qualche tempo prima dell’arrivo di Carlo di Durazzo che nel 1381 era sceso in Italia dall’Ungheria assalendo con le armi la Penisola. Era confortato da papa Urbano VI, appartenente alla famiglia napoletana dei Prignano, che lo consacrava come re di Napoli il 2 giugno 1381 spodestando la regina angioina Giovanna.

La questione della data non è secondaria perché vi è una circostanza che, ritengo, debba ricondurre alla dominazione angioina questa chiesa e non al periodo durazzesco che poniamo all’anno 1381.

Per questo proprio la presenza del giglio sulla facciata è un indizio da non sottovalutare per fissare ad un anno antecente il 1381 l’inizio della fabbrica.

      

Ugualmente la presenza di due gigli nella decorazione del portale di S. Maria della Pietà di Roccaspromonte potrebbero far sospettare che l’epoca in cui fu realizzata la chiesa sia quella di Roberto d’Angiò o più genericamente angioina.

Allo stesso modo il giglio che si trovava scolpito sul concio di chiave dello scomparso portale della chiesa di S. Nicola di Castropignano o in quello dell’arco del supportico sulla croce stazionaria di Roccamandolfi.

  

Una serie di gigli di Francia si trovano su due lastre lapidee a destra e sinistra del’ingresso della chiesa dell’Annunziata di Agnone.
E’ questa una chiesa di cui non si conosce con esattezza l’anno di costruzione e che, sulla scorta di una lapide che si conserva all’interno, viene ritenuta del XVI secolo.

    

La presenza delle due lastre e la rappresentazione dei gigli di Francia potrebbero far sospettare che l’Annunziata di Agnone sia più antica e che, secondo quanto è accaduto in altre parti del regno di Napoli e in particolare del Molise, potrebbe risalire alla seconda metà del XIV secolo.


L’Annunziata di Agnone

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