E’ di Roberto da Pietracupa il misterioso stemma sul portale di S. Gregorio?
Tra i paesi per i quali i documenti di archivio sono particolarmente avari di notizie vi è certamente anche Pietracupa.
A questo si aggiunga che anche quei pochi elementi lapidei che si vedono in contesti architettonici pesantemente trasformati nel tempo sono di difficile lettura.
Tra essi un piccolo portale che sta sulla parte posteriore dell’antica chiesa di S. Gregorio. Di esso si è occupata Aurora Delmonaco nel suo volume “Quelli della pietra cupa”, pubblicato nel 1989, lasciando però irrisolto il problema dello stemma che viene ripetuto due volte a lato di un agnello crucifero.
Si tratta di un documento certamente importante per la storia di Pietracupa prima di tutto per il fatto che l’epigrafe che ancora sopravvive, benché fortemente rovinata, permette di dare una data sicura al manufatto.
Sull’architrave, che probabilmente in origine stava in altra parte di questa chiesa o di un’altra chiesa, si legge, su due righi:
+ A.D. M . C . C . C . L . X . MAGIST.
RICCARD . SYMONI . ME . FECIT
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Il significato è chiaro: Nell’anno del Signore 1360 il maestro Riccardo di Simone mi fece.
A lato sopravvivono alcune lettere poco comprensibili:
R . I . TR(?) . I
TR . C^G
TR, come evidenziato dal trattino sovrapposto, dovrebbe essere un’abbreviatura di TEMPORE. Quindi doveva significare che l’opera fu fatta al tempo di un certo “C^G”.
Non è semplice sciogliere queste ultime due lettere. La lineetta superiore che si sovrappone fa pensare a un nome
di persona che inizi con la lettera C e abbia una G nel suo corpo.
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Arduo è ipotizzare cosa voglia dire l’acrostico superiore (R.I.TR(?).I).
Unico indizio potrebbe essere il nome del feudatario dell’epoca immaginando che R. si riferisca al nostro Roberto di Pietracupa.
Solo la data ci viene incontro perché di questo personaggio sappiamo qualcosa proprio da una pergamena citata da Aurora Delmonaco e che è conservata nell’Archivio di Stato di Napoli nel Fondo dei Caracciolo di Torchiarolo.
E’ una bolla con la quale il vescovo nel 1361 concede a Giannotto Coppola di Napoli il titolo di abate di S. Alessandro su presentazione di Roberto di Pietracupa.
Invece non è peregrina l’ipotesi che lo stemma che con grande evidenza sovrasta l’epigrafe appartenga proprio a Roberto di Pietracupa.
Ci si arriva per esclusione.
Per quanti sforzi abbia fatto, non mi è stato possibile rintracciare questo blasone tra gli innumerevoli stemmi araldici del Regno di Napoli. La famiglia rappresentata ha tre scaglioni accompagnati da due rosette nel capo.
Di Roberto di Pietracupa si hanno poche notizie dalla citata bolla di nomina dell’abate Giannotti. Da essa sappiamo che fino al 1360 era stato lontano dalla sua terra, ma evidentemente nello stesso anno vi fece ritorno se è vero che partecipò alla sottoscrizione di quell’atto.
La data e la presenza di uno stemma che non ha insegne religiose vanno messi in relazione tra loro e portano alla conclusione che la chiesa della quale il portale faceva parte fu costruita a spese del feudatario dell’epoca e che l’autore dell’opera sia stato il maestro Riccardo di Simone.
Di quale chiesa si tratti è da vedersi. Sicuramente il portale non è da riferirsi alla chiesa interna al paese e che oggi, definita in epoca moderna “cripta”, si trova sottoposta a quella dedicata a S. Nicola.
Su questa chiesa si è molto fantasticato attribuendo indimostrabili rapporti con monaci guerrieri che si sarebbero riuniti al suo interno.
Le cose vanno viste in maniera più semplice.
La cosiddetta “cripta” altro non era che una chiesa rupestre probabilmente dedicata al Salvatore.
Ne è testimonianza l’antico portale dove si conserva il concio di chiave di un portale genericamente databile all’epoca angioina e che a seguito del crollo di una parte della rupe, fu poi trasformato in finestra per l’impossibilità di accedervi dall’esterno.
Sul concio sopravvive l’immagine a rilievo di un Cristo Pantocratore del quale è scomparsa la testa e la mano giudicante. Mentre si legge ancora bene SALVATOR.
Non sappiamo in che epoca sia avvenuto il crollo, ma non è improbabile che sia riconducibile al disastroso terremoto del 1456 che sconquassò tutta la regione. D’altra parte i caratteri architettonici della chiesa superiore di S. Nicola lasciano supporre che nel Settecento sia stata trasformata una precedente chiesa di due secoli prima.
POST SCRIPTUM del 18 giugno 2015
Ho provato a rivedere le immagini in mio possesso e mi sono convinto che devo ritornare a pulire quella pietra che guardai con molta fretta.
Non sono molto convinto che l’ultima lettera sia una T. Credo si tratti, come avevo scritto, di una G.
Però il riferimento di Aurora Del Monaco al trattino superiore mi ha fatto guardare meglio e mi sembra di vedere effettivamente una lineetta e non vedo (per il momento) un punto di separazione tra la C e la G.
Però potrebbe essere una lineetta di collegamento di due lettere appartenenti a un nome che inizia con la lettera C e abbia al suo interno una G (per esempio “CaloGero”).
Ho messo un improbabile Calogero perché non ho trovato altri nomi non composti che, cominciando con la C, abbiano al proprio interno una G.
Questo mi fa pensare che si tratti di un nome composto.
Siamo in un periodo confuso del Regno di Napoli e nel 1360 (la cosa più certa di questa lapide) erano regnanti Giovanna I e suo marito Luigi di Taranto. Ma i loro nomi non hanno alcun collegamento con il monogramma (se di monogramma si tratta) di Pietracupa.
Neppure nella cronotassi dei vescovi di Trivento ho trovato qualcosa perché in quell’anno era vescovo il discusso vescovo in odore di eresia Pietro d’Aquila.