I Templari, Bafometto e i tre diavoli di Venafro.
Quello che state per leggere è frutto di una elucubrazione fantastica su elementi che concretamente esistono nella parte antica di Venafro e che io ho messo in relazione tra loro per verificare se esista un qualcosa che li unifichi.
Escono fuori alcune stranezze che probabilmente sono frutto della casualità ma che fanno comunque riflettere.
I tre elementi sono l’Arco di Parasacco, il Diavolo di via della Vergine e il Diavolo della Cattedrale.
Comincio con l’arco di Parasacco. Dopo l’unità d’Italia il vicolo fu intitolato alla città di Marsala, ma per i Venafrani ha conservato l’antica denominazione di Parasacco.
Potrebbe essere semplicemente il toponimo di un luogo che anticamente aveva una funzione difensiva in quella parte della città che si trovava nelle vicinanze di una delle porte di Venafro. “Para saccum” sarebbe perciò un luogo in cui difendersi dal saccheggio. Pararsi da un saccheggio.
La cosa pare poco probabile perché la Porta del Mercato è abbastanza recente (inizio XV secolo), cioè innalzata quando ormai quella funzione di protezione sarebbe stata chiamata con un termine più moderno e certamente non in latino.
Invece può essere più interessante seguire un’altra ipotesi. In Campania, Parasacco è il nome del diavolo o dell’orco. Nel tempo se ne è fatto un uso monitorio e si è usato per mettere paura ai bambini riferendolo a qualcuno che prepara (parare) il sacco in cui infilare i bambini.
Nel “Don Chisciotte della Mancia ridotto in versi napoletani” di Raffaele Capozzoli si annota che Saccosano è una variante di Parasacco ovvero diavolo.
Giambattista Basile (XVI-XVII secolo), nella Fiaba dell’orco, paragona un personaggio sconcio di corpo a un parasacco, un brutto pezzente e una mal’ombra spiccicata che avrebbe sbigottito Orlando, atterrito uno Scannarebecco.
Insomma Parasacco evoca l’immagine del diavolo.
Il secondo elemento è una figura diabolica che appare sulla faccia di un capitello che si trova all’interno di una piccola corte in vico della Vergine (conosciuto dai Venafrani con il termine “il portello”)
E’ un capitello che mostra il capo di uno strano personaggio dagli occhi a mandorla con le sopracciglia ed i baffi che si allungano fuori del viso per unirsi a formare delle corna che si arrotolano attorno a due fiori.
Quello di destra a sette petali. Quello di sinistra a otto petali.
Analogo a questa figura è il terzo elemento. Si trova sulla base della terza colonna della navata di sinistra della Cattedrale. In questo caso le corna si aprono in alto a forma di grande S.
Chi è il personaggio rappresentato in via della Vergine e nella Cattedrale di Venafro?
Potrebbe essere il cosiddetto Bafometto della drammatica epopea dei Templari?
Apriamo, per questo, una parentesi sui Templari attingendo ad una tradizione che nel tempo si è arricchita di particolari inquietanti.
La rappresentazione del diavolo con i baffi che si trasformano in corna è abbastanza inconsueta. Una certa fama l’ha avuta l’immagine del Bafometto di Saliceto, un paese della provincia di Cuneo, dove, peraltro, scorre il fiume Parasacco il cui nome, da quelle parti, viene collegato alla funzione di protettore dai saccheggi.
Si veda Guido Araldo in: http://cedocsv.blogspot.com/2010/01/guido-araldo-saliceto-il-mistero-di-una.html
Il Bafometto di Saliceto (Cuneo)
Ma chi era nella tradizione dei Templari questo misterioso personaggio?
Recentemente (2008) è uscito un bel volumetto edito da Il Mulino: I Templari, dove Barbara Frale, con gli apprezzamenti di Franco Cardini e Umberto Eco, raccoglie la loro epopea senza sbilanciamenti folkloristici e leggendari.
Una parte dell’introduzione è dedicata proprio al Bafometto che risulta essere presente nei documenti originali del processo contro i Templari.
Nel 1307 a Carcassonne in Francia si tenne un’inchiesta contro di loro e due templari confessarono di aver venerato un idolo in figura bafometi e che veniva chiamato Yalla.
L’obiettivo degli inquisitori era che essi confessassero di aver abiurato la fede cristiana per passare a quella di Maometto. Dunque Bafometi non sarebbe altro che un’alterazione del nome di Maometto e che Yalla sarebbe una deformazione di Allah.
Appare chiaro che tali confessioni non fossero spontanee. Anzi sono del tutto incoerenti con la realtà dell’epoca perché nella tradizione islamica era assolutamente vietata la rappresentazione delle figure divine e dello stesso Maometto.
Da qui, durante l’inquisizione, ad immaginare che Maometto avesse le sembianze di un diavolo con i baffi il passo fu breve.
Perciò qualsiasi tentativo di associare l’immagine del Diavolo a quella di Maometto, definendola poi con il nome di Bafometto, appartiene ad una letteratura fantastica molto utile per dare un significato esoterico a elementi iconografici che in realtà rappresentano solo e soltanto ciò che chiaramente vogliono significare.
Se però queste figure diaboliche, che vanno contestualizzate all’interno di un programma simbolico tipico dell’arte medioevale, per una serie di circostanze possono essere collocate in un sistema che per un puro accidente abbia qualcosa di particolare, allora è possibile dare ad esse un significato misterioso che serve solo ad esaltare le suggestioni fantastiche e definire una realtà misterica che non è mai esistita.
Così è per i tre elementi di cui abbiamo parlato: L’arco del diavolo Parasacco, il diavolo di Via della Vergine e il Diavolo della Cattedrale di Venafro.
Infatti, se proviamo a collocare i tre elementi su una planimetria della città e li colleghiamo tra loro con tre linee, otteniamo un triangolo perfettamente rettangolo in cui uno dei due cateti (quello che collega il Diavolo di via della Vergine al Diavolo della Cattedrale) è pari, esattamente, a quattro volte la lunghezza dell’altro cateto (quello che collega il Diavolo di Via della Vergine con l’arco di Parasacco.
E allora?
Allora niente!
Ciao Franco ho letto con vivo interesse e quasi apprensione la tua “Ricostruzione” e “Costruzione” di quello che potrebbe essere un incipit stupendo per una trama di un film o forse ancora meglio di una epopea sui Templari e sono affascinato di come riesci a suscitare apprensione e curiosità su cose che forse, bada bene forse, non hanno tra di loro nulla di tangibile. Una cosa è certa ed è innegabile ci sono prove incontestabili di questa tua narrazione e quindi anche stando solo a queste testimonianze è ipotizzabile gran parte di ciò che dici ed è singolare e affascinante leggere la storia degli oggetti con la visione del mistero, cosa che poi non costa nulla, anzi se poi si scopre che ci sono basi più che fantasiose è quanto meno inderogabile continuare nella indagine così spero proprio che tu possa trovare altri elementi per poter affermare visioni così intriganti e perchè no importanti per questo nostro Molise che così risulterebbe non essere poi tanto fuori dalla realtà.
Allora restando in attesa della prossima e a questo punto inevitabile puntata un caro affettuoso saluto Angelo
Le rosette a 4 a 6 o altro numero di petali sono sicuramente, conme certo saprai, simboli dei Templari
(cfr Giovanni Cardarelli “Il mistero dei Templari”
Egregio Architetto(ma in seguito la chiamerò Franco ed io mi chiamo Leonardo),
sono circa 30 anni (da quando mi sono trasferito a Termoli con la mia famiglia, sono Dermatologo) e ho sempre condiviso tutto di Lei; ora ho “scoperto” il Suo blog e mi è subito piaciuto. Amo e studio, da sempre, Storia(medievale) e Archeologia(ma dippiù il mio amatisssimo medioevo), sempre in modo ortodosso e quindi Le Goff,Duby,Cardini,Frale,Cantarella,Frugoni..ed altri sono i miei diletti quotidiani e non è male se qualche volta per diletto si divaga un poco con la fantasia, sempre restando consapevoli di ciò….mi è piaciuto molto quello che ha scritto sui templari e Venafro…necessita un approfondimento.
Ti saluto con profonda stima per tutto quello che hai fatto in questi anni in una Regione “disastrata”. Speriamo di conoscerci personalmente;
ad majora,
Leonardo Cuccia
La questione delle rosette è complessa perché viene messa in relazione anche ai Rosa-Croce e si apre lo scenario fantastico della massoneria nel quale ha pescato a piene mani Dan Brown. Della rosa a sei petali mi sono già occupato a proposito della cattedrale di Larino e della chiesa di S. Giorgio a Petrella Tifernina….
Appena si parla di Templari si attizzano le fantasie…. è incredibile!
Carissimo Leonardo, il tuo commento è arrivato mentre rispondevo a Donatella.
Ti ringrazio per le belle parole.
Quando si fa una ricerca non si sa dove si va a parare.
Spesso non si trova niente, altre volte si trova qualcosa, altre volte si dicono scemenze.
Certamente di tutto possiamo dubitare, fuorché della geometria. Perciò tutta la filosofia antica si regge sulla geometria.
Sto scrivendo una trilogia che si regge sull’ipotesi che il tempo non esiste. Sono convinto che ti piacerà.
La prima riguarda l’uccisione di Ambrogio Autperto
La seconda il fallimento della Cassa di Risparmio Molisana
Il terzo, ovviamente, dove sia finito il Calice di Cristo.
Tre storie che passano per la Cripta di Epifanio e che hanno inizio da Pitagora.
La prima storia è quasi pronta.
Parasacco è un termine oramai desueto del dialetto napoletano. Letteralmente, indica colui che appronta il sacco. Parasacco, infatti, è una voce derivata dall’agglutinazione di para (3° p. sg. ind. pr.dell’infinito parare dal latino parare= approntare, disporre) + sacco (dal lat. saccum= sacco) nel significato originario di “colui che prepara il sacco per trascinar con sé i peccatori”. Per estensione, diventa il nome di un particolare diavolo che veniva pronunciato come spauracchio per i bambini irrequieti e disobbedienti: questo essere diabolico, richiamato dalle malefatte dei bambini, accorreva munito di sacco nel quale, per l’appunto, stipare i monelli disobbedienti per condurli con sé.
Epperò!! Un altra passione in comune è come dire che due indizi fanno una prova!
Ciao grande Franco
Aiutatemi a trovare argomenti intriganti…..
Grazie a tutti!
…Grande Franco
Grande Franco…….interessantissimo..
Buonasera a tutti,
sono Marina di Saliceto, amica di Guido Araldo, e con immenso piacere vedo che il “nostro” amato Bafometto sta diventando famoso.
Il fiore che si vede vicino al vostro Bapho, pare sia il fiore della vita,presso gli antichi Celti veniva interpretato come simbolo in movimento e quindi rappresentava la potenza vivificatrice e generatrice del Sole: l’astro trasmetterebbe al segno il suo potere guaritore e protettivo.La Sapienza Ebraica lo ha associato all’Albero Sephirotico o Albero della Vita (o della Conoscenza), la cui struttura può essere costruita a partire da questo simbolo.Il fiore della vita veniva considerato dai simbolisti, dai primi iniziati e dalle scuole misteriche quale punto di partenza per la costruzione dei solidi platonici, secondo un meccanismo che consente di passare dalla bidimensionalità alla tridimensionalità.Tutto ciò era parte integrante delle conoscenze iniziatiche della classe sacerdotale, particolarmente quella sumera ed egizia, e successivamente Templare, che vedevano in questi solidi la forma degli elementi:
Tetraedro = fuoco
Cubo = terra
Ottaedro = aria
Icosaedro = acqua
Dodecaedro = il superamento dei quattro elementi, la Quintessenza.
Se siete appassionati di misteri, esoterismo, templari ecc.ecc… vorrei invitarvi a visitare il mio sito su Saliceto, in cui troverete nella sezione Misteri tante curiosità raccontate dallo storico salicetese Guido Araldo.
http://www.saliceto.net
grazie a Franco Valente per la citazione nel suo blog
Marina
Caro Franco, un altro periodo particolarmente fiorente di diavoli e demoni è quello della Controriforma cattolica, successiva al Concilio di Trento (1545-1563). La Chiesa si assume l’onere di salvare le anime degli uomini e delle donne del tempo dal peccato e dalle tentazioni (o le seduzioni) del demonio. Satana diventa il chiodo fisso dei predicatori controriformistici -tra cui, in Molise, il cappuccino Matteo da Agnone- che lo mettono al centro dei loro sermoni. Ben vengano i Templari, ma non perderei di vista l’epoca controriformistica. Anche perché con Giambattista Basile, ci sei in pieno…
Caro Francesco,
quello che segue è un estratto da “Venafro dal 1848 in poi”, manoscritto anonimo da me scoperto. L’autore è il canonico Francesco Lucenteforte, contemporaneo dei fatti narrati.
Una descrizione fantastica di questi attori-predicatori!
http://www.francovalente.it/2010/05/16/storia-di-venafro-dal-1848-in-poi-manoscritto-anonimo-attribuito-a-francesco-lucenteforte/
….
Queste Missioni si esercitavano o da’ Preti sciolti di Na-
poli, i quali appartenevano o alla Congregazione
delle Propaganda, o quella della Conferenza, o
a quella della ……….; erano questi
Preti soggetti ad un Superiore il quale ne riuni-
va un dato numero e l’invitava a recarsi in
Missione in qualche paese richiesto dal Vesco-
vo. O da Preti regolari , o da Frati come
da Verginisti, da Gesuiti, da Liguoristi, da
Passionisti. I Verginisti e i Gesui-
ti praticavano le Missioni con più scaltrez-
za e serietà; i Liguoristi con più chiasso,
e minor frutto; i Passionisti con più serietà
ed onore non impacciandosi de’ fatti del-
le famiglie quando non riguardavano la
Politica e la religione, solamente faceva ri-
brezza la pubblica disciplina a sangue in
mezzo alle prediche. I Preti Napolitani
finalmente le facevano da saltimbanchi, e
qui mi piace darne una qualsiasi
descrizione.
Quando il Vescovo invitavali per un giorno stabilito alla Mis-
sione di qualche paese della sua Diocesi, i RR. PP.
cercavano giungervi di sera trattenendosi in mez-
zo alla strada se vi era tempo. Appena arriva-
ti il Clero vestito degli abiti di Chiesa
andava ad incontrarli all’entrata del paese mentre
tutte le campane a distesa suonando ne av-
vertivano il Popolo. Il Superiore della Missione
recandosi in mano un gran Crocefisso intuonava
la litania Lauretana, ed il Clero processional-
mente si avviava verso la Chiesa; i PP. a due
a due seguivano il Clero con larghi cappelloni
a canale in testa, con un bastone in mano,
con un Crocefisso sul petto camminando con
capo basso, e cogli occhi vagando di qua e di la.
Giunti alla Chiesa si faceva l’apertura, e si
assegnavano gli uffizii giornalieri. Nel gior-
no dopo verso le ore 21 tre o quattro de’ Padri più giova-
ni andavano in Chiesa per la dottrina cristia-
na, dopo un’ora mentre il popolo si raduna-
va un altro Padre faceva recitare il Rosa-
rio spiegandone qualche mistero. Quando poi
la Chiesa era piena il Prefetto della medesima
suonava un campanello per dare al Padre
il segno che cessasse dalla (….) del Rosario, questi
rispondendo subito ubbidisco scendeva dalla
tribuna, la quale era immediatamente oc-
cupata da un’altro Padre per la istruzione po-
polare. Questi era il buffo della compagnia
perché per lo più si faceva un vanto di dire le
cose in modo da divertire il pubblico con fatte-
relli, ed espressioni ridicole. Passata un’ora si
risuonava al Prefetto il campanello, e l’Istrutto-
re rispondendo ubbidisco lasciava la tribuna, e
vi saliva il Predicatore della così detta Meditazione
o Predica Grande; e questa era la parte tra-
gica. Questo Predicatore per lo più era il più
grosso, e grasso della Compagnia avente una
voce di toro, e con modulazioni studiate, e con
parole che poco dicevano cercava di trarre le
lagrime dagli occhi delle feminuccie, e vi
riusciva particolarmente negli ultimi giorni. I
mezzi per far piangere le feminelle, ed urla-
re i bifolchi erano, o mostrando un Cro-
cefisso capovolto o di spalle, o mostrando
un dipinto d’un’anima dannata, o facen-
do mille smorfie in faccia alla statua del-
la Vergine appositamente situata a lato della
tribuna, o passando la mano sopra di
una candela accesa, o battendosi con una (…)-
plina di ferro che facesse più ru-
more che male ec: ec:. Finalmente terminata
la meditazione saliva il Prefetto di Chiesa
a fare la sua parte col riepilogare la
Meditazione fatta. Poi uscite tutte le donne
dalla Chiesa restavano gli uomini, ai quali
si faceva un altro fervorino invitandoli a
battersi, o a trascinare la lingua per ter-
ra. La mattina un’altro Padre faceva l’istruzione
spiegando il Decalogo, e dopo detta la Messa tut-
ti i PP. si mettevano ad ascoltare le confessioni,
e così tutti i giorni fino alla licenziata. Allora
le lagrime e le grida erano più abbondanti, e for-
ti, perché quei PP. avevano certi modi studia-
ti per far dire al popolo, che alla loro partita
egli rimaneva desolato, e mentre il popolo
piangeva, i PP. se la ridevano.
Il fuoco era di paglia, par-
titi i PP. il popolo tornava agli usi antichi, e
la Polizia era avvertita dello spirito del paese.
In Gennajo dunque 1851 anche Venafro ebbe la sua
Missione de’ PP. della Conferenza di Napoli. Fu
come si é detto, un fuoco di paglia; che an-
zi fu motivo di discordia e di diffidenza tra’ cit-
tadini, avvilimento per il Clero a causa della triste
figura che dové fare presentandosi al popolo
in mezzo alla Chiesa con al collo le funi, con in capo una
corona di spine, asperso di cenere, e batten-
dosi colle funi facendo penitenza pel popolo.
Quindi gli animi vili e deboli piange-
vano per tenerezza, i forti se ne sdegnava-
no e ne facevano oggetto di riso, ed il Clero
se ne sdegnava.
Caro Franco, nell’Ottocento, però, la spinta ecclesiastica controriformistica si è quasi spenta e ridotta, come giustamente dice il tuo “anonimo”, a fenomeno da baraccone. Oramai l’eresia protestante non preoccupa più come due secoli prima e, probabilmente, l’obiettivo della Chiesa è solo quello di fare cassa con le offerte. Nel Seicento, però, le cose stanno in maniera completamente diversa. L’eresia protestante conquista sempre nuovi territori e fedeli. La Chiesa vede barcollare il suo ruolo di potenza mondiale religiosa e politica. I padri predicatori battono in lungo e in largo l’Europa cattolica e tuonano contro il demonio e usano un modello pedagogico (o demagogico) basato sullo stile di vita dei santi e sui loro miracoli. Ancora oggi, padre Matteo da Agnone viene invocato contro il diavolo (http://patriziacattaneo.com/lang2/un_santo_contro_il_diavolo.html). Padre Antonio da Capracotta (1582- 1632), a sua volta, si flagella col cilicio in segno di umiltà. I parroci iniziano a compilare i registri parrocchiali per la “cura animarum”, descrivendo con molta attenzione i comportamenti religiosi di ogni individuo. Chi sgarra viene denunciato al Sant’Uffizio. È un clima di vero e proprio terrore fisico e psicologico. Personalmente ho condotto alcuni studi sull’applicazione della Controriforma a Capracotta. Qui, vengono adottati tutti i dettami del Concilio di Trento entro la prima metà del Seicento: la cappella della Madonna di Loreto viene restaurata; il clero cittadino viene enormemente potenziato; inizia a essere compilato il “Catalogus rerum notabilium” per la “cura animarum”; la chiesa Madre viene completamente riedificata e probabilmente dedicata all’Assunta, ecc. Tra i primi effetti sulla popolazione, non a caso, il cambio dell’uso dei nomi: da quello dei santi della precedente tradizione religiosa a quello dei santi degli ordini religiosi della Controriforma (http://www.capracotta.org/joomla/index.php/notizie-e-curiosita/133-di-nucci-i-figli-di-nuccio-san-sebastiano-e-la-controriforma-a-capracotta.html). Ciao
Caro architetto, complimenti, soprattutto per i riscontri geometrici che ha riscontrato…
credo che la direzione di indagine in formulazione matematica sia la giusta chiave di lettura… comprendere il linguaggio macchina che i costruttori, urbanisti, demiurghi hanno usato in maniera universale.
Bisognerebbe definire bene a questo punto chi erano, sono, saranno, i Templari, anzi sono perchè come lei vorrà deliziarci di argomentare il tempo non esiste, lo affermano anche i fisici quantistici… è un’ artificio della nostra condizione di esseri calati in una realtà a quattro dimensioni, tre spaziali ed una temporale, legato quest’ ultimo concetto a filo doppio con quello della massa in movimento…
Io indagherei pure nelle pieghe dell’ inconscio per l’ interpretazione dei mascheroni: che impressione o ricordi suscitano?
E per quanto riguarda la figura degli orchi vecchi e nuovi, mi rifarei ai riti dionisiaci e al mito di Dionisio da cui essi derivano, secondo il quale i giganti, divinità delgli inferi, (nel senso che a loro era negato il paradiso, leggi Olimpo, sede delle divinità dei conquistatori nomadi Achei, biondi e con gli occhi azzurri di origine genotipica germanica e per cui per un nomade l’ unica cosa che non cambia mai è il cielo nei suoi spostamenti, in contrapposizione all’ inferno sotterraneo in cui furono relegate le divinità legate alla terra e alla fertilità dei vinti Pelasgi di probabile origine semita; il mito di proserpina ne è un chiaro esempio, ma voi già sapete…) per accedere al paradiso fecero a pezzi e si cibarono delle membra di Dionisio, figlio di Giove, lasciandone solo il cuore, credendo così di assorbirne l’ essenza celestiale…
Che relazione ci sarebbe tra i demoni rapitori di fanciulli e i Templari vecchi e nuovi?
Quale sarebbe il fine della ricerca di quest’ ordine e di quelli affini?
La gnosi? Intesa come spiegazione dell’ ETERNO e quindi limitazione dello stesso, al fine di renderlo avvicinabile alla nauta umana, che ha presunzione di perfezione?
Quindi per me la presenza di un’ ordine esoterico magari prprio quello templare è dimostrata dalle sue osservazioni, complimenti :) a presto architetto
interessantissimo tutto il blog. l’altra sera, per mia fortuna, ho avuto l’opportunità di vedere dal vivo il capitello in questione. la cosa strana è che i fiori sono a sette petali, quello a sin della testina, e a nove petali quello a dx. dal momento che non è possibile un errore simile , nè da parte dello scultore, nè da parte del committente, che tutto ha un significato preciso e che generalmente i fiori della vita scolpiti o dipinti hanno numero pari di petali, che significato hanno questi fiori sul capitello di via della vergine?
Affascinante la descrizione dei tempi che furono nel Medioevo a Venafro.Molto in gamba l’ Autore dell’ opera letteraria..Io sono nativo proprio di questa citta’ e conoscevo lo Storico Franco Valente da adolescente ed abbiamo la stessa eta’.Sarei ugualmente entusiasta se il Bravo Franco Valente, facesse un nuovo libro sulle famiglie nobili di Venafro e perche’ no, sull’ origine del mio cognome Foglietta.Grazie di cuore dal tuo amico Italo Foglietta.