«Pandolfus princeps regnavit anni triginta octo quem vidimus» (Cronaca della dinastia capuana)
Nato a Capua all’inizio del sec. X, morì nel 981.
Pandolfo I Capodiferro, che abbiamo già visto concedere ai monaci di S. Vincenzo nel 967 la facoltà di costruire castelli e difese, unanimemente riconosciuto come il restauratore della Longobardia Minore, da Capua confermò numerose contee attribuendo la giurisdizione comitale a membri della sua famiglia. In particolare nel Molise egli con la sua famiglia confermò nel 954 la contea di Venafro, nel 964 quella di Isernia, nel 976 quella di Larino, nel 977 quella della Terra Burrellense e nel 992 quella di Trivento.
Gran parte degli storici sono concordi nel ritenere che la fase dell’incastellamento della Longobardia Minore sia da mettere in relazione con il pericolo saraceno e del quale il cenobio vulturnense aveva sperimentato la drammaticità con l’eccidio del 10 ottobre 881 quando, secondo ciò che racconta il Chronicon Vulturnense, furono trucidati circa 900 monaci benedettini (Chronicon Vulturnense, ed. Federici, vol. I, pp.356-371). Dopo questo episodio che segnò la storia di S. Vincenzo e del quale parla anche Erchemperto attribuendo la committenza dell’assalto al vescovo di Napoli Atanasio, (ERCHEMPERTO, Historia langobardorum Beneventanorum: 44) comincia di fatto un’opera di organica revisione del sistema di controllo dei passi e dei luoghi strategici della Longobardia.
Sappiamo che, per decisione di Ottone I, Pandolfo Capodiferro sia stato titolare contemporaneamente del Principato di Benevento e del Ducato di Spoleto (966-981).
Il fatto sicuro è che Pandolfo Capodiferro tenne contemporaneamente Benevento e Spoleto per almeno 15 anni e per un brevissimo periodo (982) anche suo figlio Landolfo.
Mario Vipera (M. VIPERA, Catalogus Sanctorum Ecclesiae Beneventanae (1635) e Chronologia episcoporum et archiepiscoporum metropolitanae ecclesiae beneventanae (1636)) nel suo Catalogo dei Santi della Chiesa di Benevento e nella Cronologia dei vescovi e degli arcivescovi ricostruisce la sequenza dei vescovi beneventani.
Il 26 maggio 969, con bolla di papa Giovanni XIII, Landolfo, ordinario di Benevento, ricevette per la prima volta il titolo di arcivescovo metropolita. Al Sinodo in cui fu proclamata l’investitura era presente anche l’imperatore Ottone che in tal modo confermava il suo gradimento alla nomina. Erano altresì presenti Pandolfo principe di Benevento e Capua e suo figlio Landolfo.
S. Giorgio. Petrella Tifernina
Petrella era allora nella giurisdizione beneventana e, conseguentemente, anche la costruzione di una chiesa, la sua consacrazione e ogni modifica significativa erano sottoposte alle decisioni del vescovo metropolita in assenza di una chiesa suffraganea amministrata da un proprio vescovo che comunque avrebbe reso conto a quello beneventano.
Questa circostanza è un ulteriore elemento che porta a ricondurre l’edificazione della prima chiesa, poi scomparsa, di San Giorgio di Petrella a questo particolare momento storico che vede una serie di iniziative di grande importanza politica, come la riunificazione della Longobardia minore, affidata a Pandolfo Capodiferro, concomitante con una analoga iniziativa nella riorganizzazione ecclesiastica affidata all’arcivescovo Landolfo.
Peraltro la chiesa di S. Maria della Strada e di S. Giorgio martire non sarebbero le sole chiese nate con il sostegno di Pandolfo Capodiferro. Un esempio vicino è il monastero con annessa basilica di S. Elena in Pantasia di cui si è occupato ampiamente mons. Tria (Giovanni Andrea Tria – Memorie storiche civili, ed ecclesiastiche della città, e diocesi di Larino (1744) Libro IV, Capitolo X §. I. Del Monastero, e Badia di S. Elena in Pantasia). Su questa importante chiesa varrebbe la pena di tornare partendo dallo studio di Sergio Bucci (La Badia di Melanico, 1998).
S. Giorgio. Petrella Tifernina
Queste notizie che derivano da documenti incontestabili e i caratteri stilistici delle chiese di S. Maria della Strada a Matrice e di S. Giorgio Martire a Petrella Tifernina mi hanno portato a ritenere che ambedue le basiliche siano nate in un’epoca compresa tra il 966 e il 982. Presumibilmente in epoca prossima al 980.
Si tenga conto che la costruzione di edifici religiosi così complessi non durava meno di una trentina di anni. Quindi ragionevolmente sia S. Giorgio, sia S. Maria della Strada sono state completate in un’epoca compresa tra il 1010 e il 1020.
Abbiamo sufficienti elementi per affermare che la chiesa di S. Giorgio in epoca normanna (XII secolo) sia stata sostanzialmente ricostruita conservando una buona quantità di elementi architettonici recuperati integralmente dalla precedente basilica longobarda.
E’ proprio il portale longobardo di S. Giorgio che ora conferma, in maniera inoppugnabile, che la collocazione temporale della fondazione intorno al 980 era corretta.
L’attuale facciata, infatti, fu realizzata nel XII secolo riutilizzando un portale che era stato smontato dalla precedente chiesa del X secolo che era stata completata esattamente nell’anno del Signore 1010 quando vi fu apposta la data abbreviata MDECIM, ovvero MILLESIMO DECIMO.
Un’abbreviatura che nel passato ha dato adito a una serie di congetture che hanno inutilmente complicato una soluzione che era, invece, assolutamente semplice, come ha notato Gian Gabriele Cau prendendola come riferimento nell’ambito del saggio “La Formella longobarda e la Protome romanica del Martire sulcitano nel Sant’Antioco di Bisarcio” (2014): “San Giorgio che uccide il drago di Petrella Tifernina (databile al 1010) Per una cronologia ante XI secolo e per una paternità longobarda dell’antica chiesa di san Giorgio e dei rilievi, si segnala l’intervento di F. Valente: Si chiamava Alferid ed era longobardo il costruttore della prima chiesa di S. Giorgio a Petrella Tifernina”.
S. Giorgio. Petrella Tifernina
L’elemento che lascia più dubbi per la sua definizione cronologica è proprio la lunetta del portale principale che per molti studiosi ha rappresentato un elemento di certezza per stabilire la data dell’edificio. Proprio questa certezza, vedremo, viene messa in dubbio prima di tutto dai caratteri stilistici dell’intradosso e dall’estradosso della lunetta.
Si tratta, come evidenziato anche dall’epigrafe IONAS, della rappresentazione dell’episodio biblico di Giona inghiottito dal mostro marino, cioè dalla cosiddetta pistrice, che per tutto il medioevo fu preso come anticipazione profetica della morte e resurrezione di Cristo dopo tre giorni.
Nella lunetta l’episodio è narrato in due tempi e la lettura si fa partendo da destra in alto per scendere poi a sinistra in basso.
La pistrice, un mostro dal corpo di pesce con la coda pinnata e due zampe anteriori, sta ingoiando Giona del quale rimane ancora fuori solo la parte inferiore del corpo coperto da una gonnella dalla quale escono le gambe.
In basso, specularmente, la pistrice sta sputando fuori Giona di cui si vede il capo e le braccia alzate con le palme aperte.
Tutto sembra avere un senso preciso perché ogni elemento fa parte di una visione globale legata alla problematica escatologica della vita e della morte nella prospettiva della resurrezione finale dei corpi.
L’estrema sinteticità della rappresentazione contiene elementi sufficienti per poter affermare che si tratta di una ulteriore generalizzazione della vicenda di Giona e del suo ritorno alla vita dopo essere stato tre giorni nel ventre del mostro marino.
Più in basso un serpente si avvolge in forma di spirale piatta mantenendosi a pancia all’aria con la bocca aperta come se volesse mordere Giona che esce dalla pistrice. Sulla destra un Agnello crucigero con la testa rivolta all’indietro regge con la zampa sinistra l’asta della croce dai bracci decussati. Nello spazio tra il serpente e l’Agnello si legge il motto giovanneo ECCE AGNUS DEI.
Sulla fascia inferiore l’epigrafe che ha determinato una serie incredibile di errori, tutti derivati dalla forzatura interpretativa delle ultime lettere leggibili.
S. Giorgio. Petrella Tifernina
Per quanti sforzi si vogliano fare oggi si riesce a leggere non più di tanto:
AD ONOREM DEI ET BEATI
GEORGI MARTIRIS EGO
ALFERID DISC LO GEO MDECIM
Nonostante l’evidenza dell’incoerenza stilistica con il resto della chiesa, l’epoca della lunetta fino a oggi era stata desunta dalle incomprensibili lettere finali MDECIM che, correttamente interpretate nella successione delle consonanti e delle vocali, sono state lette, invece, con molta fantasia come parte di una data: (A D MCCV)MDECIMO, poi sciolte in Anno Domini Millesimo Ducentesimo Undecimo, ovvero 1211.
A parte le considerazioni sull’assoluta inattendibilità della data (che ha dato origine ad una serie impressionante di errori interpretativi), un elemento di evidente chiarezza per ricondurre all’epoca longobarda (o comunque antecedente a quelle normanna e sveva) si trova nel nome dell’autore che si firma EGO ALFERID.
Nonostante la chiarezza dell’epigrafe, era stata letta incredibilmente MAG EPIDIDIVS (Magister Epididius)!
Si tratta, invece, in tutta evidenza di un nome longobardo che fa anticipare l’esecuzione della lunetta a un’epoca sicuramente compatibile con i caratteri stilistici dei rilievi.
La corretta lettura di MDECIM in MILLESIMO DECIMO ora toglie ogni dubbio.
S. Maria della Strada. Matrice