Un paio di giorni fa ho pubblicato le mie considerazioni su due stemmi che si vedono e non si vedono sulla facciata del Palazzo Baronale di Larino.
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Ovviamente ho scritto quello che sapevo e soprattutto ho precisato che quelle erano le mie conoscenze. Non sapevo che della questione si era occupato 20 anni fa Napoleone Stelluti che aveva scritto un bell’articolo su una rivista della quale non avevo assolutamente conoscenza.
E’ sufficientemente noto che è mia abitudine, a differenza di tanti scopritori dell’ultima ora, di citare sempre chi in qualsiasi modo si sia occupato delle cose alle quali rivolgo la mia attenzione. Sono legato a Napoleone da antica amicizia, tant’è che ho anche scritto la prefazione al suo insuperato volume sui mosaici di Larino.
Ora cerco di rimediare alla involontaria gaffe pubblicando integralmente il suo vecchio scritto del 94 che ora considero uno spunto per andare avanti nella ricerca di elementi nuovi che possano sollecitare l’interesse di quanta più gente sia possibile alla tutela e alla conoscenza del nostro patrimonio antico.
Foto Marcello Pastorini
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Questa volta mi avvalgo del contributo di Marcello Pastorini che mi ha segnalato, dopo aver letto il mio articolo, un’altra pietra con lo stemma dei di Sangro. Questa volta, credo, mai pubblicata e mai rilevata da altri e che si trova in vico Brencola, che è la seconda traversa di via Leone, sulla destra scendendo dalla Cattedrale.
Un vico che mette in comunicazione via Leone con via Seminario.
Foto Marcello Pastorini
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Si tratta di un concio di chiave di un arco acuto, “alla gotica”, che reca lo scudo con le insegne dei di Sangro. Ultimamente è stato liberato dall’intonaco che vi era stato sovrapposto e si può facilmente capire che il concio non è perfettamente compatibile con l’arco di cui adesso fa parte.
Devo ritenere che sia stato trasportato nel luogo attuale dopo essere stato prelevato da quello originale.
Chi fece l’operazione tentò anche di far sparire le tracce dello stemma non tanto perché si volesse fare una “damnatio memoriae” quanto piuttosto perché non si aveva alcuna intenzione di rivendicare ascendenze nobiliari e considerare la pietra solo perché utile alla nuova costruzione.
Lo stemma, rispetto a quello che ora sta sulla facciata del Palazzo, ha la particolarità di voler rappresentare realisticamente l’insegna posta su uno scudo che appare come se fosse appeso in una sala d’armi mediante una fettuccia di cuoio. Per il resto si caratterizza egualmente per avere tre bande di azzurro in campo d’oro.
A questo punto il mistero si infittisce e diventa ancora più difficile capire il motivo per cui l’insegna di Tommasa di Sangro, la cui famiglia non è stata feudataria prima del XVII secolo a Larino, abbia tanta importanza da meritare di essere ripetuta almeno due volte intorno al 1340.
Andiamo per ordine.
Napoleone Stelluti, ha potuto leggere meglio l’epigrafe della quale fece fare il calco. Pertanto la versione definitiva che oggi possiamo esaminare (rettificherei solo qualche termine che non modifica il senso generale) nella sostanza riferisce che un certo Ugone di Soliaco sia il feudatario a cui debba essere ricondotta la fase trecentesca del castello di Larino. Anzi precisamente il 1340 è l’anno di riferimento della sua fondazione.
Ma la questione non finisce qui, perché ho l’impressione che l’epigrafe non sia stata mai completata e, quindi, forse mai collocata da qualche parte perché fosse letta. L’ultimo rigo, infatti, sembra essere stato preparato con una prima segnatura leggera delle lettere che poi non sarebbero state scavate come le altre dal lapicida.
Il motivo per cui il testo non sia stato completato va approfondito e ci sarà tempo per farlo.
La cosa più certa di questa epigrafe è l’anno 1340.
Il testo, che ancora non ritengo definitivo, potrebbe essere questo:
+ANNO : MILLENO : DOMINI : TRECENTENO : QVAD…?. :HEC : FVNDATE : FVIT : A : VIRO
POTENTI :: HUGONE : DICTO : RVSSO : DE : SVLIACO : SUA MATRE : QVOque PER : QVOS : LAUS
FERTVR : ATque : DATVR : OMNIPOTENTI : SVPMSERVNT : VITAM : PAVPERES : MVLTI : TVRO
AB : VTROQVE :: ERAT : QVIA : FAMIS : MASSIMA : KARISTIES : QVE : FRUMENTI + QVIME
PROVIDIT : FIERI : TALIS ..?… IATVR: DE : MONTESOR?O …….. GENTILIS : QVIPPE
VOCATVR : ………
Come interpreta Stelluti, nella prima parte l’epigrafe si riferisce alla fondazione del Castello a opera di Ugone de Soliaco detto il Rosso e di sua madre, in un momento in cui il territorio soffriva di una grande carestia e la popolazione era affamata.
Difficile capire cosa voglia dire la parte finale.
Invece la scoperta di un secondo stemma con le insegne dei di Sangro pone in una luce più complessa la figura di Tommasa di Sangro che appare sulla scena storica di Larino esclusivamente per aver amministrato la città in nome e per conto di suo figlio Ugolino minorenne.
Dello stemma dei di Sangro nel Molise abbiamo pochissimi esemplari. Nessuno del XIV secolo oltre questi due di cui ci stiamo occupando. Solo quasi esattamente un secolo dopo appariranno le insegne dei di Sangro nel famoso scudo apposto sul portale del Castello di Civitacampomarano a opera di Paolo di Sangro all’indomani della concessione di quel feudo da parte di Alfonso d’Aragona per il tradimento nella battaglia di Sessano del 29 giugno 1442.
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Lo stemma di Paolo di Sangro a Civitacampomarano
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Ma chi era Tommasa di Sangro?
Un solo documento parla di lei e fu pubblicato la prima volta da Giandomenico MAGLIANO nel 1865 (Considerazioni storiche sulla città di Larino, Campobasso 1895, pp.419-20).
Si tratta di un assenso reale alla concessione fatta da Ugolino di Soliaco del passaggio di un acquedotto in località Casa Franza ricavato dal distrutto Archivio Angioino di Napoli, datato 1333.
In esso viene citato … Hugolinus dominus missus de Suliaco dominus civitatis Alareni, cum autorictate Thomasie de Sangro eius matris et balie et ipsa Thomasia habens dotarium seu tertiariam in dicta civitate pro se ac baliato nomine predicti Hugolini sponte concesserunt…
Dunque nel 1333 Tommasa agiva per conto di suo figlio che era ancora minorenne facendo capire che il marito Giovanni di Soliaco era già morto.
A quella data Ugolino essendo comunque l’erede destinato a ricevere il feudo di Larino, esercitava le sue funzioni attraverso la madre Tommasa.
Giovanni Domat (Le Leggi Civili nel loro ordine naturale, Vol. II, Napoli 1839, p. 195) così sintetizza la funzione del baliato materno in presenza di un figlio minorenne rimasto orfano del padre feudatario:
“Colla costituzione “minoribus del jure balii” avea disposto Federico II, che “balio” s’intende colui, il quale sarebbe stato dato dalla somma potestà: “quem serenitas nostra concesserit.” Ma Carlo II d’Angiò col capitolo “feudatarius. Tit. de statuendo balio” , determinò che possa il feudatario destinare il “balio” al suo successore. e che il balio per imprendere l’esercizio del baliato non abbia necessità di ottenere il permesso dal Re: morendo non però il feudatario senza testamento, debba il balio scegliersi fra’ più prossimi congiunti che sia il più abile; purché sempre rimanga a’ medesimi preferita la madre del pupillo, la quale abbia i requisiti di onestà e prudenza, e passando a seconde nozze, subito cade dal baliato; in quel caso si destina parimente dal Re il più idoneo tra’ congiunti.
(….) Dura il baliato sino all’anno diciottesimo dell’età del minore feudatario, “Prammat. de minoribus.”
Ma se nel 1333 il feudo era attribuito a Ugolino, per conto del quale interveniva la madre nell’atto, vuol dire che a quella data era già morto il padre Giovanni.
Allora la lapide da cui siamo partiti si riferisce a Ugolino divenuto maggiorenne, sicché la madre a cui si fa cenno senza dare il nome è proprio quella Tommasa che parte importante aveva nelle vicende della famiglia de Soliaco.
Se le cose stanno così (e stanno così nei documenti) vuol dire che nel 1340 Tommasa, nonostante il figlio Ugo fosse diventato maggiorenne, ancora continuava ad esercitare una forte influenza nella gestione della città e quindi nella qualità di madre, benché non si faccia il suo nome, appare come personaggio importante alla cui persona va associata l’iniziativa di Ugone di innalzare dalle fondazioni il nuovo castello in quell’anno.
E per capire meglio quale fosse il potere della madre con più attenzione va riletta la premessa dell’atto in cui interviene Tommasa nella qualità di madre e di balia (eius matris et balie) ma anche nella qualità, probabilmente per fatto ereditario, di titolare di un terzo del feudo (habens dotarium seu tertiariam in dicta civitate pro se).
Ovvero Tommasa aveva una dote propria (corrispondente a un terzo del valore del feudo) che aveva conferito a Giovanni di Soliaco al momento del matrimonio. Circostanza che la abilitava a usare le insegne araldiche della sua famiglia insieme a quelle dei de Soliaco, delle quali poi si è persa ogni traccia.
A questo punto possiamo anche avanzare un’ipotesi del perché della presenza delle armi dei Pignatelli che sicuramente si erano imparentate con i di Sangro con un matrimonio di cui non rimane notizia nelle cronache. Non escluderei che proprio la madre di Tommasa sia stata una Pignatelli e che l’accoppiamento dei due scudi (quello dei di Sangro e l’altro dei Pignatelli) sia la conferma dell’unione matrimoniale da cui sarebbe venuta la madre del nostro Ugolino poi chiamato Ugone.
Diversa la funzione dello scudo applicato al concio di chiave di un portale perché il fatto che sia utilizzato in maniera autonoma attesta semplicemente che quell’edificio apparteneva esclusivamente ai di Sangro e faceva parte di quel dotario portato da Tommasa con il contratto matrimoniale ad accrescere il patrimonio dei de Soliaco.